Se il saper fare aziendale si perde, il business rallenta. Ecco come evitarlo

Se il saper fare aziendale si perde, il business rallenta. Ecco come evitarlo
Passaggio generazionale aziende

Il trasferimento di competenze tra generazioni non è più solo un concetto teorico, ma un elemento chiave per la crescita aziendale. Il 26 febbraio, durante una nuova edizione in diretta online di "Item d'Impresa", quattro esperti hanno approfondito il tema della circolazione delle competenze tra lavoratori senior e junior, esplorando strategie pratiche e soluzioni per garantire continuità e produttività. Tra gli ospiti, Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio di Artser, Mauro Gatti, Professore di Organizzazione Aziendale all'Università La Sapienza di Roma, Barbara Imperatori, docente di Organization Theory & HRM all'Università Cattolica del Sacro Cuore, e Francesco Antonio La Badessa, avvocato e partner dello studio Ichino Brugnatelli e Associati. L'incontro ha evidenziato come il passaggio generazionale nelle aziende non sia solo una questione di teoria, ma una sfida concreta che richiede tecniche operative e politiche aziendali capaci di attrarre e valorizzare talenti di tutte le età.

L'IMPORTANZA DELLA MAPPATURA DELLE COMPETENZE

Antonio Belloni ha evidenziato come il primo passo per un efficace passaggio generazionale in azienda sia la mappatura delle competenze interne. «Bisogna sapere esattamente chi sa fare cosa e quali skill sono critiche per l'azienda», ha sottolineato. Secondo Belloni, il processo deve comprendere tre elementi chiave: le persone, le competenze e la struttura. «Faccio una lista delle competenze tecniche, pratiche e manuali essenziali, associo un nome a ciascuna di esse e ne analizzo il ruolo all'interno dell'azienda» ha spiegato, evidenziando l'importanza di un approccio dinamico per adattarsi alle evoluzioni del mercato.

Mauro Gatti, d’accordo, ha insistito sulla gestione costante di queste analisi. «Non è un'attività che si fa una volta sola: la mappatura deve essere aggiornata in continuazione», ha affermato. Ha aggiunto che il cambiamento nei processi operativi implica una trasformazione parallela nella distribuzione delle competenze e che «una skill map efficace deve essere sempre mantenuta». Se nelle grandi aziende esistono strumenti avanzati per questo scopo, ha spiegato Gatti, «anche le Pmi possono beneficiare delle tecnologie digitali per anticipare il turnover generazionale e organizzare meglio la successione interna».

CREARE UN DIALOGO TRA GENERAZIONI

Passaggio generazionale aziende

Barbara Imperatori ha affrontato il tema della comunicazione tra senior e junior. «I giovani di oggi non sono così diversi da quelli di ieri: tutti vogliono crescere, essere pagati adeguatamente e lavorare in un ambiente stimolante», ha osservato. Tuttavia, ha evidenziato come le differenze di approccio possano ostacolare la collaborazione. «Dobbiamo spiegare ai dipendenti perché il lavoro intergenerazionale è un valore aggiunto: non basta dire cosa fare, bisogna dare un motivo per farlo». Imperatori ha poi sottolineato l'importanza di rendere l'azienda irresistibile per i giovani, attraverso una comunicazione chiara e strutturata, un progetto aziendale stimolante e un contesto in cui tutti si sentano coinvolti.

Francesco La Badessa ha posto poi l'attenzione sugli aspetti legislativi, facendo riferimento al recente disegno di legge sulle Pmi, del gennaio 2025. «Ho sempre paura quando il legislatore si mette a fare l'imprenditore», ha commentato con una punta di ironia. Secondo l'avvocato, le imprese non hanno bisogno di normative aggiuntive, ma di risorse economiche per sostenere le assunzioni. «Il costo del lavoro è il vero problema: possiamo incentivare il prepensionamento dei senior, ma poi chi paga?» ha domandato. Ha poi concluso con una riflessione sulla reale efficacia del disegno di legge, sottolineando che «se non si affronta il tema delle risorse, ogni altro intervento rischia di essere inefficace». A proposito di risorse, nel corso dell’appuntamento è emerso che una delle sfide principali per le piccole e medie imprese è la retention dei giovani talenti in un mercato sempre più competitivo. Secondo La Badessa, «le soluzioni esistono e vanno cercate negli investimenti tecnologici», che permettono alle Pmi di competere con le grandi aziende, le quali hanno maggiore forza economica per attrarre professionisti qualificati. Ha inoltre evidenziato come retention plan, piani di formazione garantiti e clausole di non concorrenza siano strategie che, sebbene utili, risultano spesso insufficienti di fronte ai colossi del mercato.

PARTECIPAZIONE SOCIETARIA COME SOLUZIONE ALLA FIDELIZZAZIONE

Il tema della partecipazione societaria è stato un punto chiave della discussione. Secondo Belloni, offrire ai dipendenti una quota dell’azienda può rappresentare un incentivo più concreto rispetto ad altre misure adottate in passato, come lo smart working. «Dare ai lavoratori una partecipazione reale ai risultati dell’azienda è una soluzione più efficace rispetto a politiche ambigue come il lavoro da remoto, utilizzato in passato da alcune grandi aziende come strumento per evitare aumenti salariali», ha osservato.

Sara Bartolini ha però fatto notare che, nelle piccole imprese, questo approccio incontra ancora molte resistenze culturali. «Per un piccolo imprenditore, cedere una parte della sua azienda è un passaggio difficile, quasi come perdere un pezzo di sé», ha spiegato. Tuttavia, ha evidenziato esempi concreti di Pmi che, attraverso la cessione di piccole quote ai dipendenti chiave, sono riuscite a garantirsi stabilità e continuità. Belloni ha poi sottolineato come «dare un’opportunità di crescita interna ai collaboratori chiave può essere una strategia vincente per trattenere i migliori talenti».

PASSAGGIO GENERAZIONALE E GESTIONE DELLE COMPETENZE

Un altro tema affrontato è stato il passaggio generazionale. Secondo La Badessa, la questione non riguarda solo il trasferimento dell’azienda ai figli dell’imprenditore, ma anche la creazione di una struttura che permetta la crescita professionale di talenti interni. «L’imprenditore avveduto non si limita a trasmettere l’azienda ai figli, ma investe nella formazione per garantire una successione basata sulle competenze», ha dichiarato. Ha poi sottolineato come, in molti casi, l’inserimento forzato di eredi privi delle competenze necessarie possa risultare dannoso sia per l’azienda sia per i dipendenti.

A questo proposito, Imperatori ha ribadito che la fidelizzazione dei giovani passa non solo attraverso una retribuzione adeguata, ma anche attraverso un ambiente lavorativo stimolante. «I giovani cercano un contesto dinamico, dove possano mettere in gioco le proprie competenze e sentirsi ascoltati», ha affermato. Gatti ha poi sottolineato l’importanza del reverse mentoring, un modello che permette anche ai lavoratori junior di insegnare ai senior, creando uno scambio reciproco di conoscenze. «L’impresa deve offrire una prospettiva chiara di crescita ai giovani per evitare la fuga dei talenti», ha ricordato.

ATTRATTIVITÀ DELLE PMI RISPETTO ALLE GRANDI AZIENDE

Un altro argomento di discussione è stato il confronto tra piccole e grandi aziende in termini di attrattività per i lavoratori. Imperatori ha sfatato il mito secondo cui solo le grandi imprese sarebbero in grado di attrarre talenti. «Le PMI hanno un’identità unica e possono offrire esperienze lavorative più coinvolgenti e personalizzate rispetto alle grandi aziende, dove spesso i dipendenti si sentono solo un numero», ha spiegato. Ha aggiunto che la chiave per attrarre i migliori talenti è comunicare in modo chiaro le opportunità di crescita e il valore di lavorare in un ambiente più familiare e flessibile. Secondo l’esperta, «la piccola impresa deve valorizzare le proprie peculiarità per essere percepita come una scelta consapevole e desiderabile».

Inoltre, per Belloni, un’organizzazione efficiente e una buona gestione delle competenze possono compensare la mancanza di risorse economiche. «Se riusciamo a creare processi ben strutturati e a valorizzare i nostri dipendenti, le PMI possono essere competitive anche senza i budget delle grandi aziende», ha concluso. Ha inoltre evidenziato che «le aziende che sanno adattarsi e innovare, anche con risorse limitate, possono emergere con successo nel mercato».

NETWORKING E LA VALORIZZAZIONE NELLE PMI

La Badessa ha ricordato che per garantire una crescita sostenibile, l’evoluzione professionale dei giovani deve essere contrattualizzata. «Non si tratta solo di promesse: una progressione di carriera ben definita e garantita nel tempo rende l’impresa credibile agli occhi dei suoi talenti», ha affermato. Tuttavia, ha evidenziato che le marginalità economiche delle Pmi spesso non permettono investimenti significativi nella valorizzazione del personale: «In alcuni comparti, come la moda, servono incentivi fiscali per dare ossigeno alle imprese».

Cosa può fare, quindi, una Pmi quando non ha risorse sufficienti per investire nella crescita dei giovani e nella riqualificazione dei senior? Gatti ha risposto con una visione strategica, suggerendo che «laddove la situazione diventi insostenibile economicamente, bisogna riconsiderare il modello di business e puntare su produzioni a maggior valore aggiunto». Inoltre, ha evidenziato come molte Pmi operino in settori fortemente concorrenziali senza differenziarsi. «Se cento aziende in un raggio di 100 km fanno esattamente la stessa cosa, l’unica soluzione è aggregarsi per creare economie di scala», ha dichiarato, aggiungendo che dimensioni maggiori aiutano nell’accesso ai finanziamenti e negli investimenti in sostenibilità. Imperatori ha ampliato il discorso sull’aggregazione, sottolineando che «bisogna creare reti di collaborazione, non necessariamente fusioni, per condividere risorse e aumentare la competitività». Ha evidenziato il ruolo delle associazioni di categoria nel supportare le imprese nel fare rete e nel diffondere una cultura manageriale più consapevole. «Non si può pensare di affrontare le sfide del mercato da soli: la cooperazione tra Pmi può essere la chiave per una crescita sostenibile», ha aggiunto.

RIDEFINIRE IL CONCETTO DI GIOVANE TALENTO

La Badessa ha proposto un cambio di prospettiva nella definizione di "giovane". «Forse dovremmo ampliare la fascia d’età considerata per i giovani talenti, includendo anche la Generazione X, che ha ancora vent’anni di carriera davanti a sé e garantisce stabilità e continuità», ha suggerito. Ha poi osservato che i giovani della Generazione Z hanno aspettative diverse, spesso orientate a esperienze professionali più dinamiche e internazionali. «Il mercato del lavoro è cambiato: oggi i ragazzi vogliono sperimentare e ampliare le proprie competenze, piuttosto che rimanere fermi in un’unica realtà», ha concluso.

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