Ne produciamo meno rispetto a tutti gli altri Paesi europei, eppure ci costano di più. Un Rapporto dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) dell’Università Cattolica di Milano cerca di fare ordine nella travagliata questione dei rifiuti italiani:
MENO RIFIUTI PRODOTTI, EPPURE LA TARI AUMENTA
Su “La Ragione”, una riflessione prende il via da una tassa che gli italiani considerano particolarmente antipatica: la Tari, tassa sui rifiuti. Il saldo è fissato entro l’8 agosto, e il suo peso sulle tasche dei cittadini si è fatto via via più esoso: «Da una decina d’anni a questa parte – si legge sul quotidiano – il costo per la raccolta dei rifiuti in Italia è cresciuto notevolmente: il costo pro capite dello smaltimento che nel 2012 si attestava intorno ai 159 euro, nel 2020 è stato di 185,6 euro». Nel Belpaese, il sacrosanto concetto europeo del “paga chi inquina” non vale. Anzi, di fronte ad una minor produzione di rifiuti non corrisponde un decremento della spesa necessaria per la loro rimozione e smaltimento.
IN EUROPA GLI ITALIANI FANNO MEGLIO DI TUTTI
Lo dicono i dati: i circa 487 Kg di spazzatura per abitante (2020) collocano l’Italia al diciassettesimo posto in Europa, al di sotto della media europea (505 Kg) e ben lontano dai numeri tedeschi (609 Kg) e francesi (538 Kg). Per una famiglia tipo composta quindi da 3 componenti in un’abitazione di 100 metri quadrati nel 2021 la spesa è stata di 282 euro al Nord, 334 euro al Centro, 359 euro al Sud. Differenze di costi dovute all’assenza di impianti nel Centro Sud per cui è necessario trasportare i rifiuti fuori Regione. Una differenza di costi che è rimasta costante negli ultimi 8 anni (2014-2021) con una diminuzione minima al Centro (da 336 euro a 329 euro) e al Sud (da 360 a 356 euro). Il Centro Italia è l’area in cui vengono prodotti più rifiuti, con 550 Kg l’anno; al Nord se ne producono 521 Kg e nel Mezzogiorno 451 Kg. Le prime posizioni della classifica sono occupate dalle nazioni nordiche. Se, però, guardiamo alla produzione dei rifiuti degli ultimi dieci anni possiamo notare come il nostro Paese risulti essere quello che ha maggiormente ridotto la mole di spazzatura pro capite rispetto agli altri grandi Paesi europei: il tasso di effettivo riciclaggio dei rifiuti urbani è ben al di sopra della media europea del 47,8%. Eppure, rimozione e smaltimento costano. E tanto.
INFRASTRUTTURE INADEGUATE
Con buona pace dei nostri connazionali, il problema non è solo italiano: tra il 2012 e il 2017, il costo per il servizio è aumentato in media del 6,4% in tutta l’Eurozona, con rincari più significativi in Italia (+13,6%) e Francia (+10,7%). Più contenuto l’incremento in Spagna (+4,1%) e quasi immutata la spesa tedesca, che si registra un +0,1%. Il problema però resta e sulle soluzioni si sta riflettendo da tempo, perché se è vero che nell’ultimo anno – in Italia – è cresciuta la quantità di riciclo, è anche vero che le infrastrutture restano inadeguate. E la necessità di abbassare la dipendenza dalle importazioni di fonti fossili, riaccesa dal conflitto in Ucraina, ravviva anche il dibattito su quanto sarebbe vantaggioso avere a disposizione impianti di trattamento da cui ricavare energia pulita. E per essere ancora più incisivi, come scrive ancora “La Ragione”, «oltre al contributo dell’inflazione, potremmo attribuire gran parte dell’incremento della Tari alla mancata modernizzazione degli impianti di smaltimento, i quali risultano essere ancora poco presenti su suolo italiano».
SNELLIRE LE PROCEDURE E ABBATTERE I TEMPI
A dirlo è anche il Green Book 2022, il rapporto annuale promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis, realizzato quest’anno in collaborazione con ISPRA. Il settore dei rifiuti in Italia sta affrontando una serie di importanti riforme strutturali, ma restano ancora numerose difficoltà da superare, soprattutto in termini di abbattimento dei tempi e snellimento delle procedure autorizzative, di accettazione sociale e governance locale: tutto ciò al fine di attivare gli investimenti necessari a colmare il fabbisogno impiantistico e di superare la frammentazione gestionale.
CHE FINE FANNO I NOSTRI RIFIUTI?
TERMOVALORIZZATORI
Per quanto riguarda la termovalorizzazione, attualmente ci sono 37 termovalorizzatori in Italia. Sebbene dal 2013 ne siano stati chiusi 11 (7 solo nel centro Italia), la quantità di rifiuti urbani da cui si recupera energia non è diminuita: le quantità trattate nei termovalorizzatori in funzione sono infatti aumentate. Del totale dei rifiuti termovalorizzati:
Un’analisi di Utilitalia stima che per lo scambio complessivo di rifiuti si percorrono 62 milioni km e l’emissione di 40 mila tonnellate di CO2 l’anno, con un costo di 75 milioni di euro. Il Rapporto ISPRA 2020 segnala che Campania e Lazio sono le regioni che esportano in assoluto più rifiuti organici in Italia, mandando in regioni non limitrofe (prevalentemente verso Veneto, Friuli e Lombardia) rispettivamente il 25 e il 14,5% del totale della frazione organica prodotta.