Alla transizione ecologica serve competenza: i giovani la troveranno negli Its

Le imprese sono pronte ad assumere quasi tre milioni di nuove reclute, ma i risultati della ricerca sono più che mai scarsi. Le ragioni di questa povertà si trovano nella corresponsabilità dei due mondi: la scuola italiana, che vive ancora di una certa rigidità, e il tessuto imprenditoriale

Its competenze

All’Italia servono la transizione digitale e quella verde, ma serve anche il passaggio di giovani preparati dal mondo della scuola a quello dell’impresa. Un vaso comunicante, quello tra le due realtà, che ancora oggi non riesce compiutamente perché questa separazione sembra ormai strutturale. Così, le aziende domandano figure competenti da inserire in officina o in laboratorio, ma ne trovano poche. Anzi, pochissime.

LA CORRESPONSABILITA’ DI SCUOLA, IMPRESA E…MERCATO

Secondo gli ultimi dati di Confartigianato, le imprese sono pronte ad assumere quasi tre milioni di nuove reclute, ma i risultati della ricerca sono più che mai scarsi. Le ragioni di questa povertà si trovano nella corresponsabilità dei due mondi: la scuola italiana, che vive ancora di una certa rigidità, e il tessuto imprenditoriale. Che spesso pretende di trovare giovani che siano in grado, una volta usciti dagli istituti, di soddisfare da subito le richieste del mercato. Ma il motivo è anche un altro: il mercato del lavoro, da anni, è sottoposto a cambiamenti repentini e la sua varietà è così elevata che difficilmente può essere coperta da ciò che propongono le istituzioni scolastiche.

ITS E FORMAZIONE ON-THE-JOB: UNA VALIDA SOLUZIONE

A riguardo, Emilio Reyneri – professore emerito di Sociologia del lavoro alla Bicocca di Milano – ha le idee chiare: «Non basta la scuola e non bastano gli Istituti Tecnici Superiori (Its). Sono gli imprenditori a dover contribuire direttamente alla formazione dei giovani perché sono loro ad avere uno sguardo sulla realtà e su ciò che chiedono i mercati». Insomma, la preparazione tecnico-professionale è uno snodo sul quale insistere, ma potrà essere veramente funzionale se coniugata ad una formazione on-the-job.

PIU’ ATTENZIONE ALLA FORMAZIONE: BENE LE RISORSE DEL RECOVERY PLAN

Its competenze

Ma in Italia si deve ancora investire sugli Its. A sottolinearlo è nuovamente il professore: «Purtroppo, nel nostro Paese l’attenzione per la formazione e le competenze è abbastanza scarsa e pochi sono gli investimenti che vanno in questa direzione. Inoltre, e la “maglia nera” la condividiamo con altri pochissimi Paesi europei, non abbiamo una formazione di livello universitario che sia di tipo professionale». Le risorse messe a disposizione dal Recovery Plan per il sostegno degli Istituti Tecnici Superiori fanno ben sperare: 1,5 miliardi a fondo perduto ai quali si aggiungono 68 milioni di euro per il 2021, da un fondo presso il Ministero dell’istruzione, e altri 48 milioni per il 2022.

DOCENTI EX IMPRENDITORI PER RECUPERARE IL GAP CON L’EUROPA

Quindi, riflettori accesi sugli Its «perché riescono in quello su cui si dibatte da anni: una formazione universitaria congiunta a quella formazione che permette l’inserimento in azienda di specifiche competenze. E questo anche grazie a docenti provenienti, in larga misura, dal mondo delle imprese. Quindi, tecnici. Vero, però, che rispetto alla media europea siamo ancora indietro: il rapporto dell’orientamento di tipo professionale e lavorativo, tra Italia e Ue, è di uno a dieci. E se proprio vogliamo, nel nostro Paese trascuriamo – lo fanno gli istituti ma anche gli imprenditori – anche l’alternanza scuola-lavoro», prosegue il docente della Bicocca.

IL PUNTO DI FORZA STA ANCHE NELLA FLESSIBILITA’

Insomma, servono un salto culturale e tanta flessibilità da parte di tutti. Perché l’Italia non è tutta uguale: »E’ per questo – conclude Emilio Reyneri – che gli Its devono essere particolarmente flessibili per potersi calare nelle specificità imprenditoriali di ciascun territorio: dove c’è vocazione alla chimica bisogna orientarsi a questa; dove c’è l’elettronica, organizzare percorsi di studi che vadano in quella direzione. La flessibilità dovrebbe essere la regola di queste strutture che si trovano inserite, però, in un sistema educativo piuttosto rigido: nelle università italiane, ancora oggi, non è permesso passare da un biennio in chimica ad un biennio successivo in matematica. E questo non facilita né la scuola e né i giovani».