Geopolitica per crescere: la mappa strategica per le imprese nei mercati complessi

In scenari globali frammentati, la geopolitica diventa bussola per orientare scelte, ridurre rischi e costruire nuove occasioni di sviluppo per aziende e manager

Geopolitica per le imprese

Dalla pandemia alla guerra in Ucraina, dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina alla corsa alle materie prime, l’ordine mondiale si è frammentato, rivelando un nuovo scenario di incertezze, barriere e conflitti. Oggi, per qualunque azienda – dalle realtà locali alle grandi multinazionali – ignorare la geopolitica significa rinunciare a capire le regole profonde che governano i mercati. Ne parliamo con Marco Valigi, politologo specializzato in relazioni internazionali e docente all’Università Cattolica, autore di Geopolitica per le imprese. Ripensare il business nei mercati post-globali che parte da un presupposto: la geopolitica non è un linguaggio accessorio del management, ma un paradigma per interpretare il mondo nel quale i manager agiscono.

In un contesto segnato da conflitti, riallineamenti politici e tensioni commerciali, la dimensione geopolitica diventa una bussola imprescindibile per determinare il successo o il fallimento della proiezione internazionale della propria impresa. Ignorarla significa navigare senza mappe e senza quelle competenze necessarie per gestire rischi che impattano ogni funzione aziendale, dalla supply chain alle strategie competitive. Ma cosa significa davvero geopolitica applicata alle imprese? «Ci riferiamo a un approccio che integra la variabile politica nell’analisi dei mercati esteri», spiega il professor Marco Valigi. «È un termine ancora poco conosciuto e valorizzato dalla governance aziendale, oggi indispensabile per decifrare un mondo più complesso e meno lineare rispetto al passato. Dal 2020, una serie di eventi internazionali ha esercitato un impatto notevole su individui, società, politica e attività economiche, generando instabilità e squilibri profondi. La geopolitica può essere un fattore generativo di valore e una leva strategica per ripensare i modelli di business».

In un quadro globale frammentato, dove interconnessione e divisioni coesistono alimentando conflitti commerciali e identitari, manager e imprenditori si trovano a dover interpretare segnali che vanno oltre il loro settore specifico e l’analisi tecnica dei mercati. «Non è più quel mondo piatto dove le distanze si annullavano e tutto appariva accessibile e percorribile – osserva Valigi – La globalizzazione tanto scontata da aver reso il pianeta un grande campo da gioco, si è incrinata definitivamente. Da un unico mercato globale, integrato e governato da regole condivise siamo passati a spazi economici/politici eterogenei, in cui le imprese si trovano a operare secondo regole, rischi e rapporti di forza differenti». Una globalizzazione a macchia di leopardo, dove aree connesse convivono con aree tagliate fuori o attraversate da muri e ostilità: «Serve visione sistemica, apertura e capacità di azione strategica in scenari incerti».

SUPERARE LA MIOPIA STRATEGICA PER GESTIRE LA COMPLESSITÀ

Geopolitica per le imprese

La miopia strategica rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita delle piccole e medie imprese italiane. Come sottolinea Valigi. «Questo limite si traduce in un modus operandi reattivo piuttosto che proattivo, focalizzato sul breve termine, che porta a concentrarsi sulla massimizzazione dei profitti immediati, senza una reale pianificazione di lungo termine: le aziende intervengono solo dopo che gli eventi critici si sono verificati, senza cogliere le opportunità emergenti e senza prepararsi adeguatamente alle sfide future».

Spesso le Pmi italiane restano imprigionate in una forma di autoreferenzialità che impedisce di sviluppare visioni internazionali solide, capaci di leggere la complessità geopolitica e trasformarla in azione strategica. I leader devono abbandonare la logica del “gioco finito”, in cui l’obiettivo è massimizzare l’efficienza e vincere secondo regole fisse, per abbracciare la mentalità del “gioco infinito”, che considera la sostenibilità di lungo termine, l’adattabilità continua e la costruzione di valore strategico in scenari mutevoli.

Superare questa visione limitativa significa padroneggiare un nuovo mindset di leadership grazie a due competenze fondamentali: context reading, ossia la capacità di comprendere in profondità il contesto in cui si muovono, integrando geopolitica, cultura, economia e istituzioni; e context shaping, l’abilità di plasmare il contesto stesso, contribuendo a definire regole, standard e reti di relazione per creare condizioni favorevoli al business.

Un altro errore frequente riguarda l’espansione verso Paesi percepiti come affini o culturalmente vicini, scelta adottata per ridurre l’incertezza. «Spesso è proprio questa percezione di similitudine a generare fallimenti», osserva Valigi. «Entrare in mercati che appaiono simili, senza un’analisi approfondita delle differenze sociali, politiche e culturali, rivela la miopia di un approccio opportunistico».

LA SFIDA FUTURA SARÀ L’IBRIDAZIONE DEI SAPERI

In un mondo in cui economia e politica sono intrecciate, la gestione d’impresa richiede figure capaci di navigare queste intersezioni. «Bisogna smettere di pensare che il confine del business coincida con quello della propria impresa o dei clienti diretti», afferma Valigi. La geopolitica, in quest’ottica, diventa un asset fondamentale per prendere decisioni consapevoli ed efficaci. Non un vezzo intellettuale, ma una bussola per orientarsi in un mondo dove l’incertezza politica e strategica è la regola. «In Italia manca una cultura delle competenze ibride – continua Valigi – Nei board aziendali servirebbero figure capaci di muoversi tra discipline diverse, di fornire analisi prospettiche e supportare le strategie di posizionamento, andando oltre la rendicontazione di breve termine».

REGIONALIZZAZIONE: SCELTA STRATEGICA O RIPIEGAMENTO?

Geopolitica per le imprese

Su questo sfondo cresce la propensione a ridurre l’esposizione internazionale puntando sui mercati regionali. Una scelta dettata da prudenza o dalla rinuncia a confrontarsi con un mondo più complesso? Secondo Valigi, «la regionalizzazione è una conseguenza inevitabile di questa fase storica, segnata dall’assenza di un lessico e di valori condivisi tra i principali attori internazionali. Oggi ogni Paese parla un proprio linguaggio, non esiste un vocabolario condiviso. Mancano simboli e valori comuni. Molte aziende – prosegue – scelgono la regionalizzazione dei mercati come strategia per contenere l’esposizione a fattori esterni. Tuttavia, concentrarsi esclusivamente sul proprio mercato regionale può diventare un limite strategico se non è accompagnato da un’analisi geopolitica globale».

Valigi mette in discussione anche uno degli assunti più celebrati del sistema produttivo italiano: il mito delle Pmi. «In Italia le vere medie imprese sono appena il 5%. Abbiamo una maggioranza di piccole e micro imprese da 10-15 dipendenti, mentre mancano realtà di 40-50 persone che possano costituire la spina dorsale dell’internazionalizzazione: le piccole realtà manifatturiere non vanno a cercare i mercati, aspettano che siano i mercati a trovarle. Questo non significa avere un progetto di posizionamento internazionale, ma ricevere richieste per il proprio saper fare».

IMPLICAZIONI PRATICHE E NUOVO PARADIGMA DI LEADERSHIP

Guardando ai prossimi anni, Valigi individua aree di attenzione prioritarie che richiederanno una lettura geopolitica approfondita: gli effetti dei conflitti in Medio Oriente sugli equilibri globali e sui bisogni che ne deriveranno, ben oltre la dimensione regionale; l’evoluzione dei rapporti di forza interni alla Cina; la durata e la portata delle tensioni commerciali intra-occidentali. Come reagire a un contesto così fluido? La risposta richiede un nuovo paradigma di leadership aziendale che integri competenze geopolitiche a livello organizzativo e abbracci la complessità come fonte di valore strategico piuttosto che come ostacolo da minimizzare.

La geopolitica smette così di essere un orpello teorico per trasformarsi nella lente critica indispensabile per generare valore sostenibile. «Il modo giusto per reagire a politici senza una particolare visione e idea di Paese è di avere imprenditori lungimiranti. Se alla miopia reagisco con altrettanta miopia, si crea un effetto combinato rafforzativo di strategie sbagliate. L’essere anticiclico è la forza dell’imprenditore sano», conclude Valigi. «Significa prepararsi con finanza adeguata e strategie prospettiche, strutturando l’impresa per affrontare la complessità invece di subirla».

UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA PER IL FUTURO

La geopolitica non è un capitolo in più, né un linguaggio tecnico riservato agli analisti internazionali. È la leva che può trasformare contesti ostili in opportunità e aiutare le imprese a superare quella miopia strategica che limita la loro crescita. È la mappa senza la quale si rischia di perdersi in un mondo frammentato, fatto di spazi economici diversi, regole non condivise e tensioni costanti. Come ricorda Valigi, non basta conoscere il proprio settore: serve una nuova attitudine mentale che integri economia, politica, cultura e istituzioni, perché senza la capacità di leggere e plasmare il contesto, ogni strategia rischia di essere cieca. Ma siamo pronti, come sistema Paese, a ripensare il business con questa profondità di sguardo? Sarà la capacità di farlo oggi a determinare il posizionamento di domani. Chi inizierà per primo, definirà le regole del gioco.

IN SINTESI:

  1. La geopolitica come leva strategica per le imprese: la geopolitica non è un linguaggio accessorio del management ma un paradigma indispensabile per interpretare i mercati globali e guidare le decisioni aziendali in scenari complessi e frammentati.
  2. La fine della globalizzazione “piatta”: l’ordine mondiale si è frammentato in spazi economici e politici eterogenei, segnati da conflitti, barriere e riallineamenti; non esiste più un unico mercato integrato governato da regole condivise.
  3. La miopia strategica delle Pmi italiane: molte imprese italiane sono reattive, focalizzate sul breve termine e prive di visione geopolitica, rimanendo legate a mercati percepiti come affini senza un reale progetto di posizionamento internazionale.
  4. La regionalizzazione come risposta parziale: concentrarsi solo su mercati regionali può ridurre l’esposizione al rischio ma, senza un’analisi geopolitica globale, rischia di trasformarsi in un limite strategico anziché in una scelta di adattamento consapevole.
  5. Nuovo paradigma di leadership e competenze ibride: servono leader capaci di integrare geopolitica e management, abbandonando la logica del “gioco finito” per abbracciare la complessità come fonte di valore strategico e prepararsi con visione anticiclica e finanza adeguata. Paola Mattavelli