Vuoi crescere davvero? Prima trasforma la tua impresa, poi conquista i mercati esteri
Non basta esportare: per scalare serve un’impresa pronta al cambiamento. Cultura, leadership e visione globale sono il primo passo verso il successo internazionale

di Rosario Bucca *
Nel 2024, la Fortune Global 500 conferma una realtà poco incoraggiante: l’Italia si posiziona ancora agli ultimi posti tra i paesi del G7 per numero di aziende globali. Solo 9 imprese italiane sono presenti nella classifica, a pari merito con Brasile e Spagna. Un dato invariato dal 2016, sintomo di una persistente difficoltà nel competere su scala internazionale.
Questa debolezza strutturale si riflette anche sul fronte degli Investimenti Diretti Esteri (IDE): l’Italia rappresenta poco più del 4% del totale europeo, molto al di sotto della sua quota di Pil. Nonostante la qualità dei suoi prodotti e la notorietà del Made in Italy, il sistema imprenditoriale italiano continua a faticare a “scalare” globalmente.
L’EQUIVOCO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Troppo spesso l’internazionalizzazione viene ancora interpretata come un’estensione dell’attività commerciale: un potenziamento dell’export o l’inserimento di un agente estero. Ma la realtà è ben più complessa.
Le imprese possono affrontare l’internazionalizzazione attraverso quattro livelli crescenti:
- Export diretto o indiretto
- Apertura di filiali “greenfield”
- Accordi di partnership su mercati specifici
- M&A con presidio strutturale nei mercati esteri
A queste modalità si aggiungono quattro driver strategici:
- Ricerca di efficienza
- Ricerca di mercati
- Ricerca di risorse
- Ricerca di conoscenza
Le aziende italiane mostrano una chiara preferenza per la ricerca di mercati, con una logica tattica e di breve periodo. Al contrario, le imprese francesi e tedesche perseguono strategie di efficienza e apprendimento, sfruttando operazioni complesse di M&A per consolidare la propria presenza globale (basti pensare a Schneider Electric, Legrand, Rexel, Sonepar).
L’AUTOSELEZIONE CULTURALE: IL FRENO INVISIBILE
Secondo dati della Banca d’Italia, le imprese italiane tendono a privilegiare mercati “simili”, culturalmente vicini. Ne risulta una concentrazione su Europa occidentale e Nord America, e una sottovalutazione di aree ad alto potenziale come Asia, BRICS e Africa.
Questa “autoselezione culturale” è una forma di autoesclusione da mercati più promettenti. E in un’economia globale sempre più trainata dai Paesi emergenti, questa è una rinuncia strategica che non possiamo più permetterci.
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE PARTE DALL’INTERNO
Il primo mercato da esplorare non è geografico, ma organizzativo e culturale.
Serve una trasformazione interna profonda. Un piano di internazionalizzazione efficace dovrebbe iniziare da:
- Mappatura organizzativa: analisi della governance, processi decisionali, deleghe e ruoli.
- Valutazione culturale: grado di apertura al rischio, alla diversità e al cambiamento.
- Leadership globale: manager capaci di operare in contesti multiculturali e incerti.
Solo costruendo un’organizzazione adattiva e culturalmente aperta è possibile affrontare la complessità dei mercati internazionali.
SERVE UNA VISIONE DI LUNGO TERMINE
L’internazionalizzazione non è un piano trimestrale. È un processo generazionale che richiede coerenza strategica, capitale paziente e tempo.
L’approccio “short-termista” ancora diffuso in molte realtà italiane rappresenta un serio ostacolo alla crescita globale. Superarlo significa ripensare i modelli di pianificazione, gli incentivi interni e la cultura di impresa.
DECENTRALIZZARE PER COMPETERE
Un’internazionalizzazione efficace non può limitarsi a strutture commerciali. Serve una presenza operativa locale, capace di:
- gestire ambiguità finanziarie (valute, tassazione, instabilità economiche),
- affrontare normative locali complesse,
- personalizzare strategie di marketing, pricing e distribuzione.
In questo contesto, le aziende più performanti si distinguono per la capacità di condividere conoscenza, delegare potere e adattarsi rapidamente agli shock esogeni.
CASE HISTORY – IL MODELLO FERRERO
Identità forte, visione globale
Tra le aziende italiane che hanno saputo interpretare l’internazionalizzazione non solo come espansione, ma come trasformazione strategica e culturale, Ferrero è un caso esemplare.
Fondata ad Alba, Ferrero ha mantenuto radici profonde nella sua identità italiana, ma ha costruito nel tempo una presenza globale multilivello, grazie a una strategia intelligente, paziente e coerente.
Le leve del successo:
- M&A strategiche, come l’acquisizione dei marchi dolciari Nestlé USA nel 2018.
- Presenza produttiva locale, con investimenti in stabilimenti in diversi Paesi.
- Governance internazionale, basata su leadership cross-culturale e modelli decisionali distribuiti.
- Approccio intergenerazionale, orientato alla sostenibilità strategica di lungo periodo.
Ferrero dimostra che è possibile essere globali senza perdere coerenza identitaria, a patto di avere visione, capitale paziente e governance illuminata.
Conclusione: guardarsi dentro per andare lontano
L’Italia ha asset di valore mondiale: brand, qualità, talento. Ma per diventare protagonista globale, serve un cambio di mentalità, prima ancora che di strategia.
L’internazionalizzazione non è una scelta tattica. È un progetto trasformativo, che richiede coraggio, cultura e tempo. Chi saprà affrontare prima sé stesso, potrà affrontare anche il mondo.
SOLUZIONI STRATEGICHE PER UNA NUOVA INTERNAZIONALIZZAZIONE
- Assessment culturale interno
→ Mappare cultura, assetti organizzativi, governance e apertura al cambiamento. - Formazione di leadership globale
→ Costruire competenze manageriali orientate alla complessità e multiculturalità. - Strutture locali autonome
→ Investire in operations radicate nei mercati target. - Strategie di lungo periodo
→ Superare il short-termismo con visione intergenerazionale. - Superare l’autoselezione culturale
→ Penetrare mercati distanti con pazienza e strutture dedicate.
* Corporate & Business Strategy Advisor di Artser