«Dopo 40 anni di lavoro non riesco ad immaginare cosa potrà accadere da qui a pochi mesi». Marcello Chini, titolare della Dolcisapori Srl di Gemonio (laboratorio semi-industriale distribuito su tre sedi che fornisce pasticceria su ordinazione alla Grande Distribuzione e che dà lavoro, compreso l’indotto, a 42 persone), guarda in macchina con gli occhi persi nel vuoto. E tutto ciò che ha costruito in una vita rischia di essere spazzato via da questa crisi energetica «che sta portando le aziende all’implosione». Sulla scrivania le ultime bollette di luce e gas ricevute nei mesi estivi. Chini le conosce a memoria: giugno 2021, 12.000 euro; giugno 2022, 26.000 euro; luglio 2021, 14.225 euro; luglio 2022, 41.444 (19.000 solo per la sede di via Mattei a Gemonio). La bolletta di agosto, secondo le previsioni, potrebbe superare i 50.000 euro.
La voce dell’imprenditore di Gemonio è una fra le tante raccolte da Imprese e Territorio per la seconda puntata dell’inchiesta sul rialzo dei costi energetici. Dopo le imprese non energivore, ora è la volta di quelle che consumano grandi quantità di corrente e gas. Imprese che non hanno più tempo né risorse: tutto si gioca sul filo di lana delle scelte che prenderà l’Europa, tra tetto al gas e sganciamento del prezzo dell’elettricità da quello del metano. Ma in tutto questo, la preoccupazione degli imprenditori va ai loro collaboratori: «Qui lavorano famiglie alle quali pensiamo tutti i giorni».
Ad incidere sul consumo della Dolcisapori Srl non sono tanto i forni per la cottura quanto le celle frigorifere e la climatizzazione dei locali adibiti alla produzione: «Le temperature minima e massima – commenta il titolare - sono definite dalla legge». I margini di luglio e agosto sono stati azzerati dai costi dell’energia elettrica: la storia di un fallimento preannunciato. Perché se in passato il costo dell’energia pesava sul fatturato della Dolcisapori Srl per un 3%, oggi si arriva al 10%: «Se lasciate sole, senza alcun aiuto da Stato ed Europa, le imprese potranno fare una sola cosa: giù gli interruttori, macchine ferme e cancelli chiusi». Soluzioni? «Da una parte sono riuscito a rateizzare il pagamento della bolletta di luglio; vedremo se ce la farò anche con quella di agosto. Dall’altro, come contoterzista, ho proposto ai miei clienti un aumento del 10% sui prezzi dei prodotti». Una strada da percorrere ma dai tempi lunghi: «Per ottenere un risultato ci vorranno, probabilmente, trenta o quarantacinque giorni». Troppo tardi.
Eppure l’aumento è l’arma più efficace, in questo momento, per non soccombere sotto un Prezzo Unico dell’Energia (PUN) che sta impazzendo. E l’aumento scatta per tutti. A scrivere una lettera ai suoi clienti per informarli di questa scelta, con tanto di grafico che rappresenta l’andamento del PUN in questi ultimi anni, è stato Andrea Gatti, co-titolare della G.E.A. Srl di Castelseprio. L’impresa, che occupa venti collaboratori ed è leader nel settore delle fusioni in alluminio, applicherà un rincaro sui prezzi dell’11% per “onerosità sopravvenuta”. Perché impianto fotovoltaico e gestione del centro costi non possono sostenere la forza d’urto dello tsunami energetico: «L’impresa è gasivora e consuma 360mila metri cubi standard di gas in un anno. Per quanto riguarda l’elettricità, invece, siamo sui 42mila KwH al mese. Da maggio 2021, il gas ha registrato un aumento del 900%, mentre la corrente del 640%. Con bollette da 135.000 euro al mese potremmo resistere non più di trenta giorni». Gli ordini non mancano, così come gli imprevisti: «In agosto nessuna commessa, a tal punto che abbiamo allungato le ferie di una settimana. In settembre, invece, c’è stata la ripresa. Ma c’è un problema: non sappiamo come definire il prezzo dei prodotti perché oggi arriva l’ordine, ma il pezzo verrà consegnato fra trenta o più giorni. In questo lasso di tempo come sarà cambiata la quotazione di gas ed energia?». Nessuno lo sa e anche il credito di imposta alle imprese energivore è una goccia nel deserto: su un ammontare di 23.000 euro di rincari, la G.E.A. Srl si è vista riconoscere 3.422 euro. E ci sono fornitori di energia «che ti propongono la fidejussione per affrontare la situazione». Serve pragmatismo, come sempre. Una risposta concreta e risolutoria può arrivare da tre azioni. Le elenca Andrea Gatti: «Investire sulle fonti energetiche rinnovabili e sostenibili, porre un tetto al prezzo del gas e slegare il costo dell’energia elettrica da quello del metano».
Tempo e risorse economiche, però, stanno per finire. Anche per le imprese capitalizzate. Lo dice in modo determinato Laura Guagno della Mi-Met di Brebbia: «Siamo un’azienda che si occupa del trattamento chimico-galvanico di alcuni particolari che servono alle multinazionali dell’automotive: lavoro da 35 anni di lavoro e crisi come questa non ne ho mai viste». Conto terzista e, con i suoi 128mila di metri cubi di gas consumati lo scorso anno, gasivora complice anche il depuratore delle emissioni in atmosfera relative agli impianti di adesivazione. E’ stato il Ministero dello sviluppo economico, con il DM del 2 marzo 2018, a definire i parametri per le imprese a forte consumo di gas naturale, che deve essere maggiore o uguale a 1 GWh (circa 95mila standard metri cubi annui). La Mi-Met – che occupa dieci collaboratori – potrà usufruire del credito di imposta del 10%, «ma è solo un tampone» di fronte alle quotazioni che snocciola la titolare: «Da 0,34 centesimi al metro cubo, nei primi mesi di quest’anno il gas è balzato a 1 euro e 44 centesimi. A luglio abbiamo superato la soglia dei 2 euro e 23 centesimi: un aumento che va oltre il 400%. L’energia elettrica? Siamo ad un +295%». L’importo medio mensile delle bollette è di 45mila euro: 540.000 euro in un anno su poco più di un milione di fatturato. Vie d’uscita? «Nessuna. La liquidità accantonata negli ultimi anni mi servirà per fare fronte all’urgenza, ma una volta esaurita non vedo vie d’uscita. Nel mese di luglio non abbiamo più lavorato il venerdì e il sabato. E alcuni nostri clienti hanno utilizzato la Cassa integrazione il lunedì e il venerdì. Togliere un grado agli impianti non ci salverà». Poi ci sono le banche, che a Laura Guagno stanno offrendo finanziamenti per affrontare la situazione: «Prendiamo anche questi, ma i finanziamenti dovrebbero servire per investire nel futuro dell’azienda, non per pagare i debiti». Una sconfitta su tutti i fronti.
Una sconfitta che si sente sulle spalle anche Saverio De Felice, titolare della Defeplast di Gemonio. Impresa di stampaggio di materie plastiche che consuma 600mila KwH di energia all’anno, con bollette mensili da 30.000 euro (le proiezioni per i prossimi mesi alzano l’asticella a 50.000), la Defeplast si trova in un vicolo cieco: «Un mio cliente mi ha chiesto il perché dell’aumento sul prezzo dei prodotti: la scelta è stata giustificata e tre mesi fa abbiamo provveduto al primo rialzo. Ed ora procederemo con un secondo aumento. Abbiamo pensato, poco tempo fa, di chiudere il venerdì, ma questo porterebbe più disagi che vantaggi». De Felice parla senza pause, il respiro è rotto dalle urgenze e da una situazione che è una morsa al futuro delle aziende: «Non investo, taglio su tutto e pompo risorse nella Defeplast per pagare le bollette: questo mese ci ho messo 50mila euro e farò così anche il prossimo mese. Dopo, però, sarò costretto ad una chiusura temporanea con tutti i rischi che comporta».