Buona, cattiva, alta o bassa? L'inflazione, che non piace, dà una mano alle imprese
Lo dice Gustavo Piga, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata. Che sottolinea: "L’economia si salva con una maggiore inflazione: da qui passa un’occupazione maggiore e una democrazia più forte".
L’economia mondiale, come il gioco del domino, è fatta da tessere: quando ne cade una, tutte le altre la seguono. La ripresa della produzione industriale, dopo il picco pandemico, ha portato all’estremo la richiesta di energia elettrica e gas con il conseguente aumento dei prezzi. E lo stesso è accaduto con le materie prime: più se ne cerca e più diventato rare e costose. Tutti ne pagano le conseguenze, comprese le filiere di approvvigionamento globali: poco resilienti al cambiamento improvviso, causano strozzature e rallentano. I risparmi accantonati dalle famiglie durante i lockdown sono stati liberati improvvisamente facendo crescere i consumi e, inevitabilmente, i prezzi dei beni: è inflazione. Che può essere buona o brutta ma, fortunatamente, non ancora cattiva: di quella degli anni Settanta, rilanciata dalla spirale prezzi-salari, oggi non c’è traccia. Ma l’inflazione bassa, a differenza di quanto si possa pensare, può essere più nociva di quella alta: a dirlo è Gustavo Piga, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Roma Tor Vergata.
Professore, l’inflazione di oggi è buona o cattiva?
Se parlasse con il professore Gustavo Piga, le direbbe buona; la banca centrale tedesca, invece, le risponderebbe cattiva. In generale, direi che dobbiamo andare al di là di questi aggettivi per cercare di capire come si determinerà nel futuro l’inflazione: sono gli stessi banchieri centrali a confessare di non saperne molto a riguardo. Viviamo in un ‘epoca in cui ci sono tanti elementi che giocano a favore di queste pressioni inflazionistiche: eppure l’aumento di prezzi stupisce tutti.
Un’inflazione incerta?
Sì, e per diversi motivi. Primo, la Fed e la Banca centrale europea, a fine 2020, nel pieno della pandemia, non avevano previsto alcuna fiammata e non avevano dato alcun allarme. Allora, negli Stati Uniti d’America l’inflazione era al 2%, mentre in Europa era al di sotto del 2%. E questo, tra parentesi, conferma il fallimento delle istituzioni europee di rispettare il loro mandato: non sono mai riuscite a tenere l’inflazione ad un livello sufficientemente alto come dovevano. Secondo, quando queste istituzioni ci dicono cosa sta per accadere dobbiamo prendere atto che le loro risposte, forse, non sono più una sicurezza su cui contare.
Cosa è successo?

Qualcosa di straordinario: la pandemia ha avuto effetti sorprendenti sui prezzi, il rincaro dell’energia ha a che fare – ma solo in parte - con questi cambiamenti improvvisi e il rialzo dei prezzi è la classica reazione alla strozzatura delle catene mondiali di fornitura. A questo dobbiamo aggiungere l’effetto delle risposte dei governi alla situazione pandemica: da un lato hanno bloccato l’offerta (chiudendo negozi, strade, autostrade e oceani sui quali viaggiano le merci) e, dall’altro, hanno sostenuto una domanda aggiuntiva di beni con misure espansive. Il Pnrr europeo ne è un esempio.
Alcuni affermano che l’inflazione potrebbe avere durata breve: è così?
La durata della pandemia è un’incognita. Se dovesse essere ancora lunga, le Banche centrali europee quanta inflazione saranno disposte a tollerare ancora, e per quanto tempo, mettendo in campo politiche accomodanti? Probabilmente, lo saranno ad un livello maggiore rispetto a dieci anni fa. E questo perché la priorità di chi controlla l’inflazione oggi è legata ai rischi di disoccupazione ed il prezzo che dobbiamo pagare alla disoccupazione è un aumento temporaneo dei prezzi per sostenere la domanda e dunque proteggere l’occupazione. Aumento tenue, ma non troppo. Per tutto il 2022 e il 2023 ritengo che le colombe avranno la meglio sui falchi.
Lei spera in un rialzo dell’inflazione: in tale contesto cosa si dovranno aspettare le piccole e medie imprese?
Se la politica monetaria tiene i tassi d’interesse fermi lasciando correre i prezzi, le Pmi

avranno un vantaggio. Facciamo un esempio: pagheranno sempre 10 euro di interessi, ma vendendo i loro prodotti a prezzi più alti avranno un maggiore profitto. Inoltre, le rivendicazioni salariali saranno più moderate del rialzo dei prezzi, perché ciò che preoccupa oggi è la capacità delle imprese di ripristinare livelli di occupazione tollerabili.
Però c’è una differenza tra Stati Uniti ed Europa: quale?
L’inflazione in America è circa al 7%; nell’Area Euro si collocherà intorno al 4%. In questo caso, possiamo parlare di inflazione buona che ci aiuterà a tornare a livelli di occupazione alti. Ma esiste questa differenza perché gli Stati Uniti usano politiche molto più espansive rispetto a quelle dell’Europa: il loro deficit pubblico è di circa il 10%; quello della Ue è del 3%. Il settore pubblico americano aiuta molto l’economia, e questa tira molto di più di quella europea. E Joe Biden, per evitare che torni Donald Trump, deve andare al voto con un’economia che funziona. Ma guardi che l’Europa ha lo stesso problema.
Il problema di sostenere l’economia
Certo, ma anche quello di tenere a bada i movimenti populisti, che sono momentaneamente sopiti e che fanno male alle imprese perché generano instabilità. Però, il populismo nasce dal fatto che tante persone sono insoddisfatte e stanno male. Ecco perché la priorità democratica americana deve essere anche una priorità europea e italiana. Uno potrebbe dirmi che la priorità non è la tenuta della salute della democrazia europea ma il controllo dell’andamento dell’inflazione, e io gli risponderei che è un pazzo. L’economia si salva con una maggiore inflazione: da qui passa un’occupazione maggiore e una democrazia più forte.
Si può ipotizzare una exit strategy?
Più investimenti pubblici, più cantieri, più lavoro per i giovani e per i ragazzi, più lavoro per gli immigrati, più lavoro per i nostri scienziati. Le banche centrali europee hanno fatto quello che dovevano fare – mettere in circolazione molto denaro – ma le loro misure non hanno avuto un grosso impatto perché le persone erano e sono rimaste pessimiste. E il pessimismo si combatte con i cantieri e la domanda pubblica. Creando attività economiche come fece in America, negli anni Trenta del Novecento, Franklin Delano Roosevelt. Insomma, in tutto questo non dimentichiamo il fatto che anche la politica fiscale dovrà essere molto espansiva.
Si rischia la stagflazione?

E’ possibile. Stagflazione vuol dire basso Pil e alti prezzi, e l’America forse in un futuro prossimo potrebbe dover affrontare il problema di decidere quando porre un freno all’aumento dell’inflazione. In Europa, dove non c’è ancora stagflazione perché manca l’inflazione alta, a preoccupare è l’occupazione. La soluzione sta, ancora una volta, nell’esempio statunitense: dare un forte ruolo alla domanda pubblica per generare una vera ripresa. Ma bisogna fare attenzione a spendere bene. In Italia, per esempio, si avverte una certa incapacità: pensi solo a come vengono scritti e gestiti i bandi di gara.
Come?
Se fossi una piccola e media impresa mi preoccuperei tantissimo, perché da noi si fanno grandi gare per risparmiare e non piccole gare per fare crescere l’economia. E si sa che le grandi gare le vincono le grosse industrie, spesso multinazionali. Negli Usa, invece, il 30% di tutte le gare è riservato alle Pmi nel nome della concorrenza. Se vogliamo tutelare i cosiddetti soggetti potenzialmente deboli – i giovani, le donne, ma anche le piccole imprese – che sono anche i veri attori del cambiamento, dobbiamo seguire l’esempio americano.
Le pressioni inflazionistiche, persistenti o meno, potrebbero essere positive anche per alcune tipologie di imprese: quelle più innovative?
Chi è in grado di abbracciare il futuro si porta a casa un vantaggio competitivo che fa vincere la guerra. Ma se ci fosse un contesto espansivo, per un’impresa competitiva sarebbe una bonanza. Le politiche che si devono mettere in campo devono essere pensate per chi è meno competitivo: ci si deve preoccupare dei più deboli e non dei più forti. Quindi, è giusto che anche l’Italia guardi al modello americano, ma senza dimenticare quel modello di protezione del lavoro e dei diritti delle persone che tutto il mondo ci invidia.
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