Dall'ottimismo alla guerra: parabola (discendente) dell'economia post Covid e strategie per crescere

Tre le azioni messe in campo dalle aziende secondo l'indagine Istat: quasi una su tre, il 32,9%, ha risposto in “Sofferenza reattiva”, nel senso che ha subito effetti immediati, adottando strategie prima difensive, poi espansive; il 49,6%, lo ha fatto in “Resistenza statica” (nessuna strategia di reazione); il 17,4% in “Resilienza di successo”: effetti negativi di breve periodo e reazione tempestiva ed efficace

Conseguenze guerra russo ucraina

Il futuro è incerto per via della guerra in Ucraina, ma la pandemia ha già mostrato la capacità di reazione delle imprese italiane agli shock esogeni. A mostrarlo è il decimo “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, una delle pubblicazioni rilevanti dell'Istat, presentato all'Università Liuc di Castellanza dal direttore generale dell'istituto di statistica Michele Camisasca.

«Il quadro macroeconomico è in velocissima evoluzione - sottolinea il direttore Gian Paolo Oneto, direttore centrale per gli studi e la valorizzazione delle statistiche economiche dell'Istat - come già due anni fa in pieno lockdown, anche quest'anno per via del grande dramma che stiamo tutti vedendo». Gli effetti della guerra in Ucraina non sono ancora esattamente stimabili da un punto di vista statistico, anche se già dai dati di marzo l'Istat si attende qualche primo segnale: «È il mese in cui si può iniziare a pensare che eventuali effetti della crisi comincino a toccarci».

TRE STRATEGIE PER RIPARTIRE

Conseguenze guerra russo ucraina

Eppure la ripresa c'è stata, perlomeno fino all'aggressione all'Ucraina: «Le prospettive dell’economia italiana per il 2022 vedevano il prevalere di segnali tipici di una espansione ciclica potenzialmente duratura» sottolinea il rapporto dell'Istat. Una fase caratterizzata da “motivi di ottimismo”, pur con i primi “elementi di incertezza legati a tensioni inflazionistiche e difficoltà nella logistica” e con un quadro occupazionale ancora instabile, visto che, da un lato, “la crescita degli occupati interni (che includono i lavoratori in Cig) non ha compensato interamente la caduta del 2020”, e dall'altro, sembrava emergere il “possibile accentuarsi di fenomeni di mismatch fra domanda e offerta” di lavoro.

A fronte delle inevitabili incertezze rispetto all'impatto della crisi geopolitica internazionale, la capacità di reazione delle imprese italiane (con almeno 3 addetti) agli shock esogeni è stata dettagliatamente analizzata dall'Istat in merito alla risposta alla pandemia, con i dati rilevati attraverso le indagini Covid in tre distinti momenti del biennio 2020-2021. Va premesso innanzitutto che oltre l’80% delle imprese, secondo quanto emerge dall'analisi, “considera la propria operatività solida o parzialmente solida”, mentre a fine 2020 circa il 33% si riteneva a rischio chiusura nell’arco di sei mesi. Permangono situazioni di difficoltà, con perdite di fatturato ancora oltre il 10%, soprattutto tra le piccole imprese e nel settore del turismo. Quel che risulta rispetto alla reazione alla crisi Covid sono tre diversi “sentieri di attraversamento” da parte delle imprese, ciascuno dei quali caratterizzato da diverse combinazioni di scelte in termini di strategie e di decisioni di investimento. Quasi una su tre, il 32,9%, ha risposto in “Sofferenza reattiva”, nel senso che ha subito effetti immediati, adottando strategie prima difensive, poi espansive; la metà circa, il 49,6%, lo ha fatto in “Resistenza statica”, avendo subito moderati effetti negativi e mostrando nessuna strategia di reazione; il 17,4%, infine, in “Resilienza di successo”: effetti negativi di breve periodo e reazione tempestiva ed efficace.

CHI HA INNOVATO E CHI È RIMASTO IMMOBILE

Conseguenze guerra russo ucraina

Ciascun percorso è caratterizzato da diverse combinazioni di strategie, investimenti e scelte organizzative: le imprese in “Sofferenza reattiva” hanno dapprima riorganizzato le catene di fornitura e diminuito l’occupazione, poi hanno reagito attraverso innovazioni, attivazione di relazioni produttive, ricerca di modelli di tipo Industria 4.0, formazione del personale. Quelle in “Resistenza statica” hanno adottato comportamenti di natura conservativa e difensiva, fortemente inerziali rispetto al business di riferimento e non hanno elaborato specifiche strategie di contrasto agli effetti della pandemia. La “Resilienza di successo” ha implicato un’accelerazione di strategie espansive già presenti nel periodo pre-crisi: tecnologie 4.0, riorganizzazione dei processi, innovazione, investimento in capitale umano. A fine 2021 ha previsto di investire con intensità “media” o “alta” quasi il 45% delle imprese in “Sofferenza reattiva” e oltre il 70% di quelle a “Resilienza di successo” (a maggio 2020 i dati erano rispettivamente il 14,1% e il 44,1%), mentre il 75% delle imprese a “Resistenza statica” non ha pianificato alcun investimento.

PIÙ CLOUD CHE ECOMMERCE

Uno dei driver di investimento maggiormente perseguiti è la digitalizzazione, per cui la crisi post-pandemia ha rappresentato un vero e proprio acceleratore: tra maggio e novembre 2020, in particolare, è molto cresciuta la quota di imprese che hanno adottato tecnologie per la comunicazione interna o per consentire il distanziamento sociale, quali software per video conferenze (dal 29 al 40%), laptop e tablet (dal 24 al 33%), cloud (dal 26 al 33%). Più limitata la diffusione delle tecnologie per il pagamento elettronico (cashless e pagamenti on line) e per la commercializzazione (piattaforme digitali e e-commerce), con minimi aumenti che hanno mantenuto la quota di utilizzo tra l’8 e il 16%. In termini di orientamento all'investimento, l'Istat osserva una considerevole crescita di attenzione soprattutto per la sicurezza informatica (dal 31,2 al 55% di imprese) e le tecnologie 4.0 (dal 14,9 al 30,4%).

Un altro aspetto decisivo, emerso soprattutto come dato ex post, è il ruolo dell'internazionalizzazione rispetto alla reazione alla crisi. «Anche durante la crisi, le imprese con forme più evolute di internazionalizzazione hanno registrato le performance migliori sui mercati esteri» si legge nel rapporto: considerando la dinamica dell’export tra il 2019 e il 2021 di quelle che nel 2019 avevano relazioni con l’estero, emerge una flessione delle vendite per le imprese “solo esportatrici” mentre si è registrato un incremento soprattutto per le “Global” (imprese che esportano in almeno 5 aree extra-europee), le “Two-way traders” (imprese che importano ed esportano) e, anche se meno delle altre due categorie, le multinazionali a controllo italiano ed estero.

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