Magnoni Francesco Srl
info@magnoni.it
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Terza generazione in azienda, il titolare di oggi porta lo stesso nome del nonno fondatore: Francesco. Di cognome, Magnoni. La storia risale al 1920, quando il nonno si ingegna nella produzione di “cucine economiche” in modo diverso sostituendo la lamiera alla ghisa: «Fogli di ferro, lima e martello», ricorda Francesco Magnoni. Che con poche parole, facendo un balzo di anni, racconta il cambiamento del settore della meccanica: «Dalla lima si passa alle trance, alle presse e all’attrezzeria. Poi le punzonatrici, il laser, le piegatrici idrauliche, la saldatura. E Industria 4.0. Pensi che quest’azienda è arrivata ad occupare settantacinque persone e nel suo core business c’era anche la progettazione e realizzazione di stampi. Oggi ne conta una trentina».
QUALE E’ LO SCOPO DI UN’AZIENDA?
Classe 1961, laureato in Ingegneria, Francesco Magnoni entra in azienda negli anni Novanta. E di un corso frequentato in quei tempi conserva ancora un ricordo indelebile: «Ad un certo punto il relatore ci chiese: quale è lo scopo di un’azienda? Tutti risposero “fare utili”. Invece, il vero fine è durare nel tempo e fare utili è solo un mezzo che serve per dare un futuro alla tua attività. E questo accade se quegli utili li investi nuovamente per poter migliorare sotto il profilo produttivo e organizzativo. Tutto si intreccia. Poi, come è normale che sia, bisogna anche dare soddisfazione ai soci».
PRIMI IN EUROPA, MA ORA E’ TEMPO DI CAMBIARE
Fino alla fine del secolo scorso, la Magnoni è stata una realtà all’avanguardia e leader nel suo settore: «Da sempre lavoriamo lamiera utilizzando, soprattutto, ferro e acciaio inossidabile. I macchinari sui quali si investiva – in azienda c’era già mio papà, Donato Magnoni, con la mamma Giuditta Aspesi - erano i più belli e i più tecnologici e l’organizzazione si basava su corsi di formazione tenuti dai tecnici della Whirlpool e della Bticino. Ricordo ancora il primo Pc, grande quasi quanto un tavolo. I cicli di lavorazione, qui, si usano da 50 anni».
L’azienda di Albizzate cresce e lega il suo nome ai grandi brand del bianco, dell’automotive e dell’informatica: «La Ignis di Napoli, l’Autobianchi, la multinazionale americana IBM. Sempre e solo contoterzisti, ma poi 35 anni fa qualcosa è cambiato». Quel “qualcosa” richiama ancora la IBM: «Senza mai abbandonare la subfornitura, siamo stati i primi in Europa a produrre gli armadi da pavimento e da parete destinati al settore del cablaggio strutturato. I famosi Rack 19”, dove quel numero in pollici indica le dimensioni standard degli apparati che devono essere ospitati all’interno. Diventiamo un brand con un prodotto tutto nostro progettato, prodotto e venduto con marchio Magnoni. Da lì segue un catalogo che, per tanti anni, sarà il nostro punto di forza».
ABBIAMO RIPRESO A CORRERE, ANCHE GRAZIE A INDUSTRIA 4.0
Il rallentamento dell’azienda è durato circa una ventina di anni. Negli ultimi cinque, grazie agli investimenti in nuovi macchinari (pannellatrice e punzonatrice sono 4.0), formazione e organizzazione «abbiamo ripreso a correre. Passare a Industria 4.0 è stato utile e intelligente perché il vero vantaggio, per l’azienda, non sono tanto le agevolazioni quanto l’integrazione dei nuovi macchinari nella linea di produzione – prosegue il titolare -. Se da un lato l’azienda “seria” deve essere 4.0 indipendentemente dai crediti di imposta, dall’altro le realtà meno strutturate o più giovani devono porsi qualche domanda. Per quanto riguarda il nostro caso, Industria 4.0 non ha rappresentato una rivoluzione: abbiamo solo reso automatica una procedura che faceva già parte del nostro modo di lavorare. Una procedura, questo è il vero vantaggio, che oggi è in tempo reale. Il 70% del fatturato dell’azienda proviene dalla subfornitura in Italia e in Europa: qui ci lavoriamo da 50 anni per Siemens, Schneider Elettrica, SKF, Kone ascensori. Per essere chiari, il 20% della nostra clientela realizza l’80% del nostro fatturato».
LE CRISI? NOI LE ABBIAMO VISSUTE IN MODO POSITIVO, MA DOBBIAMO CRESCERE
O spaventano, e allora l’imprenditore rischia di bloccarsi, oppure motivano. E’ il caso della Magnoni Francesco che, proprio durante le crisi più dure, non ha mai perso la propria lungimiranza e ha sfruttato quei momenti per investire e ristrutturarsi. Ancora il titolare: «Se ti organizzi, dopo le crisi puoi ripartire “a manetta”. È per questo che la Magnoni considera le difficoltà come passaggi salutari e positivi. Ma qui gioca un ruolo importante anche il nostro essere italiani». Ecco il perché: «Fino a quel fatidico 2009, quando scoppiò la crisi finanziaria negli Stati Uniti che portò alla Grande Recessione, l’italianità ha rappresentato un forte vantaggio: siamo creativi, agili, flessibili e capaci di dare sempre una soluzione a tutti i problemi. Dopo quell’anno tremendo ci si è accorti, però, che le piccole e medie imprese sono diventate un fardello. A volte mi chiedo se il concetto di “piccolo è bello” sia ancora valido. Le aziende come la mia sono quelle che corrono i rischi maggiori: o sei un’azienda artigiana - per la quale da sempre nutro un grande rispetto - con al massimo 5 dipendenti e un mercato che ha un raggio d’azione a trenta chilometri, oppure un’azienda come la mia, che conta 30 dipendenti ed è troppo piccola per permettersi investimenti importanti come aprire unità produttive all’estero. L’obiettivo è di salire ad almeno 50 collaboratori nel corso dei prossimi anni».
NON LAVORI, MA CLIENTI E GIOVANI IN AZIENDA
Sul “come fare”, Francesco Magnoni ha le idee chiare: «Ciò che mi interessa non è tanto acquisire nuovi lavori, quanto nuovi clienti. Nello stesso tempo, però, ho sempre più bisogno di macchinari e persone. E su quest’ultimo punto potrei dilungarmi, perché oggi la situazione è drammatica. Pensi che ho assunto al volo un ragazzo di diciotto anni: gli stiamo insegnando tutto partendo dalle cose e dai concetti più elementari perché per me averlo in azienda è oro colato. Così è accaduto anche tre anni fa con un ragazzo allora diciottenne che ha subito dimostrato una grande voglia di imparare e fare. Ora segue da solo quattro fra le principali macchine dell’azienda e a breve sarà il nostro punto di riferimento sulla qualità». Ma questo non basta per dare fiducia ad un imprenditore che ha urgentemente bisogno di «tecnici e responsabili di officina. Mi trovo ad un bivio: da un lato persone della vecchia guardia (che andranno in pensione) e dall’altro la mancanza di giovani che, una volta trovati e assunti, devono essere formati. Il vero problema? Le nuove generazioni non percepiscono l’importanza di passare anche un solo periodo della loro vita in fabbrica. Eppure, questo è un must in molti paesi europei come la Francia e la Svizzera, realtà che conosco da vicino».
IL FUTURO SECONDO LA “NORMATIVA BS”
Nel futuro della Magnoni Francesco non manca qualche riflessione anche sul modello di business. Ancora il titolare: «Dovrò cambiare anche questo affidandomi alla “normativa BS”. Che altro non è se non una regolazione basata sul buonsenso: questo dovrebbe essere alla base di tutto ciò che si fa e accade in un’impresa». Lo stesso buonsenso al quale guarda l’ingegnere quando parla di fattori ESG: «In questo campo le nostre azioni sono ancora sporadiche: l’eliminazione della plastica, la riduzione degli sprechi e i macchinari ad efficientamento energetico. Ciò che faremo è scattare una fotografia dell’azienda, per cercare di estrapolare alcuni dati che ci aiutino a posizionarci su di una scala di valori assoluta condivisa a livello universale. Dobbiamo capire dove siamo e dove vogliamo andare. Il Bilancio di sostenibilità? Quando si lavora con aziende che già lo fanno, prima o poi ti devi adeguare perché lo chiede il mercato. Per ora, richieste particolari in questa direzione non ci sono ancora, ma i messaggi arrivano forti e chiari».