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Imprese sempre meno fiduciose: questa economia non dà certezze

Imprese sempre meno fiduciose: questa economia non dà certezze

Il conto alla rovescia è cominciato, e non interessa solo la trattativa sui dazi americani: ci sono le variabili legate alla guerra dei “12 giorni”, l’aumento delle commodities energetiche, quello della spesa per la difesa e le relazioni euroatlantiche. L’incertezza si annida tra le imprese, che con questa parola hanno ormai una certa confidenza. Parlando con gli imprenditori, infatti, ci si accorge di quanto organizzazione e programmazione, che da sempre stanno alla base del fare impresa, debbano sempre più accompagnarsi a flessibilità e velocità. Ciò che un tempo si pianificava su sei mesi, oggi lo si fa in sei settimane. Se va bene. E il calo di fiducia è inevitabile.

IL FUTURO NON DA’ CERTEZZE: DIMINUISCE LA FIDUCIA DELLE IMPRESE
Nel mese di giugno 2025, l'indicatore del sentiment economico (ESI) è diminuito sia nell'UE (-1,0 punti a 94,0) che nell'area dell'euro (-0,8 punti a 94,0). L'indicatore delle aspettative di occupazione (EEI) è rimasto sostanzialmente invariato rispetto a maggio (UE: ±0,0 a 97,5, area dell'euro: +0,1 punti a 97,1). Entrambi gli indicatori hanno un punteggio inferiore alla media di lungo termine di 100.
Per quanto riguarda la manifattura, il calo di fiducia interessa non solo il livello attuale degli ordini, ma anche le scorte di prodotti finiti e le aspettative di produzione. Inoltre, il pessimismo cresce quando si affrontano le recenti variazioni della produzione passata e gli ordini all’estero.

Stabili, invece, la fiducia nel settore dei servizi (per il secondo mese consecutivo registra un +0,2), e quella dei consumatori (-0,3). Che se da un lato si dimostrano meno pessimisti sulla futura situazione economica generale nei rispettivi Paesi, dall’altro frenano sulle intenzioni di effettuare acquisti importanti nei prossimi 12 mesi. La percezione della situazione finanziaria della propria famiglia, passata e prevista, è leggermente peggiorata.

La fiducia nel commercio al dettaglio è leggermente diminuita (-0,5), a causa di un peggioramento della valutazione dei commercianti sul volume delle scorte e delle loro aspettative di business per i prossimi 3 mesi. La valutazione della situazione aziendale passata, però, è migliorata.

La performance migliore la segna il settore delle Costruzioni con un indice in crescita del +0,7: ad alimentare la fiducia sono le aspettative occupazionali delle imprese. Diminuiscono le valutazioni sul livello degli ordini, e il fattore limitante sul quale si concentra il comparto è la domanda insufficiente. Il numero di imprese edili è sceso al 31,2%, la percentuale di costruttori che ha segnalato la carenza di manodopera sale al 28,7% e le imprese che hanno riscontrato difficoltà finanziarie è salita all'8,6%. Al contrario, la percentuale che ha segnalato la carenza di materiali/attrezzature come fattore limitante è rimasta sostanzialmente stabile al 4,8% tra maggio e giugno.

IL VALORE DEL MADE IN ITALY E IL NEGOZIATO UE-USA SUI DAZI
L’Italia ha un valore aggiunto, ed è quello legato al Made in Italy: i Paesi interessati dai conflitti interessano il dieci per cento del Made in Italy e il quaranta per cento dell’importo di energia. Turbolenze in sincrono che, nel dettaglio, devono essere risolte nel più breve tempo possibile per il bene delle economie. Compresa quella italiana. Perché sul negoziato Ue-Usa riguardante i dazi, fissato al 9 luglio, le aspettative sono enormi: di fronte ad un clima di incertezza lievitato oltre ogni possibile misura, l’Europa dovrà ottenere il massimo possibile, ma che sia equo per entrambe le parti. La Casa Bianca ha comunicato alla Commissione europea che una proroga sui dazi potrebbe esserci e una tariffa reciproca del 10% potrebbe contenere i danni sull’economia europea e italiana. Un dazio di questa entità, comunque, avrebbe un impatto del 6,5% sull’export del Made in Italy negli Stati Uniti.

LA CRISI IN MEDIO ORIENTE E IL MADE IN ITALY
La guerra dei “12 giorni” in Medio Oriente e gli scontri, nel mese di maggio, tra India e Pakistan hanno esteso a macchia di leopardo le aree del mondo interessate dai conflitti. E la crisi potrebbe avere effetti drammatici anche sui territori limitrofi di Egitto, Libia e Turchia. Senza dimenticare, poi, gli effetti già provati della guerra tra Russia e Ucraina. In totale, si tratta di venticinque mercati sui quali il Made in Italy vale 61,4 miliardi di euro, pari al 9,8% dell’export totale e il 19,9% delle esportazioni nei paesi extra Ue.
Una crescente instabilità geopolitica potrebbe compromettere la ripresa dell’export (+2,5% nel primo quadrimestre del 2025), già messa a rischio nel caso di esito negativo dei negoziati sui dazi, rallentando il tentativo di recupero della manifattura.

IL NODO ENERGIA E LA DIPENDENZA DELL’ITALIA
L’Italia, purtroppo, presenta una elevata dipendenza energetica proprio dalle aree maggiormente interessate dai conflitti: da diciassette Paesi su venticinque presi in esame nel 2025, il nostro Paese importa petrolio e gas naturale per 27,6 miliardi di euro: il 40,7% degli acquisti di energia dall’estero. Una dipendenza che, seppur, elevata è diminuita rispetto al 64% del 2021. Un risultato ottenuto con il taglio delle forniture di gas e petrolio russo.

LE NUBI SULLO STRETTO DI HORMUZ
Nel corso della guerra dei “12 giorni” si è delineata la possibilità di una interruzione dello stretto di Hormuz, un collo di bottiglia strategico attraverso cui, secondo i dati Eia, transita un quarto del commercio mondiale di petrolio via mare e un quinto di quello di gas naturale liquefatto (Gnl). L’interruzione delle forniture penalizzerebbe maggiormente le economie manifatturiere dell’Asia. Dai Paesi che si affacciano sul Golfo Persico attraverso lo stretto di Hormuz, l’82,1% dell’export di petrolio e il 78,1% del Gnl è diretto in Asia e solo l’11,5% del petrolio e il 16,5% del Gnl è diretto in Europa.
Per l’Italia, il passaggio per lo stretto di Hormuz interessa importazioni di energia per 9,6 miliardi di euro, pari al 14,2% del totale, di cui 3,9 miliardi di petrolio raffinato a cui si sommano 3,3 miliardi di euro di petrolio greggio e 2,5 miliardi di euro di Gnl provenienti dal Qatar.

IL PIANO PER IL RIARMO
A scuotere la geopolitica mondiale è anche il Piano per il riarmo varato dall’Unione europea e dalla Nato, che hanno portato la spesa per la difesa al 5% del Pil. Un percorso in salita, soprattutto per il nostro Paese perché, come indicato nelle ultime Raccomandazioni della Commissione europea, il potenziamento della spesa in materia di difesa va eseguito nel rispetto dei tassi massimi di crescita della spesa netta, al fine di porre fine alla situazione di disavanzo eccessivo. L’Italia si è impegnata per un tasso di crescita media annua della spesa primaria netta pari all’1,5% nel periodo 2025-31.
L’aumento della spesa per il riamo aumenta i rischi di sostenibilità del debito, mentre l’effetto moltiplicativo è ridotto da una eccessiva quota di armamenti importati e da una elevata spesa per il personale militare e civile.

A RISCHIO GLI INVESTIMENTI PER LE ATTIVITA’ ECONOMICHE
Come si finanzia una maggiore spesa per la difesa? O si aumentano le entrate, o si tagliano le altre uscite. I capitoli di spesa pubblica più rigida, in Italia, sono quelli degli interessi, del personale pubblico, delle pensioni, della salute e – ora – della difesa. Il vincolo ad aumentare la spesa per il riamo, a questo punto, potrebbe spiazzare gli investimenti pubblici e mettere a rischio il finanziamento di interventi a favore delle attività economiche e per la tutela del territorio.
Un calo degli investimenti avrà effetti molto pesanti a partire dal 2027, anno in cui cesserà il sostegno del Pnrr. Più della metà della spesa esposta ai tagli si concentra sulle politiche industriali, sugli interventi anticiclici e su quelli per le abitazioni e l’assetto del territorio, quest’ultimo un capitolo strategico per prevenire gli effetti del cambiamento climatico.

LE RELAZIONI EUROATLANTICHE E I RISCHI PER L’ECONOMIA EUROPEA
La crisi delle relazioni euroatlantiche su commercio e difesa ha un profilo rilevante per l’economia europea. Se consideriamo la revisione al ribasso delle previsioni della Commissione europea sulle esportazioni dopo l’annuncio della guerra dei dazi, e la maggiore spesa per la difesa necessaria per rispettare i nuovi target Nato e per compensare la riduzione del sostegno all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, per i paesi dell’Ue entrano in gioco risorse per 387 miliardi di euro all’anno, pari al 2,2% del PIL europeo.
 

Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati Commissione europea, Energy Institute, Eurostat, Kiel Institute, Istat, MEF e MIMIT