Cerco ma non trovo: perché assumere la professionalità giusta per l'azienda è diventata un'impresa impossibile

«Il problema – spiega Stefano Tomelleri, docente di Sociologia all’università di Bergamo – è che da un lato le aziende faticano a stabilizzare i dipendenti, dall’altro i giovani stanno vivendo una disaffezione per questo tipo di settore economico»

Mismatch occupazionale

Sono anni che le imprese manifatturiere varesine lamentano l’assenza di manodopera. Negli anni la situazione è rimasta pressoché stabile, mentre è peggiorata nella ricerca di lavoratori specializzati. Negli ultimi mesi, invece, si è assistito a un’esplosione di mancanza di profili un po’ in tutti i settori. Un paradosso se si pensa che la pandemia ha causato la perdita di circa 1 milione di posti di lavoro, riassorbiti soltanto parzialmente dalla ripartenza. Com’è possibile? È possibile.

Unioncamere stima che fra agosto e ottobre 2021, le aziende hanno cercato 1,22 milioni di profili da inserire ma, almeno 400mila saranno di difficile reperimento. E nella manifattura come va? Peggio: non si trova il 50% di informatici e fisici che servirebbero, il 48% degli operai meccanici, il 40% dei tecnici di produzione. Vale a dire dei profili che non ci si può inventare dalla sera alla mattina. Nel Varesotto, oltretutto vi è l’atavico problema della vicinanza con la Svizzera. Magari un’impresa riesce, per miracolo, a trovare la persona giusta: la assume, la forma e la inquadra. Poi, arriva un’offerta di lavoro dal Canton Ticino con stipendio doppio e…tanti saluti e grazie.

ANCHE FIGURE MENO SPECIALIZZATE

Mismatch occupazionale

Il problema è che la questione sta toccando sempre più anche le figure meno specializzate: «Il problema – spiega Stefano Tomelleri, docente di Sociologia all’università di Bergamo – è che da un lato le aziende faticano a stabilizzare i dipendenti, dall’altro i giovani stanno vivendo una disaffezione per questo tipo di settore economico. Prima di scegliere la fabbrica, cercano altre opzioni ai loro occhi potenzialmente più stabili e allettanti. Rispetto al passato, infatti, anche questo tipo di lavoro dà la sensazione di dare meno garanzie, non rappresenta più un’opzione primaria e, quindi, si vive una possibilità minore di avere autonomia familiare e abitativa».

Le cause di questa mancanza sempre più strutturale di profili è dovuto a «un’interdipendenza di fattori. Se, per esempio, avessimo da affrontare soltanto la scarsa professionalizzazione dei giovani in uscita dalla scuola, non sarebbe un problema. Ma a ciò si sommano altre situazioni: le poche donne lavoratrici, la precarizzazione dei contratti di lavoro, l’alto costo del lavoro e il grosso indebitamento delle Pmi con un sistema del credito con poca programmazione e dove non si riesce ad andare oltre il semplice prestito di denaro».

INDICATE DOVE INVESTIRE

A cui si aggiungono gli stipendi bassi e i pochi laureati in materie scientifiche. Un mix spesso letale per le imprese, soprattutto piccole e medie. Soluzioni? «Il modello di alternanza scuola-lavoro sta funzionando – aggiunge Tomelleri – ma serve un passaggio in più. Le imprese devono interloquire maggiormente mondo dell’istruzione, indicando dove investire e dove creare eventuali nuovi indirizzi. Bisogna superare la burocrazia che impedisce sperimentazioni snelle che, in caso di successo possono proseguire oppure, in caso contrario, terminare soltanto dopo un anno. Insomma, serve più fare che rendicontare. Per me c’è spazio per questo salto di qualità perché, in questi anni, diverse esperienze di rapporti fra scuola e impresa hanno dimostrato che questi due mondi sanno prendersi delle responsabilità. Infine, bisogna insistere sulla battaglia culturale per cui ogni lavoro ha dignità: lo ha dimostrato la pandemia, quando le imprese di pulizia, i settori della logistica e dell’agroalimentare si sono dimostrati un asse portante per affrontare la crisi».