Ecco perché stavolta a scegliere la strategia delle nostre imprese sarà… il mondo

Abbuonati i lodevoli tentativi delle leggi Sabatini dedicate al ricambio e all’acquisto di beni strumentali, e preso atto della tinteggiata del Piano Impresa 4.0, siamo capaci di pensare ed esprimere una politica industriale per le piccole e medie imprese?

Politica industriale

di Antonio Belloni*

Sono tante, eppure il nostro paese non ha mai espresso una politica industriale per le Pmi.

Quello che va bene alle pmi va bene all'Italia è infatti un’illusione. Una frase-nemesi con cui scalzare l’altra, più celebre e fin troppo sentita quel che va bene alla Fiat va bene per l’Italia.

Ma tolta l’acredine per gli anni di aiuti più o meno dichiarati a un’impresa che non è più italiana; abbuonati i lodevoli tentativi delle leggi Sabatini dedicate al ricambio e all’acquisto di beni strumentali, e preso atto della tinteggiata del Piano Impresa 4.0, siamo capaci di pensare ed esprimere una politica industriale per le piccole e medie imprese?

Mai in maniera diretta. Vediamo perché. Il primo ostacolo è lessicale: si chiama industriale perché riguarderebbe l’impresa grande, e non le imprese piccole e medie.

Ma a ben guardare è un paradosso, perché abbiamo un bel mazzetto di grandissime Pmi, che sono grandi per competitività internazionale, per innovazione di prodotto e suvvia diciamolo: anche per la capacità manageriale delle famiglie illuminate che le guidano.

SCEGLIERE COME ORIENTARE LA TRASFORMAZIONE DELL'ECONOMIA

Politica industriale

Ma ne abbiamo anche di altre. Ce l’ha elencate questo novembre il Financial Times. Sono imprese grandi che per la verità sono nei fatti e nello spirito vergognosamente piccole perché han posti di lavoro protetti, dimensioni calanti e costi enormi; son prive di strategia e senza il coraggio di consolidarsi, nemmeno con le fusioni e le acquisizioni per cui servirebbero umiltà e voglia di tagliare, almeno un pochino, il numero di dipendenti (vedi alla voce ITA, TIM e Mps).

La politica industriale è scegliere come orientare e controllare la trasformazione strutturale della (propria) economia; scegliere dove e come concentrare poche risorse e limitati sforzi su pochi settori, rinunciando ovviamente ad altri.

OGGI SCELGONO LE FILIERE CRITICHE

Politica industriale

Questa volta siamo fortunati. Non dovremo scegliere. Saranno infatti le temperie dell’economia mondiale ad imporci – non suggerirci – su quale settore scommettere. Anzi, la metafora dello “Stato scommettitore” che punta su un settore non calza più; sono finiti i tempi della globalizzazione pura, in cui si poteva scegliere.

Oggi le priorità sono chiare perché le impone il contesto geo-economico: sono le filiere critiche dell’energia, della difesa, dell’auto-nuova-elettrica, dell’acciaio, della tecnologia e della logistica.

E le dinamiche strutturali che le influenzano si sono accumulate in pochissimi anni: la Brexit, la guerra commerciale Usa-Cina, poi i dazi distribuiti qua e là, la carenza di microchip, la pandemia ed ora il conflitto Russia-Ucraina.

Sono questi i fattori che plasmeranno la politica industriale produttiva. Ed avranno un margine di scelta così stretto che, dopo l’esperienza dei lockdown pandemici che han bloccato domanda ed offerta, produzione e consumo, persino la Commissione Europea (!) proverà a dettare le priorità industriali dei suoi paesi.

Proverà a farlo con la SMEI – Single Market Emergency Instrument – un provvedimento che porterebbe il sistema economico europeo a rispondere in maniera congiunta e non frammentata all’autosufficienza (quando sdoganiamo sovranità?) di beni e servizi nel mercato unico, in casi di emergenza.

LE IMPRESE PUBBLICHE

Nell’attesa della norma e nella speranza di non doverla poi odiare, sono gli Stati nazionali ad attivare la politica industriale produttiva oggi più urgente.

Lo fanno spingendo a forza le proprie imprese pubbliche così che tanta parte delle prossime scelte industriali del paese arriveranno proprio dai loro progetti e programmi di investimento.

Eni concentrata sul potenziamento della produzione di gas, sulla ricerca e lo sviluppo destinato alla diversificazione delle fonti; Leonardo spinta da nuovi investimenti per l’Alleanza Atlantica, impegnata per la sovranità tecnologica, la video sorveglianza e l’elettronica per la difesa; Enel tra batterie, idroelettrico e reti intelligenti; e Snam impegnata nello sviluppo di nuovi gasdotti, nel raddoppio del Tap e nella gestione dei rigassificatori.

Tanti degli stimoli industriali per i nostri super fornitori essenziali arriveranno da qui.

* Coordinatore Centro Studi Imprese Territorio