"Il peso del sistema. Come i vincoli strutturali del Paese frenano la crescita delle imprese italiane" è il secondo paper della collana Quadrante del Centro Studi Imprese Territorio. Il documento analizza con precisione chirurgica i fattori che deprimono la produttività italiana e valuta la Legge di Bilancio 2026 alla luce di questa diagnosi.
Le imprese italiane non sono meno capaci dei loro competitor europei. Operano però in un sistema-Paese che impone costi, vincoli e inefficienze che altrove non esistono. Negli ultimi venticinque anni l'Italia ha registrato una crescita della produttività del lavoro di appena il 2,5%, contro il 9,7% della Francia, il 16% della Germania, il 18% della Spagna e il 19,6% della media dell'Unione europea. Questo divario non deriva da imprese meno competitive ma da vincoli strutturali che frenano sistematicamente la capacità di crescita e di creazione di valore.
I vincoli macroeconomici pesano come macigni. Il cuneo fiscale italiano ha raggiunto il 47,1% del costo del lavoro, il quarto più alto tra i 38 Paesi Ocse. Di questi, 24 punti percentuali sono contributi a carico del datore di lavoro, quasi il doppio della media Ocse. Questo rende il lavoro costoso per le imprese e poco remunerativo per i lavoratori. Ma il problema più grave è la sperequazione del prelievo: mentre i redditi da lavoro subiscono un cuneo del 47% e aliquote Irpef fino al 43%, i redditi da capitale sono tassati al 26% e i grandi patrimoni godono di un'imposta di successione quasi inesistente.
La rigidità della spesa pubblica sottrae risorse agli investimenti strategici. Pensioni, stipendi pubblici e interessi sul debito assorbono quasi tutto, lasciando margini minimi per investimenti. La spesa per pensioni rappresenta il 16,3% del Pil, la seconda più alta in Europa dopo la Grecia, contro una media Ue del 12,9%. Questo differenziale costa al sistema circa 80-100 miliardi di euro l'anno. L'Italia spende per l'istruzione il 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%. Il gap equivale a circa 16 miliardi di euro l'anno di minori investimenti in capitale umano.
L'inefficienza della Pubblica Amministrazione e del sistema giudiziario agisce come una tassa occulta sulla competitività. I tempi lunghi della giustizia civile rappresentano un costo enorme in termini di contratti non onorati, crediti non recuperati e incertezza che scoraggia gli investimenti.
A questi vincoli macroeconomici si sommano fattori microeconomici. L'Italia ha il 95% delle imprese con meno di 10 dipendenti, percentuale più elevata della Germania (82%) e della media europea (92%). Il problema non è la presenza di microimprese ma l'insufficienza di imprese medie e medio-grandi che possano guidare le filiere produttive. Il sistema fiscale contiene numerose soglie dimensionali che disincentivano la crescita: superare determinati livelli comporta un aumento sproporzionato di costi e adempimenti.
Una quota significativa delle Pmi è gestita con modelli organizzativi familiari non professionalizzati. Il deficit di competenze manageriali si manifesta nella pianificazione strategica, nella gestione finanziaria, nel marketing e nella digitalizzazione. Le imprese italiane sono storicamente sottocapitalizzate e dipendenti dal credito bancario, il che le rende fragili agli shock. Investono in tecnologie digitali meno dei competitor europei. Circa il 40% delle imprese familiari affronta un passaggio generazionale nei prossimi anni, ma solo una minoranza conclude con successo il processo.
Questi fattori non operano in modo isolato ma si alimentano reciprocamente, generando circoli viziosi. L'alto cuneo fiscale comprime i salari, rendendo l'Italia poco attrattiva per i lavoratori qualificati. Le imprese faticano a trovare competenze necessarie per innovare. Senza innovazione la produttività non cresce. Senza crescita della produttività le imprese non possono pagare salari più alti.
La Legge di Bilancio 2026 lascia intatte le cause profonde della stagnazione. Delle dieci criticità identificate, solo una riceve una risposta positiva, una riceve una risposta simbolica, e le restanti otto non sono affrontate. Sbloccare il potenziale delle imprese italiane richiede riforme strutturali coordinate che il documento articola in un'agenda precisa per la crescita.
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