Imprese e caro-bollette: «Situazione drammatica: resistere è impossibile»

Imprese e caro-bollette: «Situazione drammatica: resistere è impossibile»

«Possiamo anche spegnere le luci, fermare i condizionatori, tenere sotto controllo i consumi, ma così non si può andare avanti. Prima spendevo 2.000 euro mensili per la corrente, ora ricevo bollette da 7.500 euro: chi me le paga?». Sabrina Ghiringhelli, titolare della Ostall di Caronno Varesino, non ce la fa più: «Rabbia? Tanta. Sto invitando i miei clienti a ordinare quanto possono tra settembre e ottobre, perché poi è possibile che i cancelli della Ostall saranno chiusi in novembre e dicembre. E chiederò la cassa integrazione. O si fa qualcosa o non se ne esce». La voce rotta dalla fatica ma ancor più dalla preoccupazione - «perché qui lavorano famiglie intere» - e l’accento su una sola parola: aiuto. Perché tutti sanno che un fermo produzione, anche se momentaneo, potrebbe portare al default.

La storia della Ostall, attiva nella lavorazione e nel taglio a laser di lamiere per le carpenterie metalliche, è una fra le tante raccolte da Imprese e Territorio per entrare nel vivo, ancora una volta, nei problemi di quelle migliaia di piccole e medie imprese che, anche in provincia di Varese, sono state messe in ginocchio dall’impennata dei costi di energia elettrica e gas. Perché da qui e per i prossimi mesi, semmai sarà possibile, tutte le aziende – energivore e non – dovranno resistere. A denti stretti. Ma non tutte, è questo ciò che dicono gli imprenditori, «ce la faranno».

L’economia reale, quella che ogni mattina mette in moto questo nostro Paese fatto di botteghe, laboratori, officine, è cosa diversa dalle proiezioni statistiche. Sulle Pmi, che il rialzo dell’energia anche al 350% e più ha spogliato di qualsiasi certezza e fiducia, soffia il vento gelido dell’inverno. E chi può, ma si tratta in questo caso soprattutto di aziende che non hanno picchi costanti nel consumo di energia, mette in campo un mix di accorgimenti tecnici: installazione di impianti fotovoltaici o potenziamento di quelli che già ci sono, macchinari spenti quando si può, uso dell’illuminazione naturale e sostituzione delle lampadine alogene con quelle a led. Ma le domande che bussano alla porta si fanno incalzanti: come attrezzarsi, in quali tempi e con quanti e quali sacrifici?

Risposte poche. Più tentativi che azioni risolutive. Lo sa bene Isabella Mariani della Cabi Group di Caronno Varesino. Qui si assemblano schede elettroniche e la collaborazione tra amministrazione, uffici e produzione è a trecentosessanta gradi. L’ansia è costante e la co-titolare non la nasconde: «Due mesi fa ci è scaduto il contratto che bloccava il prezzo dell’energia per due anni e l’impianto fotovoltaico che occupa per intero il tetto dell’azienda fa quello che può. Aiuta? Certo, ma per tenere il passo l’impresa deve investire e noi lo facciamo ogni anno. I macchinari robotici si mangiano l’energia; lo smart working è impensabile perché l’interazione tra i colleghi è al massimo; in estate il condizionamento è fondamentale perché mantiene la buona qualità dei prodotti e le porte dell’azienda devono stare chiuse». Per una semplice ragione: la componente elettrostatica dell’aria danneggia le schede. Disillusione e amarezza: Isabella Mariani sa che i prossimi mesi saranno «duri e terribili».

Deciso e pragmatico lo è anche Pietro Zuretti della Zuretti Luigi & C., che parla con tranquillità di un problema che toglie il sonno. Ma la capacità di pianificazione se la tiene stretta e pensa a come allentare la morsa di costi che stanno limando i margini delle imprese fino all’osso. Sulle fonti rinnovabili, come il solare, scommette anche lui: «Per avere un impianto fotovoltaico che produce una volta e mezzo il fabbisogno energetico della mia azienda ci ho messo un anno: il problema delle materie non è affatto risolto, ma alla fine ce l’ho fatta. L’officina mi preoccupa meno perché le macchine emanano calore quanto basta. Per quanto riguarda il resto, manterremo il lavoro da remoto; i condizionatori sono stati accesi per pochi giorni, proprio quando il caldo-umido estivo toglieva l’ossigeno, e alcune produzioni verranno dismesse. Ma questa è una scelta indipendente dalla crisi energetica». Una scelta che introduce un problema trainato dai costi dell’elettricità e del gas: «Nei prossimi mesi andranno in pensione almeno tre persone, ma ho deciso che non ne occuperò altre». La voce si spezza, ma è ferma: «In questa situazione non posso permettermelo».

Il mantra del “chiudo-non-chiudo” rimbalza da impresa a impresa, ma c’è anche chi si tiene lontano dal catastrofismo. Luca Lavarra, della Giannini e Lavarra di Montegrino, è positivo di natura. Si potrebbe dire un ottimista nato. La sua azienda produce ancora margini e sono buoni, ma ogni giorno si ha a che fare con l’incognita dei prezzi. E allora Luca, che non dimentica il suo entusiasmo, si dà una carica motivazionale che ha dell’incredibile: «Inutile piangersi addosso, perché possiamo fare ben poco. Anch’io mi sono affidato al fotovoltaico e con questo posso ridurre i costi energetici del 40%. Questo ovviamente vale per l’estate; con l’arrivo della brutta stagione il vantaggio si riduce al 10%, ma abbassando di un grado il riscaldamento dell’impresa ottengo un altro 12%». Ma c’è dell’altro: compressori a inverter, lampadine alogene sostituite da quelle a led, macchinari spenti durante la pausa pranzo. Anche una sola ora potrebbe fare la differenza per quest’azienda che ha visto le sue bollette elettriche passare dai 2.000 euro del 2020 ai 7.000 euro del 2022 (da 0,30 a 0,70 centesimi al KwH).

Però, è difficile non scoraggiarsi. E allora le voci degli imprenditori si fanno ancora più taglienti, si avverte la paura ma, soprattutto, ci si chiede «come è possibile essere arrivati a questa situazione. Come è possibile non capire che senza imprese, perché è questo il rischio che si corre, non ci sarà un domani per noi e per nostri giovani». Se lo chiede Angelo Candiani della Sistem Color di Busto Arsizio. Serramentista che produce e che restaura, attento ad usare vernici sostenibili, curatore del bello. E del lavoro. Un lavoro che, secondo lui, «rischia di sparire a causa di questa ventata di costi che una piccola azienda non potrà mai assorbire». Prossimo alla pensione (ormai mancano solo quattro anni), vorrebbe continuare questa attività fatta di fatica ma anche di tante, tantissime soddisfazioni. Ora, però, l’imprenditore viva quotidianamente una condizione di impotenza: «Le bollette si devono pagare e basta. E a nulla è servito l’impianto di illuminazione a led, costato tremila euro, che mi garantiva un risparmio di duecento euro al mese. Ormai, questi e tanti, tanti altri se ne vanno in corrente. Per non parlare poi del riscaldamento: se non lo uso, le vernici non si asciugano». E il legno è l’ennesima nota amara: il costo della materia è più che raddoppiato. Ma questa è un’altra storia.