L'impresa risoluta ha una forza: battere i luoghi comuni

Cosa c’è di più creativo dell’impresa, capace di guardare un po’ più in là, immaginare, contribuire al cambiamento grazie a una visione inedita e a un’idea di futuro

di Matteo Inzaghi
Direttore di Rete 55
Matteo Inzaghi

Diceva Martin Luther King che la salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti.

E cosa c’è di più creativo dell’impresa, capace di guardare un po’ più in là, immaginare, contribuire al cambiamento grazie a una visione inedita e a un’idea di futuro? Proprio lì, nelle mille sfaccettature che il termine impresa sa esprimere, si annidano i germi di una ripartenza tanto agognata quanto difficile da cogliere e definire.

Eppure, tra le pieghe di un presente che assilla e spaventa per il suo carico di incertezza, è possibile riconoscere, già oggi, le coordinate di ciò che porterà l’economia fuori dall’atroce palude che ci imprigiona da oltre un anno. In fondo, sono le stesse coordinate che hanno tenuto in piedi, nella furia della tormenta, attività che sembravano destinate a collassare e che invece, oggi, come fili d’erba soffocati dall’asfalto, trovano la forza di penetrare lo strato freddo e nero e ritrovare la luce.

La chiamano resilienza, prendendo a prestito la dote di quei materiali che resistono agli urti più feroci senza spezzarsi, ma anche la capacità psicologica di uscire indenne da eventi traumatici.

Parola emblematica, non c’è dubbio. Cui ne aggiungo un’altra: risoluzione, a mio avviso più calzante, trattandosi di imprese. Perché indica la capacità di sciogliere i nodi scorsoi, le difficoltà più complesse. E dalla mia personale esperienza, frutto dell’incessante interlocuzione che mi porta quotidianamente a confrontarmi con imprenditori e collaboratori, manager e amministrativi, impiegati e operai, sono convinto che, a crisi finalmente conclusa, ci guarderemo indietro e scopriremo che i nodi risolti saranno più di quanti crediamo.

Non prendetemi per un sognatore, o per un ingenuo osservatore che si ostina a guardare il bicchiere mezzo pieno. So bene che, di macerie, toccherà contarne parecchie. E che la sofferenza collettiva raggiungerà (fino a superare) i livelli, già assai drammatici, di dieci anni fa. Perciò guardo con interesse e molta apprensione al momento in cui toccherà al Sistema nel suo complesso il compito di riassorbire, ricollocare, valorizzare le risorse umane che resteranno in acqua, alla mercé di correnti e pesci carnivori.

Ciononostante, ritengo che un punto importante, culturale prima ancora che economico, sia già stato segnato e abbia cambiato per sempre le sorti della partita.

Mi riferisco al rapporto tra imprenditori e dipendenti e alla rappresentazione plastica di una sinergia che l’emergenza Covid ha riaffermato in tutta la sua inequivocabile potenza virtuosa.

A fronte di uno Stato che ritardava l’erogazione degli ammortizzatori sociali, tanti “capitani d’impresa” hanno messo mano al portafogli e anticipato la cassa. A fronte di una situazione di emergenza sanitaria che allarmava e mieteva vittime, tanti proprietari hanno messo in sicurezza le proprie ditte, acquistato dispositivi, implementato la tecnologia aziendale per consentire il lavoro a distanza, favorito il cambio di turni per evitare incroci e sovrapposizioni.

E, nello stesso tempo, migliaia di lavoratori si sono messi a disposizione senza se e senza ma; hanno macinato più ore del solito, rivoluzionato la propria personale routine, incastrato faticosamente l’organizzazione del lavoro con un ménage domestico che, a scuole chiuse, ha finito per scardinare qualunque coordinata domestica.

Nulla di nuovo per chi lavora nel tessuto delle Pmi, né per chi, con quel tessuto, interloquisce regolarmente.

Ma il nostro è un Paese strano, nel quale realtà e rappresentazione ideologica viaggiano spesso a braccetto, contribuendo a proiettare, agli occhi dell’immaginario, una visione stereotipata, manichea, abituata a dipingere fronti, rigidità e contrapposizioni, laddove, il più delle volte, spiccano sinergia, flessibilità e condivisione.

Ecco, mi piace pensare che almeno questo risvolto possa dirsi consolidato al punto da diventare, d’ora in avanti, parte integrante della narrazione d’impresa.

Perché ciò che è stato salvato e che, in prospettiva, tornerà ad alta quota, non è frutto di isolate volontà, ma di un unico cuore resiliente e risoluto, capace di battere più forte delle avversità.

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