E' l'innovazione il motore della produttività

L'analisi di Marcello Messori, professore di Economia al Dipartimento di Scienze politiche della Luiss, è implacabile: la dimensione e la paura di perdere il controllo organizzativo e gestionale sono freni alla crescita e allo sviluppo

“La crisi genera opportunità”. E chissà mai che la crisi della pandemia non possa creare una possibilità di abbattere il muro della bassissima produttività italiana. Un tema approfondito con Marcello Messori, professore di Economia al Dipartimento di Scienze politiche della Luiss (Roma) e direttore della Luiss School of European Political Economy.

Per esempio, il virus ha costretto molte aziende a ricorrere allo smart-working. Già, ma questo nuovo metodo di lavoro, sarà anche produttivo? «Il cosiddetto smart working – dice Messori - indica che, nel prossimo futuro, vi saranno cambiamenti organizzativi così radicali da mettere potenzialmente in discussione il sistema attuale. Attenzione però al significato delle parole. Smart working non significa, come è accaduto quasi sempre fino a oggi, “lavorare da casa” a organizzazione produttiva data. Significa invece un profondo ridisegno della produzione e dell’organizzazione di impresa. Temo che, in tale caso, per le imprese sia necessario raggiungere una dimensione minima».

E, in effetti, la bassa produttività delle aziende italiane indica un problema cronico. Le cause? Il docente universitario indica varie sfumature fra cui, appunto, la loro dimensione: «I dati indicano che la bassa dinamica della produttività media, che caratterizza l’Italia dalla metà degli anni Novanta, è soprattutto imputabile al comparto dei servizi e alle imprese di piccolissima e piccola dimensione. Qui è soprattutto interessante soffermarsi sul secondo aspetto. Una parte significativa delle imprese italiane, anche di successo, non fa quel salto dimensionale che consentirebbe un più efficiente utilizzo delle tecnologie digitali e delle connesse innovazioni organizzative. Pertanto, in Italia, si è creata una polarizzazione: un nucleo di imprese piccolo-medie e medie è capace di collocarsi sulle frontiere internazionali dell’innovazione; molte imprese piccolissime e piccole, che alla nascita erano promettenti, invece non raggiungono una dimensione minima per imitare gli innovatori».

Di conseguenza, per permettere alle Pmi di aumentare la produttività vanno superati degli ostacoli: «Il principale ostacolo – aggiunge l’autore di più di 150 lavori scientifici di teoria economica ed economia applicata - è la mancata diffusione delle innovazioni, che sono il motore delle varie forme di produttività, nelle piccole imprese. Ciò spiega la polarizzazione delle imprese italiane sopra denunciata, ma non getta luce sugli ostacoli che si frappongono alla crescita dimensionale delle piccole imprese e ai connessi processi di imitazione. Fra i molti fattori che comprimono le dimensioni di impresa ne seleziono tre: un ambiente esterno che non premia chi si assume il rischio di investire e di crescere; l’opportunità di ottenere discreti guadagni occupando nicchie protette di mercato che non sanzionano le inefficienze; il timore, da parte di chi ha dedicato gran parte della vita alla propria impresa, di perderne il controllo proprietario o quello gestionale. Ciò non implica sottovalutare i punti di forza delle imprese familiari. Anche negli altri paesi l’impresa familiare è molto diffusa, ma è più aperta alla crescita dimensionale e organizzativa».

E, allora, quali strumenti deve mettere in campo, una microimpresa per essere innovativa? «All’inizio della loro vita economica – conclude Messori - molte imprese sono piccolissime e innovative. Ciò vale, a esempio, per le cosiddette startup. Il problema è che la cristallizzazione su dimensioni minime rende pressoché impossibile sviluppare le traiettorie innovative attuali. A differenza del recente passato, almeno per ora il digitale e l’intelligenza artificiale richiedono una dimensione organizzativa minima, al di sotto della quale si può fungere da pionieri di una nuova tecnologia ma si è fortemente svantaggiati nel suo sviluppo. La chiave è, quindi, acquisire una dimensione minima efficiente».

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