Il welfare attira, trattiene e cambia il concetto di lavoro. Anche nelle Pmi

Benessere, work-life balance e i programmi di Fringe&Flexible Benefit implicano vantaggi non solo economici, per conciliare vita privata e professionale di junior e senior, uomini e donne, ma sono anche leve per trasformare la propria organizzazione in un modello più evoluto ed inclusivo

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Il welfare aziendale è oggi la leva strategica anche per le Pmi per attrarre i talenti ed essere competitive nel mercato di riferimento e, per il dipendente, un elemento sempre più rilevante nel concetto di "retribuzione".

Benessere, work-life balance e i programmi di Fringe&Flexible Benefit implicano vantaggi, non solo economici, per conciliare vita privata e professionale e dare soddisfazione a necessità tra loro molto diverse che interessano trasversalmente junior e senior, uomini e donne. È cioè l’insieme di iniziative, beni e servizi che l’azienda può mettere a disposizione dei propri dipendenti trasformando la propria organizzazione in un modello più evoluto ed inclusivo, e in prospettiva più stabile ed efficiente, approfittando di sgravi fiscali.

«Le grandi trasformazioni in atto nei processi produttivi e organizzativi indotte dall’evoluzione tecnologica impongono il ridisegno delle relazioni di lavoro perché il lavoro stesso (e quindi i lavoratori) sono ormai profondamente cambiati - osserva Giovanni Scansani, ceo e co-founder BONOOS Srl, docente a contratto Università Cattolica Milano, Laboratorio Progettazione Piani di Welfare Aziendale - In questo quadro il welfare aziendale diventa un elemento vincente del processo di engagement dei dipendenti».

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Per accrescere questo ed altri effetti di cui è capace il (reale) welfare d’impresa, tra i quali il miglioramento della performance complessiva dei team, occorre aggiungere - guardandola anche come misura di benessere - gradi crescenti di “partecipazione diretta” dei lavoratori all’organizzazione del lavoro. «A tale forma di partecipazione - conferma Scansani - fa spesso da apripista la “partecipazione economica” che si esprime tradizionalmente con i premi di risultato che i contratti integrativi aziendali possono rendere convertibili in servizi di WA».

Nelle nuove organizzazioni, il passaggio da mansioni standardizzate e burocratizzate ad altre più professionalizzanti (i “ruoli aperti”) - che implicano costante formazione per lo sviluppo di competenze più avanzate e che sono, quindi, più qualificanti e stimolanti - se associato ai benefici “psicologici” dei meccanismi partecipativi diviene un plus che completa il contratto di lavoro "formale".

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Se si guarda alle richieste dei dipendenti, cosa rende oggi un’azienda attrattiva? «Dopo aver speso gli anni più recenti a discutere “dove” lavorare - continua l'esperto - siamo ora nella fase del dibattito su “quanto” lavorare. È il tema, ad esempio, della cosiddetta “settimana compressa” articolata su quattro giorni o della conciliazione vita-lavoro con lo smart working. Più importante, però, è domandarsi oggi “perché” lavorare andando, così, alla riscoperta del senso del lavoro come momento di autorealizzazione personale e ciò anche per difendere il valore sociale del lavoro stesso».

Da qui, poi, emerge il tema molto attuale, specie se declinato guardando all'intelligenza artificiale, del suo impatto su molte delle mansioni oggi esistenti e più in generale dell'impatto delle tecnologie rispetto all’organizzazione delle imprese e del lavoro. «Si perviene, così, alla necessità di dover considerare il “come” lavorare, perché il lavoro ci interroga oggi sia sulla necessità di poter lavorare meglio (e non solo meno o “altrove”), ma anche sulla possibilità della riscoperta di una sua "bellezza".. Gli imprenditori e i manager, non meno che i sindacati - conclude Scansani - sono chiamati a (ri)costruire il “senso” del lavoro non solo come “significato”, ma anche come “direzione” lungo la quale avviare lo sviluppo delle imprese e quello delle persone che vi lavorano, mettendo in evidenza valori e obiettivi da condividere, dentro e fuori dalle organizzazioni aziendali. Le persone vogliono anzitutto trovare un significato in ciò che fanno e vogliono poter partecipare, ossia contare (e non solo essere contate) nel perseguimento degli obiettivi di un lavoro che (per sé stessi e per l’azienda) ogni giorno deve dare “senso” a ciò che si fa».

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Nella pratica, però, per una Pmi orientare l’organizzazione puntando sul welfare come elemento di valore può essere complesso benché spesso alcune iniziative siano già presenti perché attivate in forma spontanea e siano più adeguate di quelle realizzate dalle grandi aziende.

«Nelle PMI c’è più welfare aziendale di quanto si pensi - rivela, infatti, Scansani - e pur trattandosi di pratiche spesso informali (non contrattuali e spesso neppure regolamentate) non per questo risultano meno efficaci. Le ricerche ci dicono che il grado di sviluppo del welfare aziendale in questo cluster di imprese è in crescita costante. Non solo: in molte Pmi si fa talvolta più welfare innovation che nelle grandi aziende. Pur non disponendo di budget sontuosi, infatti, queste realtà scoprono approcci originali capaci di maggiore efficacia sul piano delle risposte ai bisogni. Una strada da percorrere - e le aziende più avvedute l’hanno compreso - è quella della welfare integration tra offerta pubblica e privata, perché mettendo i lavoratori nella condizione di accedere con maggiore facilità ai bonus erogati dallo Stato e dagli Enti Locali (i cd. Public Benefit) si attivano soluzioni non solo socialmente meritorie, ma welfaristicamente più complete, grazie alla sinergia con le misure pubbliche».

«Sul piano più generale una pista di lavoro è il riconoscimento degli sforzi che le Pmi, ossia la maggioranza delle nostre aziende, dovrebbero poter ricevere vedendo premiati (anche sul piano fiscale) comportamenti virtuosi e “civili”. Come quando si assiste alla costruzione di “reti” e di “patti territoriali” capaci di sostenere non solo i lavoratori delle imprese che ne sono protagoniste, ma anche altri soggetti dell’economia e della comunità di quei territori, secondo un approccio multistakeholder al centro del quale, ancora una volta, si trova sempre una virtuosa sinergia tra welfare aziendale e welfare pubblico». Paola Piovesana