Giovani nelle Pmi, la differenza la fanno le relazioni: dialogo e crescita sono il valore aggiunto
Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta dell’attrattività delle piccole e medie imprese. Stavolta la parola va al professor Marco Trentini, associato di sociologia economica e del lavoro a Bologna. «Strategica anche la flessibilità, che può essere sfruttata per promuovere il benessere dei lavoratori»
Dopo aver esplorato le dinamiche delle piccole imprese e il loro impatto sulla crescita personale e professionale dei giovani nell’intervista con Annalisa Tonarelli, professoressa in Sociologia del Lavoro all'Università di Firenze, proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta di come questi ambienti lavorativi possano essere fucine di talento e opportunità per le nuove generazioni. Questa volta, ci avventuriamo oltre, rivolgendo la nostra attenzione a un altro esperto nel campo della sociologia del lavoro: il professor Marco Trentini dell'Università di Bologna.
Trentini, professore associato di Sociologia Economica e del Lavoro, porta con sé un ricco bagaglio di conoscenze e una profonda comprensione delle dinamiche socioeconomiche che caratterizzano il tessuto lavorativo italiano, con un occhio di riguardo alle piccole imprese.
Con il professor Trentini, esploriamo le specificità delle piccole imprese nel contesto dell'occupazione giovanile, analizzando come queste possano agire come catalizzatori di crescita e sviluppo in un mercato del lavoro in continua evoluzione. Sarà l'occasione per riflettere sulle strategie che le piccole imprese possono adottare per attrarre, formare e trattenere i giovani talenti, garantendo al contempo il loro benessere e la loro crescita professionale.
Professor Trentini, per cominciare mi piacerebbe porre subito l’attenzione sull’evoluzione del lavoro giovanile nei diversi contesti economici. Quali elementi distintivi ha riscontrato nelle piccole imprese che influenzano positivamente l'occupabilità e lo sviluppo professionale dei giovani?
I
nnanzitutto, è importante ricordare che la maggior parte delle imprese nel nostro Paese sono medio-piccole, rappresentando circa il 90% del totale, e impiegano circa l'80% della forza lavoro. Questo dimostra chiaramente che le piccole imprese offrono significative opportunità occupazionali, non solo per i giovani. Inoltre, il panorama delle piccole imprese è estremamente eterogeneo e vario, il che sfata l'immagine un po' datata di questi entità come meno modernizzate o marginali. Considerando il modello economico italiano, centrato sulle medio-piccole imprese, troviamo una grande varietà all'interno di questo settore. Molti sono microimprese con meno di dieci dipendenti, mentre altri si avvicinano ai cinquanta. È quindi un universo complesso e diversificato. È anche essenziale considerare che i modelli organizzativi stanno evolvendo verso configurazioni di rete, che attenuano le distinzioni tra piccole e grandi imprese, come era evidente negli anni '60. Attualmente, operare in una piccola impresa spesso significa lavorare in stretta connessione con grandi realtà, il che può offrire opportunità comparabili di crescita personale e professionale, a prescindere dalla dimensione dell'impresa.
Nell'ambito della sociologia del lavoro, riguardo l'impatto delle politiche sociali e del lavoro sull'inclusione dei giovani: quali politiche ritiene che le piccole imprese possano adottare per promuovere l'inclusione sociale e professionale dei giovani?
La prima cosa da considerare è che, nelle piccole imprese, data la loro dimensione ridotta, emergono dinamiche relazionali più frequenti rispetto alle grandi imprese, dove a volte si può avvertire un certo senso di anonimato. Queste dinamiche sono un vantaggio distintivo delle piccole imprese che favoriscono l'inclusione sociale e professionale. La gestione delle risorse umane in queste realtà può non essere strutturata come nelle grandi imprese, che spesso hanno uffici dedicati, ma ciò non impedisce alle piccole imprese di adottare iniziative utili a promuovere l'inclusione, anche su base informale. Ricordiamoci che l'informalità è un aspetto fondamentale in tutte le organizzazioni, come evidenziato negli anni '80 dallo studio del modello giapponese, dove il semplice atto di prendere un caffè si rivelava un momento prezioso per scambiarsi informazioni cruciali per l'organizzazione.
Inoltre, se consideriamo la partecipazione alla formazione, è vero che le grandi imprese mostrano tassi più elevati, ma nelle piccole imprese l'apprendimento spesso avviene in modi meno formalizzati, che sono altrettanto validi. Ad esempio, in un'impresa artigiana, l'apprendistato quotidiano con un artigiano esperto rappresenta un'opportunità di apprendimento vitale che non deve essere sottovalutata. Queste opportunità, presenti nelle piccole imprese, devono essere riconosciute e valorizzate per cogliere al meglio i benefici che possono offrire a giovani lavoratori.
Parliamo ora di benessere organizzativo: come possono le piccole imprese creare un ambiente di lavoro che supporti non solo lo sviluppo professionale ma anche il benessere psicosociale dei giovani lavoratori?
Innanzitutto, penso che una caratteristica distintiva delle piccole imprese sia la loro maggiore flessibilità, dovuta alle dimensioni ridotte. Questa flessibilità può essere sfruttata per promuovere il benessere dei lavoratori, ad esempio attraverso la modulazione degli orari di lavoro. La pandemia ha mostrato come il lavoro da casa possa differenziarsi significativamente dal lavoro in ufficio, anche se questa opzione non è applicabile universalmente a tutte le professioni. Inoltre, le piccole imprese possono ripensare l'organizzazione del lavoro per sfruttare al meglio questa flessibilità.
Un altro aspetto cruciale è comprendere cosa significhi il benessere dal punto di vista dei lavoratori. In sociologia, si distinguono due concezioni del lavoro: quella strumentale e quella espressiva, dove il lavoro serve anche a realizzare sé stessi. I giovani lavoratori, in particolare, cercano posti di lavoro che rispecchino i loro valori etici e morali. Essere attenti a queste aspettative e valorizzare un ambiente di lavoro che sia in sintonia con i principi dei giovani può notevolmente contribuire al loro benessere psicosociale. Quindi, un'attenzione a questi aspetti è fondamentale per creare un ambiente lavorativo che supporti sia lo sviluppo professionale che il benessere psicosociale dei giovani lavoratori.
Analizziamo il rapporto che c’è tra educazione, formazione e mondo del lavoro, suggerendo spunti su come le piccole imprese possano collaborare con le istituzioni educative. Potrebbe delineare, se ce ne sono, alcuni modelli di collaborazione efficaci che hanno favorito l'integrazione dei giovani nel tessuto produttivo locale?
Certamente, un esempio spesso citato è quello della Germania. Senza idealizzare il sistema educativo tedesco, che è noto per la sua rigidità e per le scelte formative precoci, è innegabile che là il dialogo tra il mondo del lavoro e quello della scuola sia molto sviluppato, in particolare nel campo della formazione professionale. È interessante osservare l'intero assetto istituzionale tedesco, come è organizzato il sistema formativo e di governo. Tuttavia, l'elemento cruciale è la cultura della formazione che permea la società tedesca, a differenza dell'Italia, dove spesso i tirocini sono percepiti come potenziali sfruttamenti o visti solo come trampolini di lancio per l'assunzione. Questa cultura della formazione è ciò che permette al sistema di apprendistato in Germania di funzionare efficacemente, contribuendo a mantenere bassi i tassi di disoccupazione giovanile rispetto all'Italia. È fondamentale, quindi, non solo guardare ai meccanismi istituzionali, ma anche valorizzare e promuovere una vera cultura della formazione, vista non come un costo o un fastidio, ma come un'opportunità di crescita e apprendimento.
Le vengono in mente delle sinergie che si potrebbero creare tra la piccola impresa e il mondo accademico?
Esistono varie opportunità di sinergia tra le piccole imprese e il mondo accademico. Una delle più significative è rappresentata dai tirocini, che sono sempre più frequentemente inclusi nei curricula universitari, sia nei corsi di laurea triennali che magistrali. Questi tirocini non solo offrono esperienza pratica agli studenti, ma possono anche trasformarsi in vere e proprie opportunità di lavoro, concludendosi con un'offerta di assunzione. Le università, riconoscendo il valore di queste esperienze, tendono ad incorporare sempre più questi percorsi formativi che prevedono tirocini.
Oltre ai tirocini, un'altra possibilità di interazione è rappresentata dalle tesi di laurea che includono componenti pratiche, attraverso le quali gli studenti possono lavorare a stretto contatto con le imprese per sviluppare progetti concreti. Infine, non dobbiamo dimenticare il potenziale della ricerca: le università sono centri di innovazione e sviluppo, mentre le piccole imprese possono applicare questa nuova conoscenza in modo pratico.
Insomma, le opportunità di collaborazione sono numerose e possono portare benefici a lungo termine sia per le imprese che per il mondo accademico, specialmente quando si parla di formare e assumere giovani talenti che possano crescere e svilupparsi all'interno dell'azienda. Giuliano Terenzi