Competenze, conoscerle per valorizzarle: perché non basta parlare di skills
Il concetto di competenze va oltre la semplice padronanza tecnica di un lavoro. Come spiega Silvia Bagdadli, professore alla Bocconi, si tratta di un insieme di conoscenze, abilità, comportamenti e altre caratteristiche personali. La mappatura delle competenze è un processo cruciale
Il ricambio generazionale, l’ingresso di nuovi competitor nel mercato, una variata strategia di business o semplicemente la volontà di continuare a operare nel miglior modo possibile: in un contesto in continua evoluzione, sono tante le sfide che un’azienda si trova ad affrontare quotidianamente. Come? Riconoscendo prima e introducendo poi tutte le competenze dei suoi lavoratori.
Cosa si intende veramente con questo termine? Le competenze sono capacità tecniche o comprendono comportamenti e atteggiamenti? Lo spiega Silvia Bagdadli, professore associato del dipartimento di management e tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, dove dirige il master specialistico in Organizzazione e Personale: «Si può ricorrere all’acronimo KSAO, ovvero Knowledge, Skills, Abilities e Other Characteristics, secondo una definizione stilata da alcuni psicologi americani che hanno studiato il tema. Knowledge è l’insieme delle conoscenze, dal know-how ingegneristico alla statistica, mentre le skills sono le capacità tecniche proprie di qualsiasi mestiere. Con abilities si indicano invece le abilità manageriali, come la negoziazione, il sapersi relazionare, la leadership o l’essere in grado di gestire di altre persone. Esistono poi altre caratteristiche collegate a prestazioni di alto livello, atteggiamenti riguardanti la sfera motivazionale come la personalità e il committment verso l’azienda».
MAPPATURA DELLE COMPETENZE
Un concetto composito, quindi, quello di competenze, in cui i diversi fattori variano d’importanza a seconda del ruolo: è evidente che alcune mansioni più produttive richiedano maggior capacità tecniche, mentre altre figure professionali necessitino di forti abilità manageriali. Ecco perché assume una grande importanza la mappatura delle competenze presenti in azienda, un processo sofisticato che richiede la collaborazione tra responsabili e risorse umane.
«Inizialmente viene eseguita la mappatura delle competenze dei singoli ruoli, a prescindere dalle persone che li occupano, - fa notare Bagdadli. – Attraverso la tecnica della behavioural event interview, si intervistano diverse persone con lo stesso ruolo, chiedendo loro di spiegare non solo le attività che svolgono, ma anche i comportamenti che mettono in atto. Da ciò che emerge in termini di comportamento, si estraggono le competenze». Che tuttavia non saranno omogenee: «Bisognerebbe intervistare i dipendenti considerati migliori e un gruppo di controllo, ovvero altri lavoratori che rispecchiano la media, per procedere poi all’analisi differenziale». Un’indagine di questo genere richiede un grande impegno in termini di sforzi e abilità che non tutte le aziende possono permettersi: «Un’altra metodologia prevede di riunire un gruppo di dipendenti con la stessa mansione e i loro capi, per ragionare insieme su quali siano le competenze utili per svolgere al meglio il loro ruolo», chiarisce la docente dell’Università Bocconi.
Solo dopo aver individuato le competenze richieste per ogni singolo ruolo o famiglia professionale, è possibile valutare conoscenze, abilità e capacità delle persone che ricoprono quelle mansioni. «Il gap tra le competenze di ruolo e quelle del singolo lavoratore rappresenta un input importante per le attività di sviluppo, ma anche di valorizzazione del dipendente, magari attraverso percorsi di formazione o una futura promozione», nota Silvia Bagdadli, che evidenzia come l’attività di valutazione sia un processo combinato a cui collaborano capi e risorse umane o lo stesso imprenditore, nel caso di piccole imprese: «Al crescere dell’azienda, suggerisco sempre di dotarsi di una figura che si occupi delle risorse umane a 360°, ovvero non solo per questioni amministrative, ma per aiutare i responsabili nelle valutazioni, nei percorsi di sviluppo, nella gestione dei feedback ai lavoratori».
PAGARE I RISULTATI DIFFERENZIALI
Competenze, sviluppo, promozione: nelle piccole imprese capita sovente che non ci sia però spazio di crescita, che non ci siano posizioni libere per chi dimostra capacità superiori. Come ridurre il senso di frustrazione dei dipendenti, valorizzarne il lavoro ed evitarne la fuga verso altre società? La professoressa Bagdadli propone alcune soluzioni: «Una prima possibilità è quella di introdurre un sistema di incentivazione variabile, pagando i risultati differenziali. Una seconda modalità consiste nell’assegnare ai più capaci dei progetti, permettendo loro di mostrare le doti di gestione di tempi, persone e budget, sempre a fronte di una retribuzione dei risultati; infine, si possono pensare attività di formazione avanzata».
Senza dimenticare di alimentare il legame tra il dipendente e la propria impresa: «Facciamo in modo che i lavoratori abbiano dei bravi responsabili e sentano di lavorare per persone valide. Il committment, il legame affettivo con l’azienda, è un atteggiamento importante che spinge a lavorare al meglio, con maggior motivazione», chiude la docente. Caterina Chiara Carpanè