Dati, questi sconosciuti. Eppure chi li sa usare può fare la scelta giusta in azienda

E' urgente la creazione di standard. Il Governo più che mettere soldi sulle aziende deve definire standard, altrimenti si rischia di tornare al periodo delle musicassette con formati diversi

IN SINTESI

  • I dati vanno raccolti, organizzati e rappresentati e questi tre processi chiamano investimenti e procedure che le aziende in larga misura non hanno
  • Manca la capacità di leggere i dati, vera utilità per le imprese perché fondamentale per adottare le scelte migliori
  • Siamo bravi artigiani ma siamo anche dei pessimi conoscitori del mercato ancora troppe volte inteso come “i clienti che incontro”


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Luca Foresti

«La digitalizzazione ha creato una nuova ondata di dati, che seguono ogni individuo, consentono di comprenderne in tempo reale esigenze e comportamenti». È una parte della presentazione del libro “In un mare di dati” di Giovanni Azzone, Francesco Caio, edito da Mondadori. Ma questa ondata di dati è davvero un’opportunità, per le imprese? Ed esse sono in grado di sfruttarli? Risponde Luca Foresti, laurea in Fisica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, esperto di matematica finanziaria e Amministratore Delegato del Santagostino, rete di poliambulatori, dal giugno del 2010.

MAI GUIDARE A FARI SPENTI NELLA NOTTE
«Sì, i dati sono opportunità, ma le imprese non sono per la maggior parte in grado di sfruttarli: per due motivi. Innanzitutto i dati vanno raccolti, organizzati e rappresentati e questi tre processi richiedono investimenti e procedure che la maggior parte delle aziende non sono in grado di mettere in campo. Poi manca la capacità di leggerli, i dati, vera utilità per le imprese perché utili a fare le scelte migliori. Perché spesso le decisioni non vengono prese “data driven” ma su intuizione, “di pancia”, sfruttando ciò che gli imprenditori amano chiamare intuito imprenditoriale. Ci vuole gusto del rischio, certo, ma questo non vuol dire viaggiare a fari spenti nella notte. Se guardiamo ad ambio spettro alle aziende italiane troviamo una fantastica capacità di fare impresa. Siamo bravi artigiani e conosciamo il nostro prodotto e persino ce ne innamoriamo, ma siamo anche dei pessimi conoscitori del mercato, ancora troppe volte inteso come “i clienti che incontro”. Ma quando si parla di mercati globali fatti di soggetti che non si conoscono in modo diretto, lì non siamo altrettanto in gamba».

FONDAMENTALE SAPER RACCOGLIERE I DATI
Ma allora quali sono le strategie per sfruttare al meglio big data o analisi anche per piccole realtà imprenditoriali?

«Innanzitutto i leader delle aziende devono convincersi che le risposte alle domande profonde giacciono nei dati: se la testa non va in questa direzione, qualsiasi azione successiva non serve a niente. È una questione culturale: gli “ad” devono usare dati per decidere. Ma una volta introiettato, questo atteggiamento funziona se abbiamo competenze di carattere informatico (cioè saper raccogliere dati nei vari “sensori” che stanno in azienda e fuori), e se siamo in grado di dare seguito a una lettura intelligente dei dati che passa anche da competenze squisitamente statistiche. Ci sono, cioè, imprenditori che confondono il “segnale” con il “rumore di fondo“ e rischiano di prendere decisioni errate».

ANCHE IL LAVORO DA REMOTO AUMENTERA' L'USO DEI DATI
A questo punto servono degli esperti: quali figure? «Sono professionalità rare, difficili da trovare, e quando l’imprenditore trova una figura che gli serve se la tiene stretta, perché è molto difficile avere la competenza dei dati applicata ad un determinato settore, che bisogna imparare a conoscere. E ci vuole tempo».

Un salto nell’attualità: in che modo l'incremento della digitalizzazione imposto anche dalla pandemia cambierà il modo di fare impresa in Italia? «Durante la pandemia masse di clienti e cittadini sono state costrette ad utilizzare sistemi digitali per la prima volta e ora li stanno utilizzando da mesi in maniera continuativa. Questo ha di fatto creato un mercato che prima era più asfittico. Poi il grande tema dello smart working, che ora è una realtà: molte persone non torneranno più in ufficio come prima e il lavoro in remoto favorirà un approccio più digitale  e quindi inevitabilmente più data driven».

STANDARD ALLINEATI
Ma quali sono i settori potenzialmente più propensi ad accogliere questo cambiamento? «Sono quelli che risultano più toccati dai big data ad alta profilazione dei consumatori, dove utenti e operatori sono grandi realtà, o in cui i clienti fanno una serie di azioni che vengono registrate e monitorate, come la sanità e l’automotive».

E quali sono le misure strategiche auspicabili da parte delle autorità? «Urge la creazione di standard. Il Governo più che mettere soldi sulle aziende deve definire standard, altrimenti si rischia di tornare al periodo delle musicassette con formati diversi. Questo può fare un Governo: impiegare le risorse del recovery plan per far allineare le aziende a quegli standard. Un esempio sta nel settore sanitario: oggi mancano procedure per comunicare dati di un paziente da un erogatore ad un altro e manca una cartella clinica che comprenda tutte le prestazioni: il Governo dovrebbe definire standard garantendo finanziamenti a chi si adegua a tali standard

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