Non solo moratorie: tutte le alternative per far crescere le aziende nell'era post Covid

In Italia si contano ancora 173 miliardi di moratorie non ancora scadute, pari a circa il 60% dei 280 miliardi di moratorie accordate a partire da marzo 2020. In particolare oltre il 70% delle moratorie ancora attive è in capo alle Pmi. Bene, ma non basta

Le moratorie sono l’unica arma a disposizione delle imprese? Arrivati a questo punto è giusto chiederlo, sia come singole aziende che, più in generale, come tessuto economico.
A porre in questi termini la questione delle moratorie straordinarie concesse a causa della pandemia e in scadenza al 30 giugno (a meno che il Governo Draghi non decida diversamente) è Brunella Bruno, ricercatrice e docente di Economia e gestione delle istituzioni finanziarie all’Università Bocconi di Milano. Punto di partenza per le sue riflessioni sono i dati della situazione italiana delle moratorie, confrontati con quelle degli altri paesi dell’Unione Europea e le prospettive di ripresa nel medio e lungo periodo per l’intero Sistema Paese.

In Italia, in base agli ultimi dati disponibili sui prestiti, si contano ancora 173 miliardi di moratorie non ancora scadute, pari a circa il 60% dei 280 miliardi di moratorie accordate a partire da marzo 2020. In particolare oltre il 70% delle moratorie ancora attive è in capo alle Piccole e medie imprese e un 20% alle famiglie.

UTILIZZATE SOPRATTUTTO DALLE PMI
A parte la costante del target (in tutta l’area Ue le moratorie sono state usate soprattutto dalle Pmi), per il resto i dati raccolti dall’Autorità bancaria europea (Eba) fotografano una situazione delle moratorie molto eterogenea a livello comunitario. «Ciononostante la situazione italiana appare molto peculiare, sia per l’uso dello strumento, sia per la scadenza», spiega la professoressa Bruno.
Basti pensare che oltre l’80% delle moratorie concesse in Europa erano già scadute a dicembre 2020.
«Per quanto riguarda invece l’utilizzo dello strumento moratoria è Cipro il Paese che lo ha usato di più rispetto agli altre forme di sostegno al credito», afferma Bruno con riferimento al rapporto Eba risk assessment: quasi il 50% dei prestiti concessi a Cipro è sotto moratoria, la stessa percentuale si è registrata in Francia, il 40% in Spagna, mentre in Italia hanno beneficiato di moratoria circa un terzo dei prestiti contro il 5% della Germania.

«Questo non significa che la Germania non abbia aiutato le sue imprese o che le sue imprese non avessero bisogno di sostegno – precisa Bruno – Ma semplicemente dimostra che sono tante le misure con cui è possibile dare sollievo a imprese e famiglie, come ad esempio i prestiti garantiti. Le banche hanno sempre potuto concedere moratorie ai propri debitori “in bonis”, cioè “non in situazione critica”. Si tratta di una misura fiduciaria che permette di fatto di ristrutturare il debito originario, per consentire al debitore di risollevarsi da condizione di difficoltà temporanea. A causa della pandemia invece la moratoria è stata concessa a tutti».
I problemi nascono quando il debitore viene riclassificato da “in bonis” a “no performing”. L’esposizione della Banca allora diventa più pericolosa e costringe l’istituto di credito ad azioni di responsabilità, ad esempio aumentare l’accantonamento, che significa per la banca minor profitto e quindi minori possibilità di manovra, anche per finanziare i debitori in bonis.

CERCHIAMO LE ALTERNATIVE
A prescindere dai prossimi sviluppi normativi (ad oggi le moratorie straordinarie ancora in corso dovranno scadere a giugno, a meno che non sia approvata una proroga), secondo Bruno varrebbe comunque la pena di interrogarsi anche sulle alternative: «La misura ha senso ed è efficace se temporanea, per dare sollievo a una situazione straordinaria, com’è stato lo scatenarsi della pandemia. Se però la difficoltà diventa strutturale, allora sono più efficaci strumenti diversi, ad esempio prestiti a fondo perduto o legati all’innovazione, possibilità di investimenti (non debiti) nella capacità di innovazione delle imprese, crediti garantiti con cui finanziarsi a costi inferiori, oppure gli aiuti diretti alle famiglie. Gli strumenti alternativi ci sono. Più difficile è capire se sono o saranno sufficienti».

La moratoria da sola non risolve i problemi, li posticipa. E più a lungo si procrastina la soluzione del problema, maggiore è il rischio dell’effetto valanga: «Più si protrae la moratoria e maggiore per le banche sarà l’esposizione verso i creditori “non performing”. Questo, soprattutto in un sistema bancario come quello italiano, afflitto dal problema strutturale dei crediti deteriorati, rende meno solide le banche che vedranno ridursi gli utili, e quindi anche la capacità di investire e sostenere anche le attività economiche promettenti. Quindi alla fine, nel medio periodo, il danno strutturale coinvolge tutto il tessuto economico, anche quello più promettente, riducendone le possibilità di crescita».

RICAPITALIZZAZIONE ANZICHE' DEBITO
«Se continuiamo a puntare sul debito perdiamo in partenza – afferma Bruno – Già prima del Covid l’Italia ha abusato del ricorso al debito a tutti i livelli, aumentando il debito del Paese, delle banche e delle imprese. Quello che poteva essere un circolo virtuoso rischia invece di compromettere il futuro dell’intero Sistema Paese nel medio e nel lungo periodo. Non tutte le banche e non tutte le imprese possono sopravvivere o essere salvate. Bisogna distinguere e puntare sulla ricapitalizzazione delle imprese, piuttosto che sul debito, serve a sostenere e pure a individua le realtà con prospettive vincenti».

L’atteggiamento vincente per Bruno prevede un doppio binario. Da un lato garantire solidità a quelle attività che, per modello di business, caratteristiche del prodotto, capacità di crescita o innovazione hanno buone prospettive future. Solidità che non deve pesare solo da forme di indebitamento ma anche su nuove capacità di capitalizzazione.

Dall’altro lato invece, «per le realtà che invece non sembrano in grado di risollevarsi bisogna innanzitutto distinguere tra impresa e soggetti umani, quali sono l’imprenditore, la sua famiglia e i suoi dipendenti, da sostenere direttamente e investendo nella loro formazione».

NON BASTA TOGLIERE
«Immaginare forme d’aiuto per chi non è riuscito a riformulare in modo vincente il proprio business richiede di ripensare il mercato del lavoro e la competitività con un’idea e soprattutto prospettive chiare tenendo conto di scenari non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo periodo. Scegliere di lasciare cadere le moratorie non basta, bisogna proporre soluzioni adeguate a sostituire gli strumenti che tolgo, basandosi su analisi prospettive di lungo respiro».