Certificare la parità di genere in azienda: un'opportunità a misura di Pmi

Parità di genere

di Sara Peggion

Le donne fanno sempre più impresa In Italia, anche se la loro presenza nel tessuto produttivo del Paese è ancora molto sbilanciata. Su oltre 4.800.000 imprenditori totali, circa 1.460.000 sono di genere femminile. Le attività a guida rosa sono solo il 30% del totale mentre il tasso di occupazione è del 52,2%. 

Eppure converrebbe a tutti investire nella riduzione del cosiddetto gender gap: è ormai risaputo, oltre che confermato dalle analisi internazionali, che una maggior uguaglianza di genere nel mondo del lavoro porta vantaggi economici, produttivi e sociali nei Paesi dove si accorciano le "distanze" e nelle imprese in cui si investe sulla forza, sulle competenze e sui contributi femminili.

Secondo l’ultimo Rapporto McKinsey Diversity Matters even more le aziende con maggiore diversità di genere nei CdA hanno il 27% di probabilità in più di produrre una performance migliore. E l80% delle realtà che vanno meglio sul mercato hanno almeno una donna nel team esecutivo, il 70% più del 10%. Il PIL stesso dell'Europa potrebbe passare entro il 2050 dal 6 al 9%, dice il Gender Quality Index, se si concentrassero meglio gli sforzi verso l'inclusione delle donne a tutti i livelli. 

Per andare incontro a questo traguardo, le imprese italiane hanno oggi una carta in più: è la Certificazione della parità di genere introdotta nel 2021, uno strumento volontario che consente di valutare e migliorare le proprie politiche e pratiche in materia di parità e non solo. La legge 162 (detta legge Gribaudo), rafforzata dalla legge di Bilancio 2022 e inserita nella cornice del PNRR, punta a promuovere la trasparenza nei processi lavorativi, a ridurre il gender pay gap, a migliorare anche qualitativamente la condizione delle donne all'interno delle imprese, dalla tutela della maternità a un giusto work-life balance all'accesso alle posizioni apicali. 

Parità di genere

L'obiettivo è certificare entro il 2026 almeno 800 aziende, di cui 450 piccole e medie, a cui si aggiungeranno 1.000 che avranno beneficiato di assistenza tecnica. Una necessità che al legislatore non è sfuggita, soprattutto per le Pmi, per le quali è stati previsto un percorso agevolato, come ha ribadito la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella: «Il mondo delle imprese sta dimostrando un grande senso di responsabilità, ma siamo consapevoli che per le piccole realtà, che costituiscono una componente essenziale del tessuto produttivo, è più difficile dedicare risorse ed energie alla definizione di nuove procedure, apparentemente lontane dal loro core business. Per questo è importante accompagnarle e incentivarle».

Tra i “premi” previsti per le Pmi ci sono contributi per i servizi di assistenza tecnica (per ciascuna impresa fino a 2.500 euro) e per il rilascio della certificazione (fino a 12.500 euro). La richiesta va fatta tramite gli organismi iscritti e accreditati nellapposito Elenco presso il Ministero per le pari opportunità entro 28 marzo 2024, anche se potrebbe essere prolungato. È necessario però effettuare un pre-screening di autovalutazione e ottenere un esito che dimostri un adeguato grado di maturità dellattività sui temi inerenti alla parità di genere.

Chi se la sentirà di intraprendere questo percorso virtuoso? Quali imprenditori accetteranno la sfida? Anche se non si hanno ancora tutte le carte in regola per ottenere o avviare la procedura di certificazione, la parità di genere in azienda è un obiettivo verso il quale ci si può già avviare in autonomia, indipendentemente dal proprio numero di dipendenti.

Parità di genere

Come? Applicando la stessa retribuzione per esempio: secondo gli ultimi dati Istat, le donne vengono pagate in media 11,4 euro allora, gli uomini fino a 12,5 euro. Oppure liberando i ruoli dirigenziali dalle poltrone generalmente riservate a team maschili. E ancora: incentivando l’utilizzo dei congedi parentali anche per i padri, rivedendo gli orari di lavoro in funzione di un miglior bilanciamento vita lavorativa/vita privata (a beneficio di tutti i generi e di tutte le tipologie di famiglie). E poi: creando policy aziendali che tutelino la maternità, che ricorrano a smartworking e part time solo se realmente “negoziati” tra le parti, che si occupino del benessere mentale di tutti i dipendenti e collaboratori. Senza dimenticare l’addio a processi di selezione discriminanti per sesso, età, appartenenza etnica o religiosa.

La sfida della parità di genere, insomma, è quanto mai necessaria nelle realtà aziendali più strutturate ma è alla portata anche e soprattutto delle Pmi, perché è nei piccoli numeri che è più facile avere risultati immediati. Le donne che fanno impresa, dice l’ultimo rapporto Istat, sembrano averlo già intuito: il 54,2% del personale assunto dalle imprenditrici è di sesso femminile a fronte del 38,5% alle dipendenze degli imprenditori. Un dato che invita a riflettere. E ad agire con fiducia verso il cambiamento.