L’Italia è il Paese europeo più colpito dal cambiamento climatico: lo dicono gli ultimi dati di Confartigianato Imprese. Le elevate temperature di luglio, e la crisi idrica che sta colpendo le Isole, evidenziano la rilevanza delle conseguenze del climate change che tanto sta preoccupando i cittadini. La prevenzione dei danni derivanti dal riscaldamento globale, e le criticità della rete idrica, richiedono investimenti pubblici per la manutenzione del territorio che, però, rispetto al passato hanno registrato riduzioni pesanti.
CITTADINI SEMPRE PIU’ PREOCCUPATI: LA QUOTA SALE AL 58,8%
Il monitoraggio delle preoccupazioni ambientali condotto dall’Istat evidenzia che nel 2023 il 58,8% della popolazione italiana era fortemente preoccupato per il climate change: nel 2022 la percentuale era al 56,7%, mentre un anno prima al 52,2%.
Secondo l’elaborazione di Eurostat dei dati dell’Agenzia europea dell’Ambiente (EEA), nel 2022 l’Italia occupava il primo posto tra i 27 paesi dell’Ue per danni da eventi meteorologici estremi e legati al clima, con 284 euro per abitante, un valore 2,4 volte la media Ue di 117 euro per abitante. Negli ultimi dieci anni (2013-2022) l’Italia ha cumulato danni per 50 miliardi di euro (5 miliardi di euro all’anno).
I RISCHI PER LE IMPRESE
La siccità in corso, che interessa Sicilia e Sardegna, determina rischi sull’attività di 8 mila imprese che operano in settori manifatturieri ad alto uso di acqua, con 38 mila addetti, pari ad un terzo (33,3%) dell’occupazione manifatturiera delle Isole. L’irregolarità nella fornitura idrica ha ripercussioni anche sul turismo, considerando che tra giugno e agosto, in Italia, si concentra quasi la metà (47,4% nel 2023) delle presenze turistiche dell’anno.
I SETTORI MANIFATTURIERI CON MAGGIORE UTILIZZO DI ACQUA
Nei settori più idro-esigenti – estrattivo, tessile, petrolchimica, farmaceutica, gomma e materie plastiche, vetro, ceramica, cemento, carta e prodotti in metallo – si concentra il 69,3% dei consumi di acqua delle imprese di produzione. In questi comparti operano oltre 118 mila imprese con 1 milione 268 mila addetti, oltre un terzo (34,1%) del totale di manifattura ed estrattivo. Oltre 1 addetto su 2 (54,8%) opera in micro e piccole imprese e il 22,6% degli occupati lavorano in imprese artigiane.
CAUSA N. 1: SCARSA MANUTENZIONE E MANCANZA DI INFRASTRUTTURE
All’alta esposizione dell’Italia a queste tipologie di rischi contribuiscono la scarsa manutenzione e la riduzione della dotazione di infrastrutture deputate alla difesa del territorio. Il capitolo di spesa per investimenti pubblici, che comprende le opere a tutela del territorio nei dieci anni precedenti alla pandemia, in rapporto al PIL, si è dimezzata. Solo nel 2021 si è registrata una crescita grazie anche al sostegno del PNRR. La spesa di 11,2 miliardi di euro nel 2022 è pari a quella del 2003 (11,1 miliardi).
CAUSA N. 2: PERDITE NELLE RETI IDRICHE
A fronte della ridotta spesa pubblica per la manutenzione delle infrastrutture, si registrano elevate e diffuse perdite dalle reti idriche comunali. Su 8 miliardi di metri cubi di acqua immessi nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile se ne perdono 3,4 miliardi (42,4%), un volume superiore all’acqua erogata per l’intero Centro-Nord (3,2 miliardi di metri cubi). In chiave territoriale la percentuale di perdite nel Nord-ovest è del 33,5%, nel Nord-est del 37,2%, nel Centro del 43,9%, mentre nel Sud sale al 50,5% e nelle Isole, proprio dove si concentra la crisi idrica dell’estate del 2024, arriva al 51,9%. Tra le regioni, le perdite sono più elevate in Basilicata con 65,5%, Abruzzo con 62,5%, Molise con 53,9%, Sardegna con 52,8%, Sicilia con 51,6%, Campania con 49,9%, Umbria con 49,7%, Calabria con 48,7% e Lazio con 46,2%.
LE PERDITE DELLA RETE
Nel 2020, nei comuni capoluogo di provincia e città metropolitane si è disperso il 36,2% dell’acqua immessa in rete, con una riduzione di circa un punto percentuale rispetto il 37,3% nel 2018, e proseguendo una tendenza già segnata l’anno precedente. Il dato delle perdite mostra una ampia variabilità territoriale. In più di un capoluogo su tre si registrano perdite totali superiori al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori superiori al 65%, si registrano a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). A seguire, con più di metà dell’acqua immessa che viene dispersa, Caserta (64,4%), Massa (62,9%), Sassari (62,9%), Rieti (62,7%), Salerno (62,4%), Potenza (61,4%), Pescara (58,9%), Benevento (58,7%), Campobasso (55,6%), Verbania (53,7%), Frosinone (53,6%), Cagliari (53,5%), La Spezia (53,4%), Oristano (53,4%), Messina (52,4%), Taranto (52%), Nuoro (52%), Prato (51,6%), Catania (51,3%), Vibo Valentia (50,9%), L’Aquila (50,7%), Agrigento (50,6%) e Isernia (50,1%). All’opposto, migliori condizioni delle infrastrutture determinano perdite idriche totali inferiori al 25% in circa un Comune su cinque. In sette capoluoghi i valori dell’indicatore sono inferiori al 15%: Macerata (9,8%), Pavia (11,8%), Como (12,2%), Biella (12,8%), Milano (13,5%), Livorno (13,5%) e Pordenone (14,3%).
COME RIDURRE LE PERDITE: I FONDI DEL PNRR
Le perdite rete sono da attribuire a fattori fisiologici, presenti in tutte le infrastrutture idriche, a rotture nelle condotte e vetustà degli impianti, oltre a fattori amministrativi, dovuti a errori di misura dei contatori e usi non autorizzati. Un consistente intervento per ridurre le perdite idriche è previsto dal PNRR: per la gestione dell’acqua il Piano prevede interventi per 5,4 miliardi di euro, di cui 2 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico e 1,9 miliardi per la riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti.