Coltivare l’influencer dentro l’impresa
Se può farlo chiunque, perché non può provarci chi fa impresa? In fondo, qualsiasi imprenditrice o imprenditore, all’inizio della carriera vende la propria impresa, il proprio prodotto o servizio o il proprio brand alle persone che incontra. Meno rischi e costi. Più controllo di contenuti e reputazione, ma anche più impegno
È una delle scelte digitali più attuali di chi governa l’impresa: pago un influencer per promuovermi nei contesti digitali o lo faccio io?
COSTI E VISIBILITÀ
La grande diffusione dell’influencer marketing testimonia oggi la vittoria schiacciante della prima opzione: in Italia un numero crescente di imprese paga (nel 2023 oltre 300 milioni di euro) per far parlare dei propri prodotti e servizi quelli che oggi chiamiamo influencer.
Sono professionisti funzionali perché dietro compenso svolgono la funzione precisa di influenzare le scelte commerciali dei propri seguaci, tentando di portarli ad acquistare i prodotti ed i servizi delle imprese che li pagano.
Vendono click-reputazione-visibilità e nel migliore dei casi vendono anche la loro conoscenza accumulata nel tempo su quel prodotto, quel servizio o quel settore. E lo fanno mettendo sul tavolo delle imprese il loro numero di follower, oggi pesati commercialmente con molta precisione.
Ci sono influencer da grandi numeri e da piccoli numeri, pagati da 50€ a post fino ad oltre 100.000€, dove il post è il contenuto creativo da loro realizzato, in molteplici formati e canali, che parla dell’impresa cliente, del suo prodotto o servizio, o semplicemente marchio.
UN’OPPORTUNITÀ PER TUTTE LE IMPRESE
Il contesto è vivace e da considerare, e soprattutto si allarga. Il milieu dell’influencer è oggi fatto da Facebook, YouTube, Instagram e TikTok, come negli anni 80 era la televisione commerciale: uno spazio nuovo che dava un’opportunità a tutte le imprese.
Con una differenza: la televisione era cosa da professionisti, mentre la figura dell’influencer non lo è. Anche se richiede impegno costante e duraturo, è alla portata di tutti, ed è perciò uno dei fenomeni più evidenti della disintermediazione digitale.
Dunque, se può farlo chiunque, perché non può provarci chi fa impresa? In fondo, qualsiasi imprenditrice o imprenditore, all’inizio della carriera o anche ogni giorno, vende la propria impresa, il proprio prodotto o servizio o il proprio brand alle persone che incontra.
Inoltre, la grande migrazione sul web consente a chiunque di trovare la propria nicchia in virtù della coda lunga, fenomeno per cui si possono individuare non solo grandi mercati, ma soprattutto piccoli mercati specifici.
PRIMA PER CASO
L’opportunità del web è quindi offerta a tutti. Chiunque può aprire una pagina aziendale, un profilo LinkedIn o Instagram. Ma prendere la parola di persona, far vedere il proprio viso e far sentire la propria voce come un influencer è un’altra cosa.
Eppure, dentro l’impresa c’è chi prende coraggio e lo fa, quasi per gioco o per caso, partendo col considerare questa opportunità come gratuita, perché almeno all’inizio non c’è nessuno e nulla da pagare. Così, per primi cominciano i figli ed i nipoti nativi digitali dell’impresa, e talvolta i genitori.
Ogni giorno nasce qualche influencer dentro l’impresa. Apre la via a chi verrà dopo, incuriosisce e stimola tanti simili ed altrettanti indecisi, divisi tra il “non lo farò mai” ed il “potrei benissimo provarci anche io”.
POI CON IMPEGNO PROFESSIONALE
Lo sbarco sul web dell’influencer nato dentro l’impresa è un po' come la scoperta dell’America. Prima per caso, poi comporta impegno, studio ed investimento per popolare ed abitare un ambiente nuovo, pieno di opportunità da cogliere con strumenti nuovi.
Expertise e contenuti
Se si risparmiano i costi altrimenti destinati ad influencer esterni, la coltivazione di influencer dentro l’impresa costa in termini di tempo dedicato alla valorizzazione della propria expertise e dei propri contenuti: vanno individuati e raccolti, elaborati e convogliati in formati e canali adatti.
C’è chi raccoglie e poi racconta la propria storia d’impresa, investendo sul marchio e sulla propria reputazione. Chi invece si impegna a risolvere i problemi dei clienti con consigli pratici, con l’insegnamento dell’uso dei propri prodotti o servizi. Ci si trasforma in esperti visibili.
Rischi e coerenza
L’investimento di più lungo periodo è quello sulla coerenza tra obiettivo e strumento, tra impresa e personalità umana, tra rappresentazione e realtà; ed è l’unica arma contro i rischi più diffusi tra gli imprenditori-influencer di oggi, come questi:
- il rischio-vanità di chi perde di vista l’obiettivo e parla solo e sempre di sé;
- il rischio-dittatura di chi “diventa famoso” sul web e fa ruotare tutta l’impresa intorno a sé;
- il rischio-distrazione di chi si innamora dello strumento e si perde in commenti;
- il rischio-chimico di chi diventa dipendente dalla dopamina dei like ricevuti e ci passa ore;
- il rischio-falsità di chi in pubblico rivela la sua inautenticità ed è respingente;
- il rischio-dei baffi finti di chi vende un’ottima impresa, che tanto ottima non è.
Ognuno di questi esempi è ben rappresentato: c’è l’imprenditore del tessile-moda e quello della distribuzione food, quello dell’arredo casa e quello della sanità privata. Tutti iniziati agli strumenti dell’influenza, poi usati malamente e senza coerenza.
Come per l’incipit di Anna Karenina di Lev Tolstoj “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice lo è a modo suo” così è per gli influencer coltivati dentro l’impresa: gli strumenti che li fanno funzionare sono sempre gli stessi. Buoni contenuti e coerenza, perseveranza ed equilibrio.
Antonio Belloni
Responsabile Centro Studi Imprese Territorio