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I dazi, stress test per le imprese. Ma ci si può difendere

I dazi, stress test per le imprese. Ma ci si può difendere

Non c’è alcun dubbio che per le imprese italiane i dazi americani siano, a tutti gli effetti, uno “stress test”. Dopo la frenata indotta dalla pandemia da Covid, il rialzo dei costi energetici e delle materie prime, la coda lunga dell’inflazione, le tensioni sulle filiere di approvvigionamento e la globalizzazione in crisi, ora è l’America di Donald Trump a sferrare un ulteriore attacco alla resistenza degli imprenditori. Che dovranno trovare il giusto equilibrio tra aumento dei costi e dei prezzi, diminuzione della produttività e dei margini, punti percentuali di perdita, calo degli investimenti, soluzioni da giocolieri per ammortizzare il colpo, gestire l’aumento delle giacenze nei magazzini e spalmare i sovraccosti sulla lunga filiera americana fatta di importatori, distributori e commercianti.

EXPORT: 22 MILIARDI DI EXPORT IN FUMO
Un dato su tutti racconta il destino di quelle aziende che, negli Stati Uniti, hanno sempre visto un mercato di sbocco non solo florido ma anche sicuro: con quel 15% che pesa come una spada di Damocle, le esportazioni verso gli Usa potrebbero ridursi di oltre 22 miliardi di euro. Ma a pesare sui fatturati è anche la svalutazione del dollaro sull’euro, che porterà ad una perdita di oltre un terzo del valore attuale e una contrazione del Pil di mezzo punto percentuale.

IL CONTO SALATO PER I CONSUMATORI AMERICANI
Se timori e preoccupazioni rappresentano il campo largo nel quale si devono muovere le imprese, è la voglia di reazione ad aggiungere ancora più valore a quel Made in Italy che – questo è il risvolto della medaglia – i consumatori americani pagheranno a caro prezzo. Le analisi di Goldman Sachs e del Yale Budget Lab chiariscono la situazione: l’imposta media sui prodotti importati che colpirà gli statunitensi sarà del 18,3%, la più alta dal 1933, con una perdita di reddito per famiglia di 2.400 dollari.

I SETTORI PIU’ COLPITI
Mobili e giocattoli hanno già preso la rincorsa, ma il peso maggiore dei dazi si registrerà su alcolici, prodotti da forno, caffè, pesce e birra, abbigliamento e scarpe, metalli, apparecchiature elettroniche, macchinari e attrezzature, gomma e plastica, prodotti manifatturieri.

  • MODA: 11 MILIONI DI FATTURATO PERSI OGNI GIORNO
    I dazi statunitensi rischiano di spingere il settore sull’orlo di un precipizio senza fine a causa della minore domanda dei consumatori. La ripresa dell’export c’è stata: negli ultimi dodici mesi, fino ad aprile, il valore delle esportazioni negli Usa è stato di 5,6 miliardi di euro con una crescita tendenziale, nei primi cinque mesi del 2025, dell’1,9%. Ora, però, con le misure protezionistiche di Donald Trump la flessione della produzione si avverte e fa male: -8% di fronte ad un calo medio della manifattura del 2,1%. Le percentuali si traducono in fatturato che non c’è e la perdita delle imprese aumenta il segno meno nell’andamento del settore: lo scorso anno, sono sfumati 8,7 miliardi di ricavi. Ma nei primi quattro mesi del 2025 la flessione è addirittura drammatica: 11 milioni di euro di fatturato persi ogni giorno.
    In una situazione di radicata incertezza come lo è quella attuale, le attese sugli ordini non possono che peggiorare: il saldo, di -5,3, peggiora per tessile (-8,1) e pelle (-6,8). Negativi anche i riscontri sul mercato del retail, che nei primi cinque mesi del 2024 lascia a terra l’1,2%. L’occupazione scende del 5,6%.
     
  • MECCANICA: L’AUTOMOTIVE TRAINA LA CRISI
    In questo caso, si prende atto di una flessione dell’export della meccanica che i dazi non possono che ingigantire: -7,9% di fronte al -8,9% dei macchinari. In caduta libera le vendite degli autoveicoli, che crollano del 28,9% confermando il trend del 2024.
    Una caduta che va dritta al cuore dell’indotto dell’automotive, dominato proprio dai settori della meccanica: i prodotti in metallo rappresentano il 9,3% del valore aggiunto della filiera dei mezzi di trasporto su gomma, i macchinari il 6,9% e la metallurgia il 4,2%. Le criticità della filiera dell’auto appesantisce la produzione della meccanica, che nei primi cinque mesi del 2025 segna una flessione del 3,5%.
    La regione più esposta ai dazi americani? Ovviamente, la Motor Valley dell’Emilia-Romagna: qui si concentra l’82,2% dei 3.449 milioni di euro di export italiano di autoveicoli negli Stati Uniti. A lunga distanza entrano in classifica il Piemonte (7,3%) e la Campania (5,6%). Modena e Bologna sono le province più esposte, rispettivamente con quote del 51,5% e del 30,2% sull’export totale di autoveicoli negli Usa.

GLI STRUMENTI PER DIFENDERSI DAI DAZI
Però, dalle difficoltà ci si può difendere. Sulle scrivanie degli imprenditori ci sono piani, grafici e progetti che riportano ad una serie di strumenti – li elenca Italia Oggi – che potrebbero mitigare il rischio dazi. Vediamoli:

  • La corretta classificazione doganale del prodotto è determinante per stabilire se e in che misura esso sarà soggetto a dazi, o altre barriere commerciali. Gli Stati Uniti adottano una doppia codifica: i codici principali, basati sulle caratteristiche fisiche e qualitative del prodotto, e i codici di classificazione secondaria, che tengono conto del Paese d'origine del bene.
  • Valutare l’origine dei beni secondo le regole doganali vigenti negli Stati Uniti. Se si parla, ad esempio, di acciaio e alluminio bisogna evidenziare se queste materie sono stati acquistate da o lavorate interamente, o in modo parziale, negli Usa.
  • L’accordo tra Ue e Stati Uniti per evitare fenomeni di triangolazione: i prodotti provenienti da Paesi terzi (ad esempio, la Cina) non possono beneficiare dei vantaggi dell’accordo.
  • Definire correttamente il valore doganale dei beni importati
  • Utilizzare i contratti flessibili che prevedono clausole di adeguamento nel caso si manifestino eventi straordinari
  • Tvis (Transaction value of identical or similar merchandise): gli esportatori possono ridurre fino al 38% il valore doganale dei beni
  • First sale rule: è una norma doganale Usa che calcola i dazi all’importazione sul prezzo più basso della prima vendita e non sul prezzo finale maggiorato
  • Free Trade Zone (zone franche doganali americane): sulle merci introdotte non si pagano dazi fino ad un massimo di cinque anni. E’ un buon strumento per posticipare l’onere doganale
  • Duty drawback: le tariffe pagate in caso di riesportazione, vengono rimborsate entro cinque anni
  • Bonded warehouses: magazzini doganali dove le merci possono essere stoccate per cinque anni senza pagare dazi. Una sola condizione: i prodotti non devono essere immessi in consumo
  • Tariff engineering: progettazione, o modifica intenzionale, del prodotto per farlo rientrare in una categoria doganale più favorevole per beneficiare di aliquote ridotte, o nulle.

Davide Ielmini