La rivoluzione del profitto green non sarà una “decrescita infelice”

La rivoluzione del profitto green non sarà una “decrescita infelice”

L’orizzonte è cambiato e anche per le piccole imprese è necessario riorientare la propria attività in chiave sostenibile. Ne parliamo con Caterina Carletti, varesina, docente ricercatrice al Dipartimento di Economia aziendale, sanità e sociale (Deass) della Supsi.

Quando ha iniziato a occuparsi di sostenibilità?

Mi occupo di responsabilità sociale delle imprese e di sostenibilità dal 2004, negli ultimi anni sia a livello di docenza che di accompagnamento delle imprese in particolare nella realizzazione dei report di sostenibilità.

Quanto è stata profonda la trasformazione in questa materia? 

Il cambiamento è stato radicale. In passato questi temi erano considerati una “moda”, un vezzo radical chic, una parte marginale dell’attività d’impresa. C’era molta confusione e molti sono stati a lungo condizionati dal fatto che si è iniziato a parlare di sostenibilità solo in relazione all’ambiente, quando il vero focus è un diverso modo di concepire l’economia, un diverso modo di pensare al profitto.

Il modello è quello della decrescita felice?

Aziende verso la transizione sostenibile

Al contrario, la prospettiva è quella di una crescita felice, vale a dire una situazione in cui - come già avviene in tantissime imprese - il profitto economico sia accompagnato da quello sociale e ambientale. Non è in discussione la ricerca del profitto che resta il presupposto dell’attività di impresa ma il “come” farlo. E, mi lasci aggiungere, soprattutto il come misurarlo.

Servono nuovi strumenti?

Le aziende in passato hanno continuato a rappresentarsi esclusivamente attraverso il bilancio economico, in estrema sintesi una serie di numeri. Ora, l’adozione dei rapporti di sostenibilità implica il chiarimento di come le imprese hanno ottenuto quei numeri, attraverso, ad esempio, quale politica di gestione delle risorse umane, attraverso quali rapporti con la comunità, attraverso quali scelte in materia ambientale, attraverso quale tipologia di governance aziendale. Sul “come” si arriva ai numeri, in sostanza, si pesa la differenza tra un’azienda e l’altra.

Sostenibilità è solo impegnarsi a limitare l’impatto sull’ambiente?

Assolutamente no. Il grande malinteso su questo tema è la definizione. La responsabilità sociale, la sostenibilità, lo sviluppo sostenibile non sono temi legati solo all’ambiente o alla filantropia o magari relativi alla dimensione etica dell’imprenditore. La materia interessa l’attività aziendale a 360 gradi.

Cosa ha innescato il cambiamento? Il merito è stato dei consumatori?

Quasi sempre una sberla innesca una reazione più rapida rispetto a un bel discorso. Credo che il sistema economico si sia orientato sulla sostenibilità sull’onda degli scandali, ambientali, finanziari, sociali. Tutte vicende che ci hanno aperto gli occhi a fronte di realtà non più accettabili dal punto di vista etico ma anche economico perché si è capito quanto un certo modo di fare business produca una serie di impatti negativi e quindi generi costi sociali altissimi. Ciò detto, è chiaro che il ruolo dei consumatori è importante, ogni scelta di acquisto orienta il mercato in un senso piuttosto che in un altro. Una maggiore cultura dei consumatori sul tema della sostenibilità è di fondamentale importanza.

In concreto le imprese come possono orientarsi?

Aziende verso la transizione sostenibile

Credo sia necessario su questo fare una riflessione in premessa: l’idea di misurare un’economia nuova con degli strumenti vecchi ha poco senso; sono in via di definizione metriche condivise, lo stesso GRI (Global Reporting Initiative) ha creato degli standard sulla sostenibilità e i relativi criteri di misurazione. Ma prima ancora degli strumenti bisogna comprendere cosa misurare, ovvero, nel caso specifico, scegliere le attività con gli impatti più significativi. Ogni realtà, ogni business ha un impatto diverso. Pensiamo solo a un impianto petrolchimico accanto a uno studio di architettura, nondimeno entrambi possono mettere a fuoco le attività con il maggiore impatto e le categorie – gli stakeholders - su cui si realizza tale impatto. In passato le aziende avevano tipicamente a che fare con due portatori di interessi - i clienti e gli azionisti – e nella situazione ottimale erano chiamate a soddisfare i primi per massimizzare i profitti dei secondi. Oggi il quadro è cambiato, stiamo passando da una shareholder view, orientata cioè all’interesse dell’azionista, a una stakeholder view, alla visione di un’impresa capace di generare vantaggio a una pluralità di categorie: i clienti e gli azionisti ma anche i collaboratori, l’amministrazione pubblica, il territorio e anche le generazioni future perché ogni scelta presente condiziona chi verrà dopo di noi.

Un piccolo imprenditore quali strumenti ha per trasformare il suo business?

Le associazioni di categoria stanno facendo molto da questo punto di vista. Non è raro che le piccole imprese siano già orientate sulla sostenibilità in tanti campi ma non ne hanno consapevolezza, non le chiamano così. In un’impresa artigiana, ad esempio, è generalmente spiccata l’attenzione per i propri collaboratori e per le comunità in cui sono attive. C’è questo sì un grande bisogno di formazione e occorre mettere a punto strumenti pratici che consentano alle aziende di orientarsi su questi temi. Il tema è rilevante, la sostenibilità avrà un peso sempre maggiore nel sistema economico e le imprese tanto più saranno capaci di dimostrare un alto livello di sostenibilità e tanto più saranno competitive. 

Chi non fa nulla rischia di rimanere tagliato fuori?

Più che un rischio è una certezza. Se le aziende più grandi, nel rapporto di sostenibilità, si impegnano a scegliere un certo tipo di fornitori, è facile immaginare che tutta la filiera si orienti in una certa direzione. Siamo di fronte a una transizione generale e le scelte dell’Europa sono eloquenti, pensare di starne fuori è semplicemente impensabile.

Siamo di fronte a una transizione generale e le scelte dell’Europa sono eloquenti, pensare di starne fuori è semplicemente impensabile

Quanto è importante il recupero dei materiali?

L’economia circolare è uno dei temi in materia di sostenibilità. Grazie anche alla tecnologia, molti settori stanno facendo cose straordinarie su questo terreno. E’ chiaro che un sistema fondato sul recupero delle risorse e sull’abbattimento degli sprechi genera grandi vantaggi. Il cambiamento è a 360 gradi, riguarda ad esempio anche il design e la produzione. Pensiamo alle sneaker degli anni Novanta piene di cuciture e inserti con materiali diversi e paragoniamole ai modelli attuali, già predisposti, almeno in qualche caso è così, per la separazione di suola e tomaia e per il riciclo.

Quanto la tecnologia assiste e sostiene la crescita della sostenibilità?

La digitalizzazione è un ingrediente essenziale e non a caso si è diffusa l’espressione “innovability”, sintesi di innovazione e sostenibilità, i due driver della competitività. E’ chiaro che sono due concetti che vanno a braccetto e che ci offriranno grandi opportunità, è un campo su cui sarebbe bello che si misurassero il talento e la creatività dei giovani.