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Caos-dazi: a rischio la ripresa dell’export. A maggio -1,9%

Caos-dazi: a rischio la ripresa dell’export. A maggio -1,9%

La trattativa sui dazi al 15% è ancora in corso ed è difficile fare previsioni. A nove giorni dal D-day, Bruxelles attende un segnale da Washington sullo schema dell’intesa, ma se quel 30% dovesse essere confermato cosa potrebbe accadere all’export del Made in Italy?
Confartigianato Imprese ha lavorato sulle dieci variabili chiave che aiutano a capire l’impatto dei dazi statunitensi sulle esportazioni e sui processi di crescita delle economie europee.

1/ Il caos normativo mette rischio la ripresa dell’export
La guerra dei dazi, fatta da annunci, rinvii, applicazioni e aliquote applicate, rende difficili le decisioni di acquisto di input produttivi e di beni di investimento delle imprese. Tra il 10 febbraio e il 14 luglio 2025, nella trattativa tra Unione europea e Stati Uniti, si sono succeduti 25 interventi - uno ogni 6 giorni - di cui 7 annunci, 9 sospensioni e rinvii, 6 entrate in vigore, oltre a 3 altri interventi.
L’incertezza ha portato le vendite del Made in Italy nel mondo ad un calo dell’1,9% dopo la buona performance del mese di marzo (+5,9%) e quella timida del mese di aprile (+0,5%). La ripresa dell’export rischia di essere compromessa. A dirlo sono i dati: se nei primi quattro mesi del 2025 la crescita è stata del 2,5%, un mese dopo era solo dell’1,6%.

2/Le contromisure
La tensione si amplia con le contromisure ai dazi introdotte dai partner commerciali degli USA. La Commissione europea ha sospeso fino al 1° agosto le misure di riequilibrio su acciaio e alluminio, mentre ha individuato un secondo elenco di beni, che ammonta a circa 72 miliardi di euro di importazioni statunitensi.

3/Impatto su filiere multinazionali
Gli Stati Uniti controllano 2.603 imprese in Italia, con 350.900 addetti e 162,6 miliardi di euro di fatturato. Negli Stati Uniti operano 3.194 controllate italiane con 156.172 addetti e 63,2 miliardi di fatturato. Una analisi della Banca Centrale Europea indica che, nel 2024, gli scambi delle affiliate delle multinazionali statunitensi situate nell’area determinano il 30% dell’avanzo relativo ai beni dell’area dell’euro nei confronti degli Stati Uniti e il 90% disavanzo dell’area dell’euro relativo all’interscambio di servizi.

4/ Reshoring negli USA e differenziale del costo del lavoro
La politica protezionistica si pone l’obiettivo di riportare negli Stati Uniti produzioni delocalizzate. Il reshoring deve considerare, tra l’altro, un elevato differenziale del costo del lavoro. Una controllata italiana manifatturiera negli Stati Uniti conta, mediamente, 94 dipendenti e un costo del lavoro di 87.300 euro per dipendente, il 74,9% superiore ai 49.900 euro per dipendente in una media impresa italiana manifatturiera.

5/ Effetto accumulo
In attesa della conclusione della trattativa, le imprese anticipano gli acquisti per evitare che siano soggetti a dazi. Tra marzo e maggio 2025, l’export negli USA è salito del 14% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I dati del commercio estero tra Ue e Stati Uniti ad oggi disponibili non sono una valida base per le proiezioni future.

6/Effetti indiretti
Oltre all’esposizione diretta sul mercato USA, va considerata anche quella indiretta, che considera i prodotti che gli altri Paesi esportano verso gli Stati Uniti utilizzando come input beni intermedi prodotti in Italia. Le stime del Bollettino economico di aprile della Banca d’Italia indicano che l’8,1% del valore aggiunto della manifattura italiana giunge negli Stati Uniti, di cui il 6,4% per via diretta e l’1,7% per via indiretta.

7/Elasticità della domanda differente per settore
L’impatto varia in base al settore e alla sensibilità della domanda rispetto ai prezzi. Il 43% delle esportazioni di beni verso gli Stati Uniti sono costituite da prodotti di qualità alta, più difficile da sostituire. Per esempio, i macchinari: sono il primo prodotto del Made in Italy esportato negli Stati Uniti e, in molti casi, quelli realizzati in Europa nascono dalla co-progettazione con l’impresa cliente statunitense per meglio adattarli alle esigenze di produzione. Non sono facilmente sostituibili e, nel caso in cui si voglia cambiare il fornitore, i costi si fanno elevati.

8/Effetto cambio
La svalutazione del dollaro rispetto all’euro modifica l’effetto dei dazi, influenzando la competitività relativa tra le produzioni europee e statunitensi. Tra gennaio e luglio 2025 (media al 17 luglio) il dollaro si è deprezzato del 13,1% nei confronti dell’euro. Nel più lungo periodo, dazi e relative contromisure rialzano i prezzi e innescano rialzi (o mancati ribassi) dei tassi di interesse che influiscono sui tassi di cambio delle principali valute mondiali.

9/Crescita della concorrenza cinese
Gli ostacoli posti alla Cina nel mercato Usa potrebbero deviare l’export cinese verso l’Europa, con effetti sul posizionamento delle imprese europee.

10/Stimolo alla ricerca di nuovi mercati
Le barriere sul mercato statunitense portano le imprese a diversificare i mercati di sbocco, orientandole maggiormente verso paesi a maggiore potenziale.

NEL 2025, 22,7 MILIARDI DI MAGGIORE EXPORT
Se gli Stati Uniti dovessero indebolire il loro peso nella classifica italiana dei partner commerciali, il Made in Italy non si troverebbe con le spalle al muro.
In una analisi aggiornata al mese di aprile 2025, emerge che tra i primi 40 mercati, con l’esclusione degli Stati Uniti, si distinguono 25 Paesi top market che complessivamente pesano per circa i due terzi (63,2%) del Made in Italy venduto nel mondo, e che registrano una crescita dell’export del 5,3% mentre il resto del mondo segna un calo dell’1,9%.

In questi venticinque mercati, il trend di crescita nel primo quadrimestre 2025 proietta, per l’intero 2025, un maggiore export pari a 22,7 miliardi di euro, il quale potrebbe compensare in modo significativo il calo sul mercato statunitense causato dai dazi.

Tra i maggiori mercati (oltre cinque miliardi di export nel 2024) si osserva un maggior dinamismo per:

  • Emirati arabi uniti: +20,9%
  • Svizzera: +13,1%
  • Spagna: +10,7%
  • Arabia Saudita: +9,6%
  • Repubblica Ceca: +8,5%.

Crescita a doppia cifra, invece, in:

  • Brasile: +14%
  • Israele: +13,1%
  • Danimarca: +11,8%
  • Irlanda: +11,5%
  • Singapore: +11,3%

Aumenti sopra la media si registrano in Portogallo (+8,6%) e Algeria (+7,4%).