È stata bocciata a larga maggioranza l’iniziativa referendaria dell’Udc svizzero, “Per un’immigrazione moderata”, che chiedeva la cessazione degli accordi per la libera circolazione delle persone tra la Confederazione Elvetica e l’Unione Europea, entrati in vigore nel 2002. Il “No” ha prevalso in tutti i cantoni, con una media complessiva di circa il 62% dei consensi in tutta la Svizzera. Fanno eccezione, però, i nostri “vicini di casa” del Canton Ticino, dove il “Sì” ha superato il 53%.
Lo stop al referendum dell’UDC rinsalda i presupposti in vista di un nuovo accordo quadro tra Berna e Bruxelles per l’aggiornamento dei bilaterali. «Oggi è un grande giorno per le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea – ha scritto in un tweet il presidente del Consiglio europeo Charles Michel - accogliamo con favore il risultato del voto popolare e attendiamo con ansia la continuazione della nostra stretta collaborazione. Il popolo svizzero ha parlato e mandato un chiaro messaggio: insieme ci attende un grande futuro».
Se il “Sì” avesse prevalso, sarebbero caduti anche gli altri sei accordi bilaterali firmati assieme a quello sulla libera circolazione, in virtù della cosiddetta “clausola ghigliottina”: sarebbero così stati reintrodotti ostacoli al commercio, ai trasporti aerei e terrestri, all’agricoltura, alle forniture alla pubblica amministrazione e alla ricerca. Una sorta di “Swissexit” che avrebbe comportato conseguenze preoccupanti anche per le storiche relazioni di buon vicinato tra la provincia di Varese e il Canton Ticino. Si sarebbero aperti enormi punti di domanda per il destino degli oltre 70mila lavoratori frontalieri che ogni giorno varcano i Confini di Stato tra la Lombardia e la Svizzera e delle tante piccole e medie imprese del nostro territorio che abitualmente operano oltre frontiera. L’iniziativa “Per un’immigrazione moderata”, infatti, «al di là del nome, era piuttosto estremista», come aveva spiegato il responsabile frontalieri della Cgil Giuseppe Augurusa in una puntata dei “Dialoghi in Diretta” di Confartigianato Imprese Varese. Per Lino Terlizzi, editorialista del Corriere del Ticino, è stato «un atto di saggezza, anche dal punto di vista economico. La Svizzera resta pienamente sovrana sul versante politico e al tempo stesso aperta sul versante economico. È una formula che ha alle latitudini elvetiche un bilanciamento originale e pragmatico, che dà molti più vantaggi che svantaggi».
Così il “bis” dell’iniziativa del 2014 (intitolata “Basta immigrazione di massa”, con il proposito di contingentare la libera circolazione dei lavoratori) non è arrivato, con il Partito Socialista ticinese che fa notare come «nonostante la vittoria in Ticino», la proposta dell’UDC abbia «perso il 15% rispetto al 2014», quando il Sì aveva toccato il 70% nella Svizzera italiana. Ora però il PLR invoca «la disdetta dell’Accordo sui frontalieri datato 1974» e chiede al Consiglio federale «di indennizzare il Ticino per gli evidenti svantaggi quale Cantone di confine». E se l’UDC parla di «occasione mancata» e promette di stare in guardia sul nuovo accordo quadro, i toni della Lega dei Ticinesi sono ancora da battaglia: «Per l’ennesima volta, la maggioranza dei ticinesi, sostenendo l’iniziativa, ha rifiutato la devastante libera circolazione delle persone senza limiti voluta dalla partitocrazia, che ha avuto effetti deleteri sul mercato del lavoro, sulla sicurezza, sull’ambiente, sulla viabilità, sulle assicurazioni sociali».
Ecco perché il risultato del “Sì”, vittorioso in Ticino, non tranquillizza Alessandro Alfieri, senatore del Pd: «Se la bocciatura del referendum "anti frontalieri" è stata una buona notizia per le relazioni tra Roma e Berna, non possiamo far finta di non vedere l'affermazione, seppur risicata, dei SI in Canton Ticino e i toni xenofobi che hanno accompagnato la campagna referendaria oltreconfine - scrive in una nota firmata a quattro mano con il collega parlamentare del VCO Enrico Borghi - l'economia dei territori di frontiera non può ogni volta essere messa in discussione dalle iniziative politiche dei partiti sovranisti ticinesi e non sono più accettabili campagne discriminatorie nei confronti dei nostri lavoratori. Per questo motivo siamo convinti che il risultato referendario del 27 settembre possa essere finalmente un punto di partenza per la costruzione di un sistema che metta una volte per tutte al sicuro due principi cardini: non un euro di meno ai comuni di frontiera, non un euro in più di tasse ai lavoratori frontalieri».
Gli esponenti del Pd fanno riferimento all’accordo fiscale tra l’Italia e la Confederazione, in revisione dell’accordo sui frontalieri che risale al 1974, parafato nel 2015 dalle autorità svizzere e italiane, ma mai ratificato. Ma la svolta è vicina, e non sembra essere slegata dal risultato del referendum di domenica 27 settembre. «Sembra che sia stato raggiunto un accordo di principio sulle modifiche da apportare al testo così da poterlo ratificare» ha dichiarato nelle scorse ore il ministro degli esteri svizzero Ignazio Cassis, dopo un incontro a Bellinzona con i membri dei Governi cantonali di Ticino e Grigioni, durante il quale si è discusso anche di relazioni transfrontaliere con l'Italia. «È un passo concreto a cui non assistevamo da tempo» ha aggiunto Cassis, dicendosi fiducioso sulla possibilità che l'intesa sia ratificata da Roma entro la fine dell'anno.