Investimenti, è il momento giusto per le Pmi, ma serve un nuovo super piano “Impresa 4.0”
Abbiamo raccolto le considerazioni del professor Fabrizio Pagani, già capo segreteria tecnica del Mef con uno sguardo rivolto al futuro delle imprese. «Rispetto ad altre misure di politica economica, facilitare gli investimenti privati costa meno. In questo modo si può alzare la linea di base della crescita del nostro Paese»
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n un’economia che rallenta, e dove si sfiora la recessione tecnica ha senso parlare di investimenti. Diventa anzi un fattore necessario in un periodo come quello che stiamo attraversando, proprio per aumentare il livello di competitività, anche delle Pmi. Ne è convinto il professor Fabrizio Pagani, senior advisor Vitale & Co. e professore a «Sciences Po» di Parigi, e già Capo segreteria tecnica del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Professore, l’economia italiana dà segnali di rallentamento: da cosa è dovuta questa situazione? Qual è la sua analisi del momento?
Abbiamo dati discordanti. Sicuramente a partire dall’inizio dell’estate vi è stata una forte frenata, legata soprattutto a un rallentamento della domanda. L’ultimo dato sul Pil del terzo trimestre indica che siamo vicini alla recessione tecnica e anche le prospettive per l’anno prossimo sono di crescita debole. Sia i consumi interni, sia gli ordini sono in flessione. Per quanto riguarda in particolare le famiglie è possibile che l’inflazione abbia indotto timori e determinato uno stallo dei consumi. A tutto ciò si contrappone però un mercato del lavoro estremamente vivace, con una occupazione ai massimi storici, attorno al 62%. Si tratta di un dato positivo per un Paese che ha un tema cronico di bassi livelli occupazionali, soprattutto femminili. Peraltro, larga parte dei posti di lavoro che vengono creati sono a tempo indeterminato.
A fronte di un simile contesto, ha senso parlare di rilancio degli investimenti?

Certamente, ha senso più che mai. È infatti necessario riprendere e rilanciare politiche sul lato dell’offerta e rilanciare gli investimenti. Questo per varie ragioni. Anzitutto rilanciare gli investimenti tecnologici e per la transizione significa aumentare il livello di competitività delle nostre imprese. Inoltre, gli incentivi agli investimenti non hanno un particolare carattere inflattivo, come possono avere invece certe politiche sul lato della domanda. Infine, facilitare gli investimenti ha un impatto di finanza pubblica relativamente limitato. Rispetto ad altre misure di politica economica, facilitare gli investimenti privati costa meno. In questo modo si può alzare la linea di base della crescita del nostro Paese.
Quali misure servirebbero per favorire gli investimenti nel settore delle Pmi?

È necessario riprendere Industria 4.0, rivedendola e aggiornandola. Questo programma è stato lanciato otto anni fa e ha permesso un ammodernamento importante dei nostri processi produttivi, in particolare per le Pmi. Oggi si deve insistere incentivando soprattutto investimenti in digitalizzazione e transizione energetica. Lo si può fare anche con risorse Pnrr che hanno proprio questi due ambiti come prioritari, secondo quanto prevedono i Piani europei Next Generation EU e PowerEU. Devono essere riviste le liste degli investimenti ammissibili all’incentivo, facendo sì che vengano supportate anche revisioni complessive dei sistemi industriali che vadano oltre l’investimento in un macchinario o un servizio specifico. Questo vale per manifattura e servizi. Siamo convinti che presso il Ministero dell’Impresa e del Made in Italy vi sia forte sensibilità su questi temi.
L’instabilità dei mercati energetici che deriva da fattori imprevisti con quali strumenti può venire superata?
«Ne vedrei principalmente due: una riforma dei mercati energetici e del loro funzionamento per quanto riguarda per esempio interconnessioni europee e formazione dei prezzi. L’esperienza dello scorso autunno è stata molto negativa e deve spingere ad agire per una riforma in tempi assai brevi. L’altro aspetto è ovviamente spingere verso la transizione energetica. Questa non ci protegge solo dal cambiamento climatico, ma ci libera anche, seppur progressivamente, dalla dipendenza dai mercati fossili e dalle loro instabilità. In questo processo il nucleare può giocare un ruolo importante». Andrea Camurani