Gas da 8mila a 24mila euro: interventi subito o si rischia il default. La testimonianza e il sondaggio

«Le imprese rischiano il default». Andrea Gatti, trentunenne alla guida della fonderia Gea Srl di Castelseprio, va dritto al punto quando si tratta di scattare un’istantanea di quella che è «la più grave crisi energetica di tutta la storia». Qui proponiamo la sua storia e un sondaggio finalizzato a comprendere la situazione delle Pmi

Andrea Gatti fonderia Gea

«Le imprese rischiano il default». Andrea Gatti, trentunenne alla guida della fonderia Gea Srl di Castelseprio, impresa leader nella produzione di getti di alluminio, va dritto al punto quando si tratta di scattare un’istantanea di quella che è «la più grave crisi energetica di tutta la storia». Bollette del gas alla mano, snocciola dati «drammatici e insostenibili: nel confronto tra gennaio 2021 e gennaio 2022 le bollette della Gea sono passate da 8.000 euro (con un consumo di 18mila metri cubi) a 24.500 euro (consumo di 21mila metri cubi)». E si parla, lo sottolinea più volte il titolare, «solo di gas. L’energia elettrica vola: due giorni fa abbiamo raggiunto il massimo storico del costo della materia elettrica. Al quale si aggiunge il rialzo incontrollato della materia prima: compravo l’alluminio a 1 euro e 80 centesimi al chilo; ora sono a 3 euro e 50 centesimi. Se vogliamo arrotondare, il rincaro supera il 100%».

RISCHIO CHIUSURA VICINO

Le alternative per il futuro prossimo non sono prevedibili; «ancora meglio, non sono pervenute» sottolinea il giovane imprenditore. E il rischio di chiudere i cancelli dell’azienda non è più così remoto perché «la Gea è un’impresa a carattere familiare e ha una buona patrimonializzazione, ma con i prezzi alle stelle potrà reggere al massimo per un anno a patto, però, che intacchi le sue riserve finanziarie. In caso contrario, potremo sostenere l’urto dei rincari non più per due settimane. Semmai dovessimo arrivare alla decisione dello stop produttivo, nel caso in cui il conflitto russo-ucraino dovesse portare alla chiusura dei rubinetti del gas ai Paesi europei, inizieremo col fermare qualche reparto per poi passare a contratti part time. Infine, non ci resterà che fermare le macchine: decisione non facile, perché per un imprenditore è una vera sconfitta, ma la situazione è più che mai grave». E anche i pannelli fotovoltaici che la Gea ha installato anni fa soddisfano «solo il 20-30% dell’energia necessaria per la nostra attività», continua Andrea Gatti. Che, da imprenditore figlio di imprenditore, non si lascia scoraggiare: «Stiamo cercando una soluzione al rincaro del gas, magari riconvertendo il funzionamento dei forni dove avviene la fusione ad energia elettrica o con il gas naturale liquefatto. Che storicamente è sempre stato più caro del metano, ma ora è più economico. Un punto è certo: le imprese italiane devono fare leva sul prodotto di qualità che le distingue da tutti gli altri produttori».

SIAMO PIENI DI LAVORO

Andrea Gatti fonderia Gea

Di fronte a domande che da mesi rimbombano nella sua testa, il titolare si affida alla razionalità: «Gli ordini non mancano e molti clienti stanno facendo reshoring dai Paesi a basso costo di manodopera e chiedono produttori a chilometro zero, ma se non siamo in grado di evadere le commesse, che senso ha tenere in funzione ancora i macchinari? E quale il senso di prosciugare le proprie scorte patrimoniali? I margini sulla produzione, alla Gea, si sono già ridotti del 40% e nessun imprenditore, tra quelli che ho contattato in questi ultimi tempi, può permettersi di girare i rincari totali sul cliente. Produrre non conviene più. Si parla insistentemente di mettere uno stop alla produzione, ed è assurdo pensare che tu debba mettere in cassa integrazione i tuoi collaboratori perché non riesci a sostenere i costi di base prefissati per poter evadere un ordine».
Le imprese sono entrate in una spirale che le sta trascinando verso il basso e Andrea Gatti, anche se mosso da una positività che è dura a morire, non vede vie d’uscita: «Si sono fatti contratti a lungo termine per garantire il prezzo alle forniture per l’anno successivo, ma se non adegui i prezzi puoi solo chiudere. E i prezzi si legano indissolubilmente anche alla disponibilità dell’alluminio: mesi fa la consegna era a dieci giorni, mentre oggi superiamo i 40 giorni. Come posso prevedere se in quel mese e più non ci sarà un altro collasso dei prezzi? E se dovesse accadere, come potrò essere ancora competitivo? Anche i contratti di rete ormai non reggono la tensione dei mercati: da un lato i rincari, ma dall’altro la mancanza di materia prima con i fornitori che non ce la fanno a consegnarti i quantitativi che ti servono perché in casa ne hanno sempre meno».

Un caso simbolo, quello di Andrea Gatti, un caso come tanti che si stanno verificando in provincia: qui di seguito proponiamo un sondaggio per comprendere meglio come stanno le cose e valutare lo stato di salute delle Pmi. Rispondi