Il passaggio generazionale non è più solo questione di vertice

Passaggio generazionale

di Francesco Angelini

Un tempo si diceva che la prima generazione fonda l’impresa, la seconda la consolida e la terza l’affossa. Vale ancora questo motto? O forse non è mai stato una regola? Certo, esempi per cui le cose sono andate più o meno così, anche illustri, inutile fare nomi, non mancano. E forse a venir meno, se non in maniera marginale, sono le situazioni opposte, quelle virtuose. Un quadro questo che vale molto per le imprese di grandi dimensioni e forse, per fortuna, un po’ meno per le piccole e medie.

Perché in queste ultime, spesso interviene un aspetto che fa parte della loro tipicità che si potrebbe definire della “famiglia allargata”. I dipendenti cioè, specie coloro che sfuggono al fisiologico turn over e permangono a lungo nella stessa impresa sono giocoforza fidelizzati e finiscono per identificarsi con essa. In questo senso la questione del passaggio generazionale, inteso è ovvio, in questo caso, non solo tra persone legate con vincoli di sangue, non può prescindere dall’intero sistema dell’azienda. Se così non fosse, infatti, si rischierebbe di mettere a repentaglio buona parte del know how e del patrimonio di esperienze e competenze e si può finire per snaturare gli stessi connotati dell’impresa.

Passaggio generazionale

È chiaro che, nel panorama delle piccole e medie unità produttive, vi sono figure che mantengono la conoscenza e la competenza nella gestione di alcuni processi che non può e non deve essere perduta al momento della loro uscita. Si tratta perciò di creare un passaggio generazionale che non deve essere sporadico o affidato alla buona volontà (reciproca) delle parti coinvolte, ma sistematico e codificato all’interno dei processi aziendali. Va detto che i giovani possono solo arricchire quanto ricevuto se si avvicinano all’azienda con un’adeguata formazione, un nodo quantomai cruciale anche per questo aspetto, alla luce delle nuove esigenze di innovazione, efficientamento e sostenibilità che si presentano a tutte le imprese. E perciò il sapere, non solo nell’ambito produttivo, ma anche gestionale, di filosofia aziendale e leadership, diventa una sorta di forziere sempre più ricco a cui devono poter attingere tutti, indipendentemente dal ruolo ricoperto. In caso contrario, il rischio è quello che corre una pianta sana quando un ramo comincia a non produrre più linfa. Lo sforo degli altri rischia di non essere più sufficiente, magari non a mantenersi in vita per un po’, ma a svilupparsi e produrre più frutti. L’impresa cioè può tirare avanti, ma difficilmente conoscerà un nuovo sviluppo.

Le aziende devono mettere in atto programmi e disegnare strategie per favorire questi progetti. Il concetto di passaggio generazionale non è più la performance dei singoli datori di lavori, ma un aspetto corale che coinvolge tutte le componenti aziendali. E rende, oltretutto, meno esposte le imprese al rischio della perdita di competenze, se queste non sono più esclusive, magari di un “senior” che, a un certo punto, scegli di buttarsi in una nuova avventura professionale.

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