La transizione verde non si ferma: chi la ignora va fuori dal mercato

I consigli di Carlo Cici (The European House-Ambrosetti): «Ogni imprenditore valuti i 2-3 grandi trend al di fuori del mercato con un possibile impatto sul business della sua azienda e poi metta a fuoco qualche possibile azione, prendendo spunto da ciò che di meglio hanno fatto altri

Opporsi o fingere di ignorare ciò che sta accadendo è più di un rischio. Il tema della sostenibilità sta trasformando ogni attività di impresa e il cambiamento, nell’arco dei prossimi anni, subirà una straordinaria accelerazione sull’onda della finanza. Uno scenario che coinvolge per intero anche le piccole imprese secondo Carlo Cici, Head of Sustainability Practice di The European House Ambrosetti.

Quali settori sono più interessati dalla transizione green?
Siamo di fronte a un modello che potenzialmente riguarda tutte le attività. di fatto attualmente i settori più avanti sono quelli delle multiutilities le cui aziende hanno da anni un interesse molto forte e del credito. In prospettiva il tema dell’economia circolare troverà grande sviluppo nella moda che produce una grande quantità di rifiuti con una quota di recupero di questi ultimi ancora molto bassa. 

Quale saranno i fattori che genereranno il cambiamento?
Assistiamo a una transizione generale del sistema economico verso la sostenibilità. C’è da aspettarsi, sulla base dell’esperienza passata, che le imprese non vi aderiranno di propria iniziativa, sarà la finanza a innescare il cambiamento. Bisogna farlo in tempi definiti, la Commissione europea si è data il 2050 come anno limite entro il quale raggiungere la cosiddetta decarbonizzazione ed è un limite fissato non in virtù della nostra capacità di azione ma della nostra incapacità a gestire un cambiamento se non raggiungiamo quel risultato. In altre parole, posta a 100 la quota da raggiungere, ci siamo posti l’obiettivo prima ancora di mettere a fuoco il “come” arrivarci. Ed è un approccio che ha una sua logica perché l’impatto atteso per il cambiamento climatico è enne volte superiore a quello della pandemia, abbiamo la necessità di fare qualcosa subito a fronte di un fenomeno che non avremo la forza di governare.

La gravità di questo problema è poco percepita dalle persone comuni, è difficile che la spinta al cambiamento arrivi dal basso, ovvero dai consumatori. Sarà la finanza a cambiare radicalmente le regole del gioco.

In quale modo la digitalizzazione e in generale l’innovazione tecnologica è alleata della sostenibilità?
Tutto il sistema Ict è il secondo grande produttore di Co2, magari non la circostanza non è immediatamente percepibile ma si tratta di un settore altamente inquinante, in questo senso è una sorta di “sorvegliato speciale”. Allo stesso tempo però è anche il settore che può dematerializzare l’economia che un aspetto coerente con la sostenibilità perché significa vendere, tendenzialmente, non beni ma servizi. Pensiamo alla mobilità, in prospettiva anziché la vendita di un’auto, perlomeno nella misura attuale, crescerà la vendita di un servizio, nel caso specifico l’utilizzo di un’auto per un certo periodo di tempo. Tornando a noi, la digitalizzazione consente per un verso la dematerializzazione dell’economia, per un altro verso ci consente di gestire servizi di enorme complessità. La trasformazione digitale e quella ecologica hanno grandi momenti di sintesi ma anche momenti di divergenza in relazione, come dicevo, all’inquinamento prodotto. Con lezioni a distanza e lavoro da remoto qualcuno aveva pensato che si potesse risolvere la questione dell’ambientale, purtroppo non è così, la cosa è molto più complicata di come appaia. 

E le piccole imprese possono chiamarsi fuori dal cambiamento?
La transizione green è generale e coinvolge ovviamente anche le piccole imprese. Se queste ultime non si adegueranno la loro inevitabile condanna sarà stare fuori dal mercato. Il punto vero è che stiamo iniziando ad affrontare questo argomento nell’ultimo miglio, quando negli anni Settanta si è iniziato a parlare di questi temi il mondo delle imprese ha fatto una resistenza enorme. Oggi una Pmi ha da una parte un elemento di debolezza dato dalle sue dimensioni, dalla possibilità relativamente modesta di investire nell’innovazione, d’altra parte un’organizzazione piccola ha tendenzialmente un di più in termini di agilità e flessibilità. Le piccole imprese del resto dovrebbero iniziare ad attrezzarsi per fare sistema su un tema chiave perché – agli imprenditori andrebbe spiegato con chiarezza – il cambiamento climatico è una questione che ha molto a che fare con la loro attività e che inciderà non poco sull’economia dei prossimi anni. Non averne consapevolezza, non curarsene sono comportamenti che hanno la stessa ragionevolezza di chi si mette in viaggio senza guardare quanta benzina ha nel serbatoio. 

In concreto in quale modo un singolo imprenditore dovrebbe mettere in discussione il proprio business?
La risposta è complicata. Semplificando al massimo, consiglierei ad ogni imprenditore di valutare i 2-3 grandi trend al di fuori del mercato con un possibile impatto sul business della sua azienda e poi mi impegnerei a mettere a fuoco qualche possibile azione magari prendendo spunto da ciò che di meglio hanno fatto altri. Mi rendo conto che non è banale, il mercato è un orizzonte conosciuto, oggi è richiesto alle imprese di guardare ciò che è fuori dal mercato, nella società. Fino a ieri nel cruscotto per guidare l’azienda ci stavano solo dati di matrice economica, oggi va messo anche qualcosa d’altro.