Come capire se la tua impresa sta davvero guadagnando
Scopri i numeri che contano davvero per misurare la redditività della tua impresa e prendere decisioni più sicure per il futuro

Il primo passo per il successo di una Pmi sta nel dotarsi di strumenti utili a rafforzare le proprie competenze economico-finanziarie per una migliore comprensione della propria situazione economica, in modo da valutare progressi e solidità finanziaria, individuare punti di forza o eventuali problemi e prendere decisioni migliori, più rapidamente. In questo articolo, con il professor Marco Tutino, prorettore per le Politiche di Bilancio e ordinario di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi “Roma TRE”, esploriamo le due misure più comuni per valutare la performance reddituale di un’azienda: il margine operativo lordo (Mol o Ebitda) e il margine operativo netto (Mon o Ebit).
“Ebit” ed “Ebitda” sono due indicatori fondamentali per capire lo stato di salute di una azienda. Termini perlopiù familiari di cui spesso non è pienamente compresa la portata informativa per prendere decisioni operative e strategiche per l’impresa. È bene, invece, capire con chiarezza e precisione cosa misurano e in cosa differiscono. Vediamolo insieme al professor Marco Tutino, spiegando perché l’Ebitda è importante nell’analisi della redditività di una azienda, quali sono i limiti di questo indicatore e quali invece i vantaggi. «Cerchiamo di fare ordine su questi due concetti apparentemente semplici ma di fatto leggermente distanti tra di loro, in quanto hanno capacità informative diverse l’uno dall’altro – chiarisce Tutino – Prima di entrare nel merito, è bene partire da un presupposto basilare: l'analisi di bilancio è fondata sul calcolo e sulla lettura coordinata di appositi indici, fornendo elementi utili per esprimere giudizi sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell'azienda sia storica che prospettica – aggiunge – L'analisi di bilancio per indici presuppone una operazione di riclassificazione del conto economico, vale a dire la formazione di macroaggregati contabili che sia funzionale a produrre informazioni utili alle decisioni. Limitatamente alla riclassificazione del conto economico, se ne riconoscono tre modelli di riferimento utili a calcolare diverse configurazioni di margine reddituale: il modello di riclassificazione del conto economico “a valore aggiunto”, il più facilmente ricostruibile in relazione alla facilità di sua costruzione partendo dal conto economico civilistico (ossia, quello depositato per finalità di compliance), permette di esprimere il Margine Operativo Lordo (Ebitda) e Netto (Ebit). La premessa necessaria è dunque la seguente: passare da un conto economico redatto ex art. 2425 codice civile a un conto economico per l’analisi finanziaria (che non è chiaramente quello depositato ai fini della legge) che ci permetta di misurare entrambi gli indicatori».

Le configurazioni reddituali messe in evidenza nel conto economico riclassificato a valore aggiunto sono le seguenti: il margine operativo lordo (Mol), diffusamente noto nella terminologia anglosassone con l’acronimo Ebitda, Earnings Before Interest, Tax, Depreciation and Admortization; il margine operativo netto (Mon), o Ebit, Earnings Before Interests and Taxes; e il Valore Aggiunto, (di cui parleremo dopo). «L’Ebitda misura il reddito che rimane sottraendo dai ricavi l’insieme dei costi operativi che rispondono a specifiche caratteristiche. Sinteticamente, per calcolare questo indice dai componenti positivi di reddito [quindi i ricavi netti di vendita, le variazioni positive delle rimanenze finali di merci e prodotti finiti, i costi capitalizzati ed eventuali altri ricavi direttamente legati al core business; pertanto non costi di gestione accessoria ma costi di competenza strettamente connessi alla gestione operativa caratteristica], si sottraggono tutti quei costi operativi che hanno natura monetaria, esterni ed interni – spiega Tutino – I costi monetari esterni sono sostanzialmente costi per materie prime e per servizi esterni (che hanno un impatto immediatamente monetario sulla gestione corrente e di natura esterna perché sono tutti fornitori esterni di materie prime o servizi) mentre i costi monetari interni riguardano prevalentemente il costo del lavoro».
Ai fini del calcolo dell’Ebitda non sono considerati: il contributo reddituale che deriva da aree diverse della gestione del “core business” (tra questi, il saldo della gestione finanziaria, della gestione straordinaria, della gestione accessoria, della gestione tributaria); i costi operativi di “core business” che, pur essendo di competenza dell’esercizio, non hanno manifestazione monetaria (tra di essi, ammortamenti, svalutazioni, rettifiche di valore). «Riassumendo, per offrire definizioni semplici, possiamo dire che il calcolo dell’Ebitda si ottiene sottraendo i costi monetari sia esterni che interni dai componenti positivi di reddito».
EBTDA: UNA PROXY DEL FLUSSO DI CASSA OPERATIVO

L’Ebit è il margine reddituale prodotto dal “core business” escludendo oneri finanziari e imposte; in sostanza, per ottenere questa configurazione reddituale vanno detratti dal valore dell’Ebitda quei costi che hanno una natura non monetaria (ammortamenti, svalutazioni e rettifiche di valore: tutti quei costi che rientrano nel conto economico ex codice civile che nell’esercizio non hanno un impatto monetario). Ebit ed Ebitda non tengono conto della struttura finanziaria dell’impresa, cioè di come viene finanziata l’attività, in quanto sono esclusi gli effetti della gestione finanziaria per il loro calcolo.
Sono ambedue indicatori rilevanti perché danno una misura della marginalità operativa dell’anno. Si potrebbe pensare che per ottenere questa misura basterebbe l’Ebit, perché allora è importante l’Ebitda? «L’importanza dell’Ebitda è che, poiché per il suo calcolo sono considerati solo componenti positive e negative di reddito che hanno natura monetaria, di fatto approssima il cash flow operativo: permette di dare, a certe condizioni, una indicazione tendenziale del flusso monetario della gestione reddituale (fatti salvi gli effetti monetari generati dall’Iva in questa relazione, in quanto il cash flow risentirà ovviamente anche delle entrate per Iva legate ai ricavi e dalle uscite per Iva legate ai costi, posto che ricavi e costi sono rappresentati in conto economico al netto dell’Iva) – sottolinea Tutino – Se consideriamo i costi monetari (ovvero, i costi di natura operativa che hanno un impatto sulla cassa) e assumiamo per ipotesi semplificatrice che la parte dei ricavi (da cui detraiamo i costi monetari) siano tendenzialmente tutti di natura monetaria (riferendoci, quindi, ai ricavi netti di vendita di una azienda di produzione e di commercializzazione), possiamo costruire un indicatore come l’Ebitda che, di fatto, approssima il cash flow operativo in quanto dai ricavi che hanno avuto manifestazione monetaria sono detratti tutti quei costi operativi, sia interni che esterni, che hanno avuto un impatto monetario».

Il contributo informativo del Mol rispetto al Mon risiede nel fatto che esso esprime una misura sintetica, anche se estremamente indicativa, dei flussi di cassa operativi generati dalla gestione caratteristica. «La differenza tra Ebitda e Ebit risiede nel fatto che l’Ebit risente dei costi non monetari: se l’Ebitda è 100, detraendo ammortamenti e svalutazioni per 20, l’Ebit sarà di 80. Mentre l’Ebit considera tutti i costi (sia con impatto monetario che senza), l’Ebitda ha la funzione di esprimere una configurazione di reddito operativo legata anche alla cassa, non tenendo conto di quei costi che non hanno avuto impatto monetario nell’anno – puntualizza – La sua rilevanza, pertanto, risiede in questa capacità: saper offrire una misura reddituale tendenzialmente prossima al cash flow operativo, fornendo una indicazione della potenza finanziaria del core business. Nella misura in cui una azienda adotta una politica commerciale aggressiva, ad esempio una forte dilazione di concessione dei pagamenti a fronte della vendita dei prodotti, è evidente che si ottengono alcuni effetti positivi sul bilancio (in particolare, su stato patrimoniale e sul conto economico), ma non solo: questa dilazione consente alle aziende di scaricare il magazzino di una determinata merce dallo stato patrimoniale e trasformare quella voce in un credito funzionale che è facilmente liquidabile - esistono, per esempio, società finanziarie che acquistano i crediti verso i clienti; in questo modo lo stato patrimoniale aumenta di qualità perché assume una maggiore liquidabilità. In primis, dunque, c’è l’effetto patrimoniale, cui segue un effetto sul conto economico: stornare i costi di rimanenze e trasformarli in ricavi, con la conseguenza di addebitare in conto economico i costi legati alla produzione di quei ricavi generati dalla vendita di quella determinata merce e, così, registrare margini reddituali operativi. Tuttavia, se tale politica permette di alleggerire lo stato patrimoniale e di generare margini reddituali, il problema si scarica sul rendiconto finanziario, dove tra le uscite abbiamo i costi sostenuti per materie prime, servizi e personale legati alla voce di quella merce, senza avere ancora l’incasso dei ricavi della vendita dei divani, in quanto per politica commerciale si prevede l’incasso fortemente dilazionato, magari dopo 6 mesi – precisa ancora – L’Ebitda ha la funzione di informare sulla capacità dell’azienda di vendere e generare margini reddituali (approssimando il cash flow operativo), ma la “quadra” la si ha unicamente andando a vedere gli effetti sul rendiconto finanziario: il cash flow operativo effettivamente segue l’Ebitda o no? Se diverge di tanto, ossia se l’Ebitda continua a essere costantemente in crescita e il cash flow operativo continua a essere costantemente in decrescita, è il segnale di una politica commerciale aggressiva che prima o poi si traduce in uno stato di crisi di liquidità. Ciò è il frutto di un assunto logico: ogni ricavo genera una entrata, ogni costo genera una uscita. Qualunque operazione deve passare dalla cassa, è un po’ come il Monopoli: se non passa dalla cassa gli effetti positivi di breve termine che mostra il conto economico, si traducono nel medio-lungo termine in effetti negativi emergendo dal rendiconto finanziario».

In sintesi, partendo dal conto economico, l’Ebitda è un indice che ha la capacità di mettere in correlazione anche la contropartita finanziaria della gestione, dando una misura indicativa dell’andamento del flusso di cassa dell’area operativa, cioè del core business.
Nel caso in cui non si siano registrate variazioni nel capitale circolante è possibile considerare il valore del Mol come un utile indicatore della capacità di rigenerare i flussi finanziari assorbiti nella gestione. «Sebbene la “non varianza” del capitale circolante netto nell’intervallo di tempo relativo ad un esercizio sia un’ipotesi molto forte, tuttavia la potenziale rispondenza del Mol al flusso di cassa operativo rendono l’indicatore reddituale altamente rappresentativo della capacità finanziaria di un’azienda, o di un progetto; perciò, esso ha trovato ampia diffusione nella pratica professionale per una prima valutazione sintetica della capacità di generare flussi di cassa di un progetto».
COME AIUTARE LE PMI A MIGLIORARE IL MARGINE OPERATIVO LORDO

Il controllo di gestione, del monitoraggio e degli andamenti è uno dei temi principali delle Pmi che spesso incorrono in errori di “miopia” che possono costare caro in termini di competitività ed efficienza. «C’è un diffuso atteggiamento di sottovalutazione delle dinamiche economico-finanziarie. A mio avviso ci sono due punti che andrebbero presi seriamente in considerazione – commenta Tutino – Il primo riguarda l’attenzione al mercato delle vendite e degli approvvigionamenti: i piccoli imprenditori hanno fortissime capacità di controllo dei costi, dato che sovente i fornitori sono storici, oltre che del prodotto (e quindi dei ricavi potenziali che possono ottenere su quel mercato in quel determinato momento e a quale prezzo); tuttavia, questa buona conoscenza del mercato di riferimento, sia di approvvigionamento che di vendita, li porta a sottostimare i processi di controllo interno e a non investire nei sistemi di monitoraggio interno. Poiché il “prezzo/ricavo” è poco controllabile dall’impresa poiché è il mercato a definire il livello di prezzo per ogni prodotto a meno di riuscire a differenziare il prodotto in uscita, il tema cruciale concerne il monitoraggio dei flussi finanziari in uscita per costi. Investire nei sistemi di monitoraggio continui per il controllo dei costi diviene “il” punto centrale per gli imprenditori e manager della piccola e media impresa. Questo dà la possibilità di controllare l’Ebitda e il flusso di cassa operativo». In tal senso, l’indicazione è di investire sui processi di controllo interno, soprattutto oggi che esistono molti più strumenti rispetto al passato in termini di software e competenze diffuse. «C’è una generalizzata sottostima nella cultura di impresa, in particolar modo tra i micro e piccoli imprenditori, del valore aggiunto generato dagli investimenti in sistemi di cost management». Un elemento fondamentale, oggi, per cogliere i legami tra i costi e la creazione di valore, in modo da garantire la sostenibilità finanziaria e la redditività nel lungo periodo di una impresa. Paola Mattavelli