Attenti al "green di facciata", l’opportunismo non fa business

Le piccole imprese sono vincolate agli Esg (environmental, social, governance) con cui viene interpretata la sostenibilità ma vengono a mancare il senso, la misura, il valore di ciò che di buono creano a livello locale, di prossimità

Aziende green ma non solo

La sostenibilità non è solo green. Le piccole e medie imprese possono giocare un ruolo chiave a maggior ragione, perché l’hanno genuinamente vissuta in termini più ampi e radicati nel territorio. Ma si sono spesso trovate un muro: l’interpretazione degli obiettivi, calati dalle grandi realtà.

Il professor Mario Calderini, che insegna Social Innovation al Politecnico di Milano e dirige Tiresia (il Centro di ricerca sulla innovazione e la finanza a impatto sociale), non ha peli sulla lingua riguardo la partita sostenibilità. Ha messo in guardia ripetutamente sul rischio di un green di facciata.

Ci si trova dunque a un bivio: «Tutti parlano di sostenibilità, in termini verdi soprattutto – spiega – La dimensione sociale rischia di essere trattata con superficialità». Dunque, primo pericolo è la prevalenza della componente green. L’altro rischio? «Che in questa interpretazione prevalgano approcci formali e diventi un fenomeno di opportunismo» precisa. Un’eventualità molto concreta, che già anzi si coglie. Per combatterla, ci vuole un profondo lavoro, anche culturale. Attenzione alla “spolveratina di verde”, ammonisce, che non cambierà il modo in cui le imprese affronteranno i grandi problemi, le grandi sfide.

PENALIZZATE LE PIU' PICCOLE
Non è tutta in salita, la strada: «Molto ha fatto la Commissione europea – riconosce il professor Calderini – attraverso la classificazione di prodotti e fondi di investimento. Questo consentirà a chi mette soldi da qualche parte di distinguere. Tuttavia, c’è ancora molto da fare. In particolare, le più penalizzate sono le piccole e medie imprese».

Per quale ragione? «Da un lato – evidenzia il professore – sono vincolate da questi obiettivi Esg (environmental, social, governance, ndr), con cui viene interpretata la sostenibilità. Un’interpretazione appunto delle grandi multinazionali in termini planetari o comunque di scala globale. Ma vengono a mancare alle piccole e medie imprese il senso, la misura, il valore di ciò che di buono creano a livello locale, di prossimità».

La conseguenza? «Stiamo assistendo a un po’ di repulsione da parte delle aziende verso questi schemi – spiega Calderini – Presto si rivolgeranno a indicatori più sartoriali, in grado di riconoscere il loro valore anche nella dimensione di prossimità».

In fondo, c’è una prova del nove, per così dire, della diversa mentalità: nelle piccole imprese c’è spesso meno sproporzione tra attenzione al green e al sociale. «È verissimo – risponde – questa è la ragione per cui le imprese fanno fatica ad adeguarsi ai nuovi schemi Esg che propongono le multinazionali. Mi aspetto che in futuro le piccole e medie imprese svilupperanno propri autonomi sistemi di valutazione dell’impatto sociale, in grado di cogliere la forza di trasformazione che portano con il loro prodotto, il valore economico, l’offerta di impiego».

SOSTENIBILITA' SU MISURA

Reti di impresa

Come fare ad arrivare a questa svolta, a una sostenibilità più a misura e sensibilità di tutti? I piccoli devono allearsi di più? Ci affacciamo al discorso della rete, allora.

«Ci sono due aspetti – precisa ancora – Uno certamente è quello della rete territoriale. Un esempio tipico di questi mesi: abbiamo visto aumentare a dismisura il welfare aziendale. Ogni impresa ha offerto soluzioni ai propri dipendenti. Questo non è detto che sia una buona notizia, perché è corrisposto anche a un abbassamento di qualità del welfare. Se tutti fanno il loro piccolo welfare, in maniera non coordinata, non è detto che poi si traduca nell’aumento di godimento dei beni di welfare, da parte di dipendenti e comunità».

Invece, è fondamentale mettere in comune le cose, con programmi di rete, alleanze territoriali, costruzione congiunta di sistemi di welfare.

Si mette in luce poi un altro aspetto: «Le piccole imprese, ma anche le medie, si renderanno conto che ci sono dinamiche di trasformazione di alcuni settori dopo la pandemia, come assistenza alla cura, turismo di prossimità, produzione e distribuzione di cibo dell’ultimo miglio e molto altro… in cui non ci sarà più business se non di comunità, con profonde radici nella prossimità, nella società locale».   

In questo senso, sarà importante «allargare queste forme di alleanza anche ai soggetti del terzo settore», che sono più in grado «di interpretare questa nuova centralità dei beni relazionali e della reciprocità che ci portiamo a casa dopo la pandemia».

Sembra attenuarsi invece il rischio di ritenere la sostenibilità secondaria, quasi un lusso, considerando l’emergenza da cui sono assillate le imprese.

NON SOLO PROFITTO
«Ci ha insegnato, la pandemia, che la relazione, il mutualismo, la cooperazione sono delle forme di organizzazione dell’economia dei mercati altrettanto importanti – specifica - quanto le dimensioni del profitto e del valore economico».

C’è un soggetto, tuttavia che non si può scordare in questo match: il consumatore. «Oggi il consumatore o percettore di valore è ancora un soggetto dicotomico – osserva – soprattutto i giovani. Fior di inchieste stanno fotografando un cambiamento strutturale di valore per dare importanza sociale all’ambiente, ma quando lo stesso consumatore giovane si sposta nella dimensione del consumo, non sceglie ancora sulla base di valori».

C’è un soggetto che non si può scordare in questo match: il consumatore

È una trasformazione di lungo periodo, in cui la politica deve stare molto attenta alle scelte che fa. Evitando disuguaglianze nascoste, che possono escludere fasce della popolazione.  Ciascuno deve fare la sua parte per creare un mondo di consumatori che guidi meglio le scelte delle imprese. D’altro canto, servono davvero bilanci che indichino in maniera affidabile l’impegno nella direzione della sostenibilità.

Nel professor Calderini prevale la fiducia: «Con la consapevolezza, però, che ci sia una battaglia da fare».