La cultura del rischio tra cigni neri e disastri

La cultura del rischio tra cigni neri e disastri

Il rischio è il mestiere dell’imprenditore. Ma nemmeno lui sa che possono arrivare, come la rara avis del poeta Giovenale, uccelli rari come un cigno nero, l’appellativo che il filosofo Nassim Taleb ha dato a un evento alquanto improbabile, e su cui ha costruito il suo saggio più famoso.

Il primo a candidarsi come cigno nero di questa decade turbolenta è il Covid-19, inatteso e gravissimo. Eppure, è proprio Taleb a spiegare come gli eventi rarissimi possano essere molto significativi nella nostra crescita e insegnarci più di quelli frequenti.

GLI APPROCCI AL RISCHIO
Le tipologie di approccio al rischio sono molte.

C’è l’approccio finanziario. Molto diffuso, considera che un investimento può andare bene, ma può anche andare male. Se c’è un rischio, una possibilità negativa, porta a concentrarsi su questa e calcola lo scostamento dalla possibilità che invece vada bene.

C’è poi quello assicurativo, secondo cui per cause umane o naturali, possono succedere cose che ci fanno male e producono un danno, siano quindi un pericolo e una minaccia. Parte chiaramente da una visione negativa: le cose positive, o normali, non destano particolare interesse.

Un approccio più manageriale considera invece la possibilità che non vada come ho previsto, o come mi aspetto che vada. Può succedere qualcosa che mi distanzia dal mio percorso, dagli obiettivi che voglio raggiungere. Vengono osservate le minacce e le opportunità, e il rischio è la potenzialità che un evento si manifesti diversamente da come ce lo attendevamo (ricavi che scendono, costi che salgono).

L’approccio dell’impresa dovrebbe essere un’efficace sintesi dei precedenti: esamina tutti i possibili effetti, positivi e negativi, di un evento inatteso che riguarda la situazione economica, finanziaria, patrimoniale.

LA CULTURA DELL’ESTINTORE
Purtroppo, molte imprese hanno una cultura del rischio anomala. Potremmo definirla cultura dell’estintore, perché vede il rischio confinato nella legge 626: per rischio intende solo ciò che riguarda la sicurezza fisica del personale.

 Questa mentalità nasconde l’illusione che, una volta fatto il corso obbligatorio sulla sicurezza e appeso qualche estintore negli angoli previsti, l’impresa stia gestendo il rischio. E considera superfluo, o ignoto, ogni rischio di fatturato o di mercato, di cambio o di prezzi delle materie prime, geopolitico o sanitario, demografico o di sofferenza finanziaria.

 Non è certo un modo di pensare esclusivo delle imprese. Ma fa parte di un sentire comune molto diffuso, che sembra apoggiato su un insieme di distorsioni cognitive (cognitive bias, che spesso confermano la nostra visione errata) e di convinzioni quasi scaramantiche.

 Ci sono molte circostanze a descriverlo.

Abbiamo fatto tante prove, quindi possiamo stare tranquilli”.

Non è successo niente fino ad oggi. Quindi non succederà niente”.

Se tutti fanno così, significa che non vedono rischi. Facciamo così anche noi”.

Se non si è ancora rotto, non serve fare manutenzione”.

Faremo il controllo quando avremo un attimo di tempo, magari durante le ferie”.

Se è andata bene a loro, andrà bene anche a noi”.

Si è già rotto tre volte in due mesi. Di certo non si romperà un’altra volta”.

E pensando al rischio paese, che coincide con il rischio del grosso cliente...“è impossibile che falliscano proprio loro”.

Dietro ognuno di questi pensieri c’è un approccio distorto. Lo stesso che ci lascia sereni quando edifichiamo le case intorno al Vesuvio, e che magari ci farebbe desistere quando l’ordine è quello di evacuare. 

ABITUARSI AL CONTROLLO
Le imprese che meglio hanno resistito alla botta del Covid19, e che probabilmente resisteranno alla crisi seguente, sono quelle consapevoli dei rischi che corrono.

 Decidono di non assumerseli, oppure si tutelano e cercano di prevenirli. Cominciano col fare una mappatura in cui cercano di identificarli. Li definiscono con precisione e poi li aggregano per attività o contesti di attività (es. operativi, informativi, strategici).

Con appuntamenti ciclici li valutano con un monitoraggio attento. E preparano il famoso Piano B per gestirli, nel caso dovessero avverarsi.

La ciclicità delle verifiche le aiuta a lavorare più tranquille, sempre nel contesto delle cose che possono risolvere da sole, e le convince ad assicurarsi quando invece sanno che qualcosa potrebbe uscire dal loro controllo.

Allenarsi a questo controllo dei rischi abitua a controllare tutti i processi. Porta giovamento all’impresa in ogni momento, così come lavarsi le mani era una buona prassi anche prima del Covid-19.