Certificazioni, due diligence e bandi: la “E” di ESG apre la strada alla sostenibilità

Certificazioni, due diligence e bandi: la “E” di ESG apre la strada alla sostenibilità

Basta solo una lettera, la “E” di Environmental (ambiente), per entrare nel vivo di quei fattori ESG ai quali tutte le imprese, grandi e piccole, dovranno adeguarsi. Ma come lo possono fare? Quando e con quali strumenti? L’evento di martedì 30, al Faberlab powered by Arburg a Origgio, ha posto l’accento proprio sulla sostenibilità ambientale: «Un tema sul quale non manca l’attenzione degli imprenditori – ha detto Mauro Colombo, amministratore delegato di Artser e Direttore generale di Confartigianato Imprese Varese – ma che solleva numerose difficoltà quando si tratta di capire quali investimenti programmare (e con quali risorse) per essere conformi alle richieste europee. E, soprattutto, quali modalità adottare per dare il via a un percorso che nessuno potrà più rinviare».
Ai passi da compiere, alle azioni da intraprendere e alle opportunità da cogliere è stato dedicato l’evento.

IL PRIMO PASSO: MONITORARE I PROCESSI
A dire alle imprese quali sono i processi ai quali dedicare la maggiore attenzione è Pietro De Giovanni, professore in Sustainability and Operations Management della SDA Bocconi: «Decarbonizzare (concentrare i propri sforzi su quei processi che producono la maggior quantità di CO2), monitorare i problemi e trovare i giusti strumenti per risolverli (per esempio, il Carbon Foot Print e le tante certificazioni a disposizione delle imprese), concentrarsi sull’uso di fonti energetiche sostenibili e sulla produzione e gestione dei rifiuti». La sostenibilità ambientale passa dalla sostenibilità economica «perché non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo principale delle aziende è quello di fare business».
Il professore si affida ad un esempio di una chiarezza estrema: «In università abbiamo sviluppato una poltroncina in legno e ci siamo chiesti come si potesse “decarbonizzare”. Meglio usare il legno di betulla o di pioppo? Con il secondo, le emissioni di CO2 si riducevano del 18% con un risparmio dei costi del 20%. Meglio usare la gomma piuma o la lana? Con questa, la riduzione delle emissioni era del 25% ma i costi aumentavano del 35%. In ultimo, una valutazione sulla supply chain: dovrò cambiare fornitore? E quello che ho già, lavora con me solo per realizzare la poltroncina o anche su altri progetti?».  
Ciò che si chiede agli imprenditori è la capacità «di individuare l’innovazione più efficiente ed efficace e di rendere green tutti i loro fornitori». Un altro esempio: «Un’azienda vuole passare all’uso dell’idrogeno come fonte energetica: avrà lo spazio necessario per stoccare le riserve? Avrà il fornitore giusto?».

INNOVAZIONE ED ENERGIA: I FONDI DEL PIANO TRANSIZIONE 5.0
«Da tempo l’impatto ambientale appartiene di default all’innovazione – commenta Jacopo Brioschi, coordinatore dell’Area Innovazione e Sviluppo di Artser – perché i macchinari di nuova generazione assicurano una maggior efficienza energetica. Ad essere innovato dovrà essere il modello di business per poter operare in ecosistemi produttivi». E i fondi, pubblici, non mancano. E’ il caso del Piano Transizione 5.0 inserito nel Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ancora Brioschi: «A disposizione ci sono più di 6 miliardi di euro per un Piano che vuole promuovere gli investimenti in beni “4.0” (materiali e immateriali) e in attività in grado di produrre risparmi energetici o aumentare l’efficienza energetica (anche attraverso l’autoproduzione e l’autoconsumo)».

COMUNITA’ ENERGETICHE RINNOVABILI: UN ESEMPIO DI SOSTENIBILITA’
E proprio su queste due parole, autoproduzione e autoconsumo, si concentra l’ingegnere Massimo Carbone: «Per la prima volta, in Italia, i privati si possono unire per produrre e scambiare energia fra loro». Il Decreto è stato pubblicato, è già in vigore e offre:

  • Un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili, finanziato dal Pnrr e rivolto alle comunità i cui impianti sono realizzati nei Comuni sotto i cinquemila abitanti
  • Una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale.

I due benefici sono tra loro cumulabili.

«Le CER possono essere considerate anche un valido strumento di welfare aziendale: un imprenditore che produce energia, ma che non la usa il sabato e la domenica, la può cedere ai propri dipendenti residenti nelle vicinanze». Ma prima di arrivare alle Comunità Energetiche, è bene pensare all’efficientamento delle strutture. Lo ricorda l’ingegnere Carbone: «Sostituire le luci tradizionali con i led e passare al solo utilizzo del gas sono scelte vincenti». Il fotovoltaico, ormai, rientra nell’edilizia libera e i vincoli interessano solo gli edifici storici vincolati dalla sovrintendenza.

I BANDI: TANTI MA COMPLESSI. MEGLIO AFFIDARSI AD UN PROFESSIONISTA
«Le risorse per inserirsi in un percorso di efficientamento energetico non mancano, a partire proprio da quelle che interessano le CER. Ma se da un lato i fondi pubblici rappresentano una grande opportunità, dall’altro è bene rivolgersi ai nostri professionisti per poter superare le complessità burocratiche e normative di queste misure», sottolinea Dorina Zanetti, responsabile dei Servizi Gestione d’Impresa di Artser:

  • La Camera di Commercio di Varese mette a disposizione 160mila euro per interventi di efficientamento energetico e riduzione dei consumi, la razionalizzazione dell’utilizzo di energia, la realizzazione di impianti di produzione Fonti di Energia Rinnovabili (FER) e la costituzione di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER).
  • La Nuova Sabatini si è dotata di una linea “Green” per sostenere gli investimenti in macchinari, impianti e attrezzature nuovi ad uso produttivo per migliorare l’ecosostenibilità dei processi e dei prodotti. Il finanziamento dei beni strumentali può coprire fino al 100% dell’investimento.
  • Regione Lombardia ha dato il via al Pacchetto investimenti “Linea Green” per sostenere gli investimenti negli impianti produttivi che riducano l’impatto ambientale attraverso la riduzione dei consumi energetici o il recupero dell’energia e/o la cattura dei gas serra dai cicli di produzione. A disposizione ci sono 210 milioni di euro.

CERTIFICARSI È FONDAMENTALE, MA BISOGNA SAPER SCEGLIERE
«A dare una marcia in più alle imprese sono anche le certificazioni ma - commenta Davide Baldi, consulente ambientale di Faberlab powered by Arburg – la prima cosa sulla quale interrogarsi è la “due diligence”. Cioè quell’attività che permette di capire come si posiziona l’azienda sull’aspetto ambientale: la mappatura dei rischi e dei problemi, gli strumenti da usare, l’organizzazione da adottare». I riferimenti legislativi? «La quantità di leggi riguardanti l’ambiente è enorme, ma il punto primo dal quale partire è il Testo Unico Ambientale. Poi ci sono le norme europee, che si stanno adeguando a ciò che chiedono i consumatori. Il vero problema, nel nostro Paese, è la lentezza nelle autorizzazioni».
Ma certificarsi, proprio di fronte alle richieste della Ue, diventa sempre più importante perché i controlli a monte – quelli che interessano le grandi aziende delle filiere – si fanno sempre più numerosi e restrittivi e cadranno, a cascata, anche sulle imprese più piccole.

Su cosa puntare? Davide Baldi si concentra su quattro certificazioni:

  • ISO 14001: fornisce un quadro per l’identificazione, il monitoraggio e il controllo degli impatti ambientali delle attività di un’impresa. Garantisce un approccio primario ma concreto
  • ISO 45001 (Sistema di Gestione per la salute e Sicurezza sul Lavoro): con questa, le imprese identificano, gestiscono e migliorano in modo efficace le questioni legate alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro
  • ISO 14067 (Valutazione delle emissioni di gas a effetto serra per i prodotti): uno standard essenziale per le imprese che vogliono quantificare e comunicare in modo trasparente l’impronta carbonica dei loro prodotti
  • ISO 26000 (linee guida per la Responsabilità Sociale): offre indicazioni dettagliate per promuovere e implementare la Responsabilità Sociale delle imprese

La "E" di ESG apre la strada alla sostenibilità