Giovani e senior in azienda, vincono tutti se si lavora in team
Barbara Quacquarelli, professoressa associata di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca analizza la crisi demografica e le conseguenze nelle imprese. Suggerendo alcune best practices per gli imprenditori

Si dovrà fare i conti, nei prossimi decenni (ed è inevitabile) con sempre meno giovani da assumere. Semplicemente, perché saranno molti meno. La soluzione da parte degli imprenditori va però trovata adesso: i ragazzi che entrano in azienda sono un tesoro da difendere, e renderli subito compatibili senza frizioni con i veterani è la chiave per sopravvivere ed espandersi.
Barbara Quacquarelli è professoressa associata di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. La sua analisi parte da dati oggettivi. «L’Italia – esordisce – ha un problema demografico enorme, e la demografia è sempre una delle forze economiche più determinanti: aiuta a spiegare l’economia di un paese. In Italia l’economia tiene e forse migliora, ma possediamo la metà della forza lavoro di giovani di vent'anni fa. Le aziende, intanto, li cercano, consce che le competenze richieste siano legate a innovazione logistica e dei meccanismi di lavorazione».
SERVONO CANALI COMUNICATIVI

Così, le aziende assumono lavoratori e si è creato un conflitto generazionale tra chi possiede le competenze nuove che servono per uno sviluppo sostenibile nel tempo, e chi vanta un'esperienza necessaria e la conoscenza degli ambiti commerciali e delle logiche organizzative, ma non è aggiornato. «Si tratta, tra queste due categorie – prosegue la docente – di analizzare canali comunicativi e aspettative completamente diversi. Bisogna far funzionare questo mix generazionale, consapevoli che non sia una sostituzione. Una persona che ha esperienza può trasmettere una conoscenza che non possiamo chiedere a chi ha appena cominciato».
La poca flessibilità potrebbe portare all'errore di vedere questi due come mondi distinti. Ad alcuni si fanno fare solo le cose nuove, ad altri quelle vecchie, lasciando loro ruoli più tradizionali. «Farti fare ciò che sai fare meglio – prosegue Quacquarelli – diventa una modalità di comodo che porta a vedere i giovani come una minaccia e non come un supporto, siccome essi padroneggiano linguaggi e metodologie più aggiornate, e porta a sentirsi meno motivati da parte dei “senior”, che non si sentono più al centro del progetto di crescita dell’azienda».
I GIOVANI MASSIMIZZANO L’ESPERIENZA

I giovani sono diversi anche nell’approccio: pur cercando una retribuzione adeguata, sono meno interessati al posto fisso, a quella sicurezza ritenuta una priorità per motivi culturali dalle precedenti generazioni. «I giovani – così l’esperta – sanno che la loro permanenza nella tale azienda potrebbe essere breve, quindi cercano di massimizzare l'esperienza. Se non li coinvolgo, si sentiranno meno accettati dalla forza lavoro di età maggiore, che è la maggioranza. Si creerebbe distanza. Uno percepisce l'altro come obsoleto, e l'altro esaspera il concetto vedendo i ragazzi come arroganti, senza umiltà di aspettare il loro momento per imparare, non comprendendo che i tempi sono molto più stretti. E l'azienda infine sa che il ragazzo andrà via, appena troverà qualcosa di meglio».
CREARE TEAM CONDIVISI

Una soluzione è quella di creare gruppi condivisi: i giovani devono conoscere i progetti consolidati delle aziende, i senior quelli innovativi, e tutti loro devono essere disposti a condividere tutto. Occorre che l’imprenditore crei gruppi misti, che costruisca un luogo di lavoro dove si può imparare e che dia sensazione di comunità. Se nei luoghi di lavoro non crei socializzazione, senza coinvolgere chi è impegnato dei progetti, non crei il giusto mix. E i giovani si fermano dove trovano un benessere organizzativo, dove hanno la percezione di imparare, dove l'ambiente è confortevole. «Se tu, senior – conclude la professoressa Quacquarelli – hai paura di perdere le tue competenze, ti arrocchi e difendi la tua conoscenza e sei meno disponibile a condividerla. Se ti senti comunque al centro trovi invece una leva motivazionale importante, soprattutto se il tuo capo ti mette anche nella condizione di ottenere un riconoscimento del ruolo e dell'esperienza. Cioè, che gratifichi il tuo voler trasmettere qualcosa a chi ancora non la fa. Tutto questo va guidato dall'alto. In questo momento il mercato c'è, ma mancano le persone adatte a servire quel mercato».
Siamo rimasti un po' indietro nella cultura delle risorse umane. Avere un lavoro sicuro non è tutto. Non basta più. Davide Maniaci