Ricostruire le filiere: ristrutturazioni radicali e alleanze

Per obbligo o per scelta, le imprese stanno ricostruendo le proprie filiere: con fornitori più integrati, contratti e controlli più stringenti e alleanze più strette. Rivolte al mercato, alla trasparenza, al risparmio. Vuoi saperne di più? Ti aspettiamo il 10 dicembre a Gallarate

Filiere corte

di Antonio Belloni *

Rinviare la ristrutturazione della propria filiera non è più un’opzione.

Non ci pensa solo Apple, che ha cambiato da poco il suo responsabile di filiera.

È una priorità comune.

Non ci sono più imprese in grado di dire “lo farò l’anno prossimo”, oppure di fare

i conti in tasca per poi arrivare alla conclusione che “non appena avrò trovato i soldi o si riprenderà il mercato, ci penserò”.

È adesso che la realtà aggredisce le filiere.

QUATTRO SPINTE ECCEZIONALI

Per almeno quattro ragioni un’impresa non può evitare la ristrutturazione della propria filiera.

  1. L’esperienza del Covid ha lasciato un brivido di impotenza: ricorda alle imprese cosa significhi essere dipendenti da altri, soffrire per i ritardi nelle consegne, per i rialzi dei prezzi e per i fermi macchina.
  2. La geopolitica, che sembrava meno pressante dopo il calo del terrorismo,  è tornata al centro dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, ricordando che i mercati chiusi, le scorte irreperibili o esaurite e l’incertezza restano sempre dietro l’angolo.
  3. Le decisioni politiche incidono in modo crescente: quelle nazionali, con i poteri straordinari del Golden Power e le scelte di politica industriale; quelle europee, con nuove normative (ad esempio su microchip, tessile e moda, food).
  4. I consumatori esercitano ora un ruolo di controllo: proiettano aspettative etiche sui prodotti, sui materiali, sui processi di produzione e sul ciclo di vita dei beni.

La combinazione di questi quattro elementi impone una ricostruzione delle filiere – voluta o subita – che costa molto, incide sulle scelte quotidiane delle imprese e le costringe a guardarsi intorno, spesso anche molto vicino a casa.

Tutti i settori sono coinvolti, ma a trascinare la ristrutturazione c’è un gruppo di testa guidato dall’automotive e dalla meccanica, dal tessile-moda-abbigliamento, dall’agroalimentare e dalla plastica, dall’edilizia.

Il settore automotive, per esempio, è quello più carico di novità.

Nei primi giorni di novembre, Tesla ha annunciato un’accelerazione netta della propria strategia di filiera, con l’intenzione di ridurre al minimo il numero dei propri fornitori cinesi e in futuro portarlo a zero.

URGENZA E OBIETTIVI 

Non per tutti si tratta di un sacrificio o una strada in salita.

Da molte imprese, infatti, questa trasformazione è ben accolta. Per ragioni strategiche ed economiche, ma anche perché rappresenta un cambiamento pensato da tempo e rimandato solo per la mancanza di un’occasione adatta o di un senso di urgenza.

Per la maggior parte di queste, gli obiettivi della ristrutturazione sono direttamente collegati alle quattro spinte – Covid-geopolitica-politica-consumatori – e risultano condivisi e ambiziosi.

Dietro a molti obiettivi ci sono bisogni di:

  • controllo;
  • trasparenza;
  • sicurezza;
  • conformità alle normative ESG;
  • riduzione dei costi.

LA RISTRUTTURAZIONE DI FILIERA

Applicati alle singole imprese, questi obiettivi segnano profondamente le scelte strategiche e quelle di lungo periodo, i loro comportamenti e le loro attività quotidiane.

Non sono destinati a lasciare cambiamenti superficiali, ma segni profondi.

I primi effetti si traducono in controlli più frequenti e in un monitoraggio attento e scrupoloso dell’intera filiera e dei fornitori.

In concreto, ciò comporta l’adozione di software gestionali dedicati alla tracciabilità dei processi produttivi e di approvvigionamento, al miglioramento della trasparenza e dell’efficienza.

Molte imprese – come accade nella filiera tessile toscana – scelgono di internalizzare e acquisire fornitori, con l’intenzione di innalzare i propri standard in materia di condizioni di lavoro, salute, qualità delle materie prime.

È un percorso di diversificazione, selezione, razionalizzazione dei fornitori capace di trasformare i contratti, introdurre regole più stringenti e penetranti per tutti i partner della filiera.

Un percorso che può produrre conseguenze certe e altre probabili.

CONSEGUENZE POSITIVE

Pur con un inevitabile aumento dei costi, dovuto al rincaro di materie prime e lavoro, la ristrutturazione delle supply chain porterà effetti positivi soprattutto per un Paese come l’Italia, caratterizzato da bassi livelli di efficienza e produttività.

Il primo effetto è la creazione di un’integrazione verticale, utile per recuperare marginalità perdute o generarne di nuove. Nascono così imprese capaci di coprire l’intera filiera di settore o gran parte di essa.

Il secondo è la nascita di integrazioni orizzontali, che mettono in relazione più aziende dello stesso comparto, riducendo le tradizionali barriere competitive e favorendo la collaborazione.

In entrambi i casi, il lavoro si progetta attorno al cliente, instaurando un dialogo continuo tra chi consuma, chi produce e chi fornisce le componenti necessarie per la realizzazione e l’assemblaggio del prodotto finito.

Spesso questo “pensare più in grande” porta poi ad aggregazioni quasi familiari: imprese che si conoscono da anni e che fino a ieri erano concorrenti, oggi si avvicinano e poi si uniscono.

Dimensione, integrazione, autonomia e indipendenza non sono però gli unici risultati positivi.

Sta infatti emergendo la figura del responsabile di filiera, che mai come oggi ha ricevuto così tanta visibilità e su cui poggiano ora molte responsabilità e molti poteri decisionali.
Si formalizzano poi competenze e processi attraverso certificazioni, report e audit: attività che possono sembrare lunghe e onerose, ma che consentono alle imprese di dimostrare il proprio valore, quindi di giustificare, in futuro, prezzi più elevati.

* Responsabile Centro Studi Imprese Territorio

 

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