Occupazione femminile in aumento. Ma le aziende sono davvero preparate?

Secondo l’Istat, il tasso di occupazione fa un ulteriore balzo in avanti, arrivando a quota 53%, mentre quello di disoccupazione scende all’8,2%. Siamo, però, fanalino di coda in Europa. L’esperta della Bocconi: «Dobbiamo lavorare sull’inclusione, la formazione e la vicinanza»

Donne a lavoro Occupazione femminile

C’è il sistema Italia, dove i recenti dati Istat segnano un «record» dell’occupazione femminile nel Paese. E c’è l’altra faccia della medaglia che esce dal confronto del dato italiano con quello dell’Unione Europea.

LA CRESCITA INTERNA

Dunque il quadro fotografato dall’Istituto nazionale di statistica relativo a gennaio 2024, segna una sensibile crescita per l’occupazione femminile in Italia: il numero delle occupate raggiunge i 10 milioni 95mila, il tasso di occupazione fa un ulteriore balzo in avanti, arrivando a quota 53%, mentre quello di disoccupazione scende all’8,2%.

Secondo un’elaborazione della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro «la tendenza positiva di crescita occupazionale avviata nella ripresa post pandemica ha riguardato anche il lavoro delle donne, sebbene in ritardo rispetto agli uomini. Queste, infatti, hanno fatto più fatica a recuperare i livelli pre-Covid, concentrando il recupero sostanzialmente nel 2023. Rispetto al 2019 (si considera la media dei primi tre trimestri), l’occupazione femminile registra infatti, nel 2023, una crescita dell’1,6%, leggermente inferiore a quella degli uomini (+1,8%). Ma è nell’ultimo anno che la dinamica femminile è risultata maggiormente positiva, segnando rispetto al 2022, un incremento del 2,4% a fronte dell’1,7% degli uomini». 

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IL PARAGONE CON L’UE

Un dato che, come si accennava, si scontra col paragone europeo. Secondo il dossier “L’occupazione femminile” del centro studi della Camera dei deputati pubblicato sul finire del 2023, «il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere (dati relativi al IV trimestre 2022) quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento». Una foto cangiante che vede un miglioramento dei livelli occupazionali, tuttavia ancora insufficiente a confronto col dato medio comunitario. 

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LE POLITICHE DI INTERVENTO

Sul fronte delle politiche interne esistono gli strumenti messi in campo per affrontare il tema. Per quanto riguarda le misure dirette a favorire l'occupazione femminile esiste da anni l'esonero del 50 per cento dei contributi dovuti dal datore di lavoro, previsto per le assunzioni di donne svantaggiate riconosciuto per la durata di 12 mesi in caso di contratto a tempo determinato e di 18 mesi in caso di assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato.

Con la legge di bilancio 2024, inoltre, è stato introdotto un nuovo esonero contributivo totale - nel limite massimo di importo di 8.000 euro annui e per la durata di 24 mesi se l'assunzione è a tempo indeterminato, di 12 mesi se è a termine e di 18 se si tratta di trasformazione - in favore dei datori di lavoro privati che nel triennio 2024-2026 assumono donne disoccupate vittime di violenza beneficiarie del «Reddito di libertà».

In sede di prima applicazione lo sgravio si applica anche a favore delle donne che hanno usufruito del Reddito nel 2023. Un esonero analogo è riconosciuto dal «decreto legge Coesione» del 2024 per le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025. Una misura che riguarda donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti nelle regioni della Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali dell'Unione europea; donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, per lo svolgimento di professioni o attività lavorative in settori economici caratterizzati da un tasso di disparità occupazionale di genere che superi di almeno il 25 per cento la disparità media uomo-donna, annualmente individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti. L'esonero è riconosciuto per un periodo massimo di 24 mesi e nel limite massimo di importo di 650 euro su base mensile.

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IL LATO IMPRESE

Ma qual è l’attenzione riservata dalle imprese italiane al tema della crescita dell’occupazione femminile? La professoressa Rossella Cappetta insegna Organizzazione del lavoro all’università Bocconi, e non ha dubbi: «L’attenzione delle imprese in questo momento rispetto alle prassi che meglio includono le donne esiste, bisogna però fare attenzione a come queste prassi vengono applicate. Al fatto cioè che siano pratiche inclusive e non segreganti».

Un esempio? «Il contratto part time. L’obiettivo era portare più donne in impresa per conciliare vita privata a professionale. È successo che il contratto da inclusivo sia diventato segregativo: è oggi quasi utilizzato da donne, e che hanno maggiore differenza di retribuzione, con prospettive di carriera inferiori rispetto alle colleghe impiegate a full time».

Insomma, c’è il rischio di un utilizzo di strumenti differenziati per tutte le categorie che potenzialmente producono situazioni inique. «Esatto, lo stesso vale per lo smart working che viene scambiato per strumento di conciliazione fra vita privata e professionale ma alla fine implica maggiore carico di lavoro dal momento che aumenta le permeabilità con la vita privata e quindi nel caso della donna lavoratrice rappresenta spesso un appesantimento della sua condizione».

Ma le aziende, quali azioni devono dunque intraprendere per trattenere le lavoratrici? «Un’azienda oggi è chiamata a impiegate strumenti diversi e non per categorie stereotipate: nel caso dell’occupazione femminile esistono leve di corporate welfare (asili aziendali), leve di formazione (che è utile se la lavoratrice ha vissuto uno stop legato alla maternità). Va tuttavia considerato che in realtà le aspettative delle donne risultano molto variegate in questa fase generazionale.

Il modello famiglia è cambiato e la gestione delle risorse umane deve essere multitasking e multi-strumento: è vero che l’asilo aziendale può rappresentare un plus, ma se è rivolto a donne che fanno sempre meno figli, allora le aziende devono muoversi su leve più flessibili possibile per trattenere la forza lavoro femminile. L’azienda deve imparare a offrire strumenti secondo fabbisogni che cambiano rapidamente». Andrea Camurani