La ricetta per il futuro: investire per non fare invecchiare l'azienda

La frenata degli investimenti risale ad almeno 20 anni fa; è dai primi anni 90 che le fabbriche del nostro Paese accusano segni di invecchiamento. In queste realtà,  nel 2020 gli investimenti materiali sono diminuiti dell’8% rispetto al 2019 e sono poi ri-aumentati nella stessa misura nel 2021

Pnrr

Fare investimenti e sfruttare l’opportunità unica rappresentata dal Pnrr, anche se i suoi effetti si vedranno nel medio e lungo periodo; questa deve essere la parola d’ordine per le imprese. Fare investimenti giusti, al momento giusto, è la strada che le aziende devono seguire per continuare ad essere competitive e per affrontare la sfida dei nuovi mercati, per scongiurare il rischio di “invecchiamento”, soprattutto dei macchinari, che può portare a conseguenze molto negative non solo per l’azienda stessa, ma anche per tutto il sistema economico.

Quanto le imprese italiane soffrano la mancanza di investimenti, lo dimostrano con chiarezza i risultati emersi da un’indagine condotta dall’Osservatorio delle Imprese dell’Università La Sapienza di Roma, coordinata dal professor Riccardo Gallo, docente di Economia Applicata, intitolata “Industria, che investimenti occorrono”.

La frenata sugli investimenti non è un fenomeno recente per le imprese italiane, ma risale ad almeno 20 anni fa; è dai primi anni 90 che le fabbriche del nostro Paese accusano segni di invecchiamento. In queste realtà, come si legge nell’indagine, nel 2020 gli investimenti materiali sono diminuiti dell’8% rispetto al 2019 e sono poi ri-aumentati nella stessa misura nel 2021.

C’è anche un problema di invecchiamento dei macchinari che in Italia è raddoppiata, dai 10 anni di media del 1993 ai 19 del 2020. L’Osservatorio della Sapienza ha calcolato anche quanto le aziende del nostro Paese dovrebbero investire per tornare alla situazione, comunque non eccelsa, in cui si trovavano nel 2011: 13 miliardi di euro.

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Ma nella ricerca dell’Osservatorio emergono anche elementi positivi e incoraggianti come la liquidità a disposizione delle imprese: quella primaria è salita dallo 0,63 del 1993 allo 0,91 del 2020. L’analisi confuta anche un altro luogo comune, ovvero che le aziende italiane siano sottocapitalizzate, cioè che il capitale di rischio sia insufficiente rispetto al totale dell’attivo investito. «L’autonomia finanziaria è salita da 0,26 del 1993 a ben 0,41 nel 2020 – ricorda il professor Gallo – e anche l’efficienza della gestione del magazzino è migliorata».

Se questo è il quadro degli ultimi vent’anni, cosa possiamo dire degli investimenti nel 2022? Intesa Sanpaolo e Prometeia hanno indicato per il 2021 una crescita di oltre il 10% degli investimenti industriali, soprattutto nel comparto delle costruzioni, ma per le piccole e medie imprese gli ultimi mesi del 2021 sono all’insegna di una contrazione degli investimenti.

«Se gli investimenti tecnici non ripartissero, l’apparato delle imprese industriali medie e grandi in Italia rischierebbe di chiudere i battenti per vecchiaia, paradossalmente riorganizzato, in condizioni di efficienza e ottima salute economica, finanziaria, patrimoniale, lavorativa - sottolinea il professor Gallo - Si è rilevato che in Italia sono mancate una politica per la competitività e una per la Quarta rivoluzione industriale, mentre ancora si rimpiangono da più parti le politiche industriali di intervento statale del passato».

Quali saranno le ricadute del Pnrr in questo quadro?

«Il Pnrr può essere la miglior risposta al bisogno di certezza delle imprese per un recupero della competitività della nazione, per un recupero cioè delle precondizioni infrastrutturali, materiali e immateriali, necessarie affinché le imprese ritrovino convenienza a investire nelle fabbriche del nostro Paese – rileva il docente della Sapienza nella sua ricerca - Sarebbe un grave errore travisare questo Pnrr come fosse un veicolo sbrigativo e diretto per portare risorse finanziarie agevolate nelle tasche del sistema produttivo».

La vera misura dell’efficacia si vedrà insomma nel lungo periodo.

«Non prima della seconda metà di questo decennio – prevede il professor Gallo - le riforme strutturali si spera siano varate dal legislatore entro la fine del 2022, incluso il compimento delle leggi-delega al Governo. Gli investimenti per la gran parte potranno essere annunciati nel biennio 2022/2023 ed essere ultimati entro il 2025. Un ritorno a investimenti massicci da parte del sistema produttivo italiano può essere atteso dopo il 2026, indicato come termine del Pnrr, ed entro il 2029, dopo tre anni».

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