ESG nel dettaglio: per essere “Social” bisogna guardare il benessere dell’azienda. E non solo

Environmental, social e governance: questi i tre criteri di valutazione che corrispondono all’acronimo ESG. Insieme al professor Giancarlo Giudici, docente di Corporate finance al Politecnico di Milano – School of management abbiamo approfondito la "esse", che riguarda sia il lavoro che i rapporti con l’esterno

ESG Inchiesta

Environmental, social e governance: questi i tre criteri di valutazione che corrispondono all’acronimo ESG. Una strategia che prescinde dai parametri finanziari e sposta invece il focus sulla sostenibilità delle aziende. Fissando subito un concetto chiave. Realmente “sostenibile” si può definire un’azienda che riduce il proprio impatto ambientale grazie a una serie di pratiche virtuose, certo. Ma poi va oltre. Definendo un governo societario basato sulla separazione dei poteri, compiendo scelte di gestione trasparenti e responsabili. E concentrandosi anche sul proprio impatto sociale, guardando alle dinamiche interne e al contempo volgendo l’attenzione all’esterno. Proprio a quest’ultimo proposito, abbiamo approfondito la S di Social con Giancarlo Giudici, docente di Corporate finance al Politecnico di Milano – School of management.

GRI 400: UN RIFERIMENTO IMPORTANTE

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Verificare quanto e come i valori legati alla strategia ESG vengano rispettati dalle grandi aziende è semplice, perché sono obbligate a pubblicare una rendicontazione dei dati. Obbligo che invece non sussiste a proposito delle Pmi, per cui l’indagine può risultare difficoltosa. Ma il punto è anche un altro. Il punto è che se ormai l’acronimo ESG è parte integrante del modus operandi delle prime, le altre hanno difficoltà.

«Una grande impresa, proprio perché più strutturata – spiega Giudici – possiede tutti gli strumenti necessari per essere sostenibile, competenze tecniche in primis. Le Pmi, anche se il tema in sé non presenta differenze significative, sono invece meno predisposte dal punto di vista organizzativo. Spesso non possiedono quelle competenze tecniche e non sanno dove recuperare informazioni che siano davvero utili».

A proposito di informazioni, il Professore dà un riferimento prezioso: «Gli standard Gri, cioè definiti dal Global reporting iniziative e a cui fanno riferimento molte imprese». Insieme a lui, dunque, soffermiamoci sui Gri 400. Che corrispondono all’informativa in ambito sociale.

IL TEMA DELLA FORZA LAVORO

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Possiamo dividere le best practices riconducibili alla S di Social in due macrocategorie: quelle riguardanti l’interno, dunque la forza lavoro, e quelle che definiscono il rapporto con l’esterno.

«Alla prima categoria – commenta Giudici – è riconducibile innanzitutto la policy dell’impresa rispetto alle assunzioni. Per esempio, quanti sono i neoassunti, come avviene il turnover, quante sono le assunzioni e tempo determinato e indeterminato». Un peso tutt’altro che trascurabile hanno le relazioni sindacali e fondamentale è il tema della sicurezza e della salute sul lavoro: «Per fare un altro esempio, quanta attenzione si pone per evitare incidenti o ridurre il rischio che i dipendenti si ammalino; quanti incidenti gravi si registrano, eventualmente, durante l’anno».

Entra anche in gioco la formazione: «Quanti e quali corsi, quante ore dedicate». Il Gri 405 riguarda invece la Diversity and equal opportunity: «Qual è la differenza tra il salario medio degli uomini e quello delle donne a parità di mansioni; il numero di uomini e donne assunti, le rispettive percentuali nel Consiglio di amministrazione. La convivenza di retroterra culturali differenti».

I RAPPORTI CON L’ESTERNO

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Ma un’azienda sostenibile e virtuosa sa come declinare la S dell’acronimo ESG anche nei rapporti con l’esterno. «Uno dei parametri Gri – continua Giudici – è il lavoro minorile. In Italia, per fortuna, non rappresenta un allarme sociale; si tratta piuttosto di indagare come operino i fornitori dall’estero». E arriviamo così a un’altra questione di primaria importanza: comprendere se i diritti delle popolazioni locali vengano rispettati o se invece si tratti di lavoratori sottopagati, sfruttati, peggio ancora maltrattati. L’aggancio anche al commercio equo solidale, facile dedurlo, è immediato. C’è da fare attenzione, perché si può essere sostenibili direttamente ma non indirettamente. E anzi, ritrovarsi complici di pessime condotte.

Ma andiamo avanti. Bisogna tener conto inoltre dell’ordine pubblico, della salute e sicurezza dei clienti. Più in generale, del rapporto con i consumatori: «Si valuta la trasparenza, che passa dalle informazioni riportate sulle etichette ma anche dalla visione – veritiera o fasulla – che l’azienda dà di sé e dei suoi prodotti. Il contatto con il cliente è un ulteriore valore aggiunto». E al cliente è doveroso assicurare la massima privacy: anche questo vuol dire Social.

UN INTERESSE CRESCENTE

No, non è facile per una Pmi mettere in atto i parametri legati alla S come alle altre lettere che compongono l’acronimo in questione. Un modus operandi a 360 gradi che però comporta numerosi vantaggi, in primis a livello di competitività e reputazione. «Il dato positivo – commenta Giudici – è che stanno comunque manifestando un interesse crescente. Aumenta il numero di Pmi che davvero credono nell’ESG, nella consapevolezza che il tema della sostenibilità è ormai imprescindibile».

Vero anche che le piccole e medie imprese trovano un forte input importante pressione. Esercitata dai clienti ma anche dai finanziatori. «Le grandi imprese – ribadisce il docente – sono tenute a rendicontare, dimostrare quanto il loro operato sia conforme agli indicatori ESG. Questo significa anche che, se tra i fornitori ci sono aziende non sostenibili, è un problema. Che naturalmente si riflette anche sulle aziende stesse». Il rischio di rimanere fuori gioco, in altre parole, è fin troppo concreto.

Sull’altro fronte ci sono le banche, che sempre più spesso richiedono riscontri oggettivi in merito all’ESG prima di concedere prestiti. E concederli solo alle realtà imprenditoriali sostenibili è ormai una prassi. Pressioni, sì, ma positive. Che diventano incentivi determinanti. Nadine Solano

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