Pmi irriducibili digitali, lo scetticismo resta ma qualcosa si muove (in positivo)

Il 60,3% delle Pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di «intensità digitale» (56% la media Ue27), con un target europeo al 2030 del 90%. Tra le imprese con almeno 10 addetti il 41,9% ha acquistato servizi di cloud computing di livello medio-alto e il 51,9% di livello intermedio e sofisticato (75% l’obiettivo europeo 2030). Si può fare meglio e ci stiamo provando

Pmi digitali

Irriducibili: sono quelli che la digitalizzazione sanno che esiste, ma non vogliono ancora sentir parlare di adottarla e prenderla in considerazione seriamente. E non si parla di aulici concetti come intelligenza artificiale, o "bot", semmai di un semplice "calendar" in grado di cadenzare clienti e impegni senza incorrere nella mina della matita spuntata. Meglio l’analogico, il foglio di carta e l’orologio da polso.

Eppure qualcosa si muove in quell’universo che anni fa cominciò a venir raccolto in una sigla, l’Ict, Information Communication Technology, la scienza che studia in modo integrato i sistemi di elaborazione, trasformazione e trasmissione dell’informazione, anche applicati all’economia e alla produzione. L’ultima rilevazione Istat tratteggia sul tema un bilancio in chiaroscuro, in particolare rivolto alle piccole e medie imprese. La più recente fotografia cui affidare un’analisi risiede nelle pieghe del report pubblicato a gennaio 2022 e che riguarda i 12 mesi precedenti da cui emerge che nel 2021 il 60,3% delle Pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di «intensità digitale» (56% la media Ue27), con un target europeo al 2030 del 90%. Tra le imprese con almeno 10 addetti il 41,9% ha acquistato servizi di cloud computing di livello medio-alto e il 51,9% di livello intermedio e sofisticato (35% la media Ue27, 75% l’obiettivo europeo 2030).

I SOCIAL SI FANNO LARGO

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Gli indicatori del Digital Economy Society Index per le Pmi che vendono online migliorano molto lentamente. Risultano in aumento le imprese che usano almeno due social media (da 22% a 27%). Nell’uso di dispositivi e sistemi intelligenti controllati via Internet (IoT) le imprese italiane con almeno 10 addetti sono ottave in Europa. A livello europeo la transizione digitale è misurata attraverso indicatori chiave sullo stato della digitalizzazione in termini di infrastrutture abilitanti, competenze, utilizzo da parte di individui, famiglie, imprese e pubblica amministrazione.

Alcuni di questi indicatori sono inclusi nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) in uso dal 2015, che monitora l'evoluzione delle prestazioni digitali negli Stati membri dell’Ue e i risultati delle politiche nazionali. Nel programma della Commissione europea delineato dalla “Bussola digitale 2030” il Desi è stato ulteriormente rafforzato come strumento di monitoraggio per il decennio digitale e per individuare gli obiettivi da raggiungere entro il 2030.

L’andamento nel tempo degli indicatori della transizione digitale stimati nell’anno 2021 mostra lenti miglioramenti - in analogia con la media Ue27 - nell’area del commercio elettronico delle Pmi; dall’altra, importanti accelerazioni nell’adozione di servizi cloud di livello intermedio o sofisticato (52% contro una media Ue27 del 35%) e nell’utilizzo di almeno due social media (27%; +10 punti percentuali dal 2017).

IL 40% È ANCORA AI NASTRI DI PARTENZA

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Ma, c’è un “ma“ nel ragionamento sull’applicazione del digitale che arriva da una recente ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano. Dallo studio emerge che le piccole e medie imprese italiane, precisamente il 40%, appaiono ancora troppo timide rispetto al processo di trasformazione tecnologico capace di generare benefici in termini di competitività internazionale e migliori performance economiche. Esiste inoltre un 7% di realtà produttive, non internazionalizzate, completamente analogiche, cioè totalmente avverse a qualunque forma di innovazione digitale.

In sostanza l'Italia delle Pmi - spiega la ricerca - va a due velocità: da una parte un 53% che vive la transizione digitale come un fattore abilitante, di contro un 47% che la subisce, e in taluni casi arriva a rifiutarla, mantenendo inalterato il proprio status analogico. Questo lavoro di analisi è stato presentato ai primi di aprile al convegno inaugurale della Fiera internazionale "A&Tl" al Lingotto di Torino e in questa occasione Luciano Malgaroli, ceo della fiera dedicata a innovazione, tecnologie, affidabilità e competenze 4.0, non ha dubbi: «È inequivocabile quanto ancora esistano freni culturali verso un modello di piccola e media impresa totalmente digitalizzata, come processo e come visione di sviluppo», e per superare questo gap «servono politiche e investimenti industriali concreti e lungimiranti, che coinvolgano interi ecosistemi».