La sindrome di famiglia in azienda si può curare con regole e merito: patti chiari, business al sicuro

Le soluzioni: il confinamento di pretese, privilegi e pregiudizi da una parte e l’esaltazione di capacità, attitudini e impegno familiari dall’altra, si possono ottenere con l’inserimento di regole precise

Per le piccole e medie imprese la famiglia è un fardello o una risorsa? Tutte e due le cose, purtroppo, o per fortuna.  Ma è possibile scegliere. Tutte le imprese italiane, infatti, più o meno litigiosamente, vivono la sindrome della famiglia.

Nascono con il fondatore e suo fratello, cui si aggiunge il cugino, oppure la sorella o il cognato, che per un lungo periodo restano i migliori soci e/o i migliori manager possibili. È un momento magico che può durare mesi, qualche anno, oppure un’eternità.

Ma se quella dei parenti in azienda è una presenza forzata che può fare grossi danni, se non è regolata può anche frenare lo sfruttamento degli aspetti positivi.

Premettiamo. Le generazioni che oggi entrano nelle aziende sono differenti da quelle di quindici anni fa.

Diversamente dalle precedenti, sono tecnologicamente più preparate, hanno studiato di più, e quasi sempre hanno vissuto esperienze professionali precedenti all’entrata nell’impresa di famiglia.

Ciò che non cambia sono le ambizioni, i tic psicologici e i fisiologici desideri di chi sta vicino a un grande o piccolo centro di potere come può essere l’organizzazione-azienda, dove in un modo in un altro, qualcuno comanda. Esperienza, competenze e scolarità maggiori delle epoche precedenti, infatti, non impediscono ai parenti di girare per i corridoi e influenzare – in modo più o meno formale, con o senza incarichi precisi – scelte e decisioni importanti.

 
LA GESTIONE NEGATIVA DEL "POTERE"
L’esercizio di questo potere familiare, fatto male, può avere un effetto moltiplicatore terribile sui risultati dell’impresa. Esercitarlo male può significare che i parenti, quando sono improduttivi, diventano un costo.

Un familiare a cui si deve dare un ruolo, il cosiddetto “giocattolino”, può essere considerato un investimento infecondo. Un nipote che non fa bene il suo lavoro, in un altro caso, può essere un peso organizzativo importante.

Un figlio a cui spetta per diritto ereditario un posto in un settore dell’azienda, può essere un freno allo sviluppo complessivo di quell’area. Una cugina che pretende un ruolo senza meritarlo, è un tappo per chi è più bravo di lei, e un cattivo esempio per i dipendenti. E sbagliamo a pensare che i privilegi, le pretese e i pregiudizi che tutto questo comporta, oppure i litigi, le invidie e i dispetti, siano confinati in un recinto psicologico che faccia danni solo ai diretti interessati, o peggio, che si risolva a casa….

Come dicevamo, c’è un effetto moltiplicatore che produce costi veri. Concreti. Il “pacchetto famiglia” che tocca a tantissime delle nostre imprese, però, non è sempre e solo una bomba pronta a deflagrare sul destino della gestione, dei bilanci e dello sviluppo. Per fortuna, altrettanto spesso, nasconde soprese molto preziose.

La morsa inestricabile sul prodotto, per esempio, è uno dei grandi valori delle nostre realtà portato dalla famiglia. Nei momenti di difficoltà si svela un altro esempio felice: il patrimonio familiare – magari accumulato con saggezza nei momenti di vacche grasse – è spesso l’unico in grado di salvare la baracca.

Nell’amalgama e nella fiducia che si creano quando si fonda l’impresa insieme a qualche parente, c’è spesso quella pietra filosofale che cementa l’attività per tantissimi anni a venire. Si creano legami forti che superano la burocrazia di un contratto, e si esprimono molte volte in un aiuto reciproco, seminato oltre il cancello del piazzale.

LA REGOLA DEL FARE BENE
Dalla condivisione del rischio, poi, fino all’amore solido per il proprio business, gli esempi di un apporto utile sono altrettanto infiniti, quanto quelli negativi. La discriminante tra fardello o risorsa è imperniata sul come questo rapporto tra impresa e famiglia sia regolato, più o meno formalmente.

Il confinamento di pretese, privilegi e anche pregiudizi da una parte – come quello che un manager esterno sia meno affidabile di un manager-parente – e l’esaltazione di capacità, attitudini e impegno familiari dall’altra, si possono infatti ottenere con l’inserimento di regole precise.

Per regole non si intendono chissà quali codici rigidi e freddi. Premiare e ben pagare solo chi ottiene risultati tangibili, per esempio, è già una regola. L’auto aziendale solo a chi ne ha effettivamente bisogno è un’altra. Anche la semplice puntualità, fatta rispettare senza differenze, può giovare alla causa.

Il figlio-contro-il-manager che comanda, poi, è un altro caso di conflitto. Ed è così comune nella storia delle organizzazioni che potremmo trovarlo nella Storia di Roma di Tito Livio, senza scomodare le vicende attuali delle nostre Pmi di provincia.

Come si sciolgono, allora, queste difficoltà fisiologiche, se non con regole chiare e indistinte, applicate a chiunque si trovi in azienda?

Antonio Belloni 
Saggista