Tradizione e racconto: le carte vincenti del made in Italy hanno conquistato il Warsaw Food Expo

Tradizione e racconto: le carte vincenti del made in Italy hanno conquistato il Warsaw Food Expo
Matteo Campari al Warsaw Food Expo

Ormai i consumatori cercano la narrazione, la storia. Non devi tanto vendergli un prodotto, ma raccontarglielo, e noi italiani siamo maestri in questo. Così, in una delle più importanti fiere in Europa nel settore “food”, i prodotti Made in Italy hanno fatto furore. Ormai il termine “risotto” si sente pronunciare sempre più spesso nei ristoranti di Varsavia, ed è davvero risotto, di ottima fattura. Non un piatto popolare, come da noi, ma di alta cucina.

Warsaw Food Expo, in Polonia, dal 17 al 19 maggio non era neanche certo che venisse allestito, fino a qualche settimana fa. Invece ha avuto un’affluenza ben sopra le aspettative sia in termini di visitatori sia come contatti. Il Covid sembrava un lontano ricordo almeno dai comportamenti, e altrettanto tangibile era la voglia di tornare e di esserci ancora. Il racconto appassionato, competente, preciso e soprattutto in tempo reale è di Matteo Campari, “export specialist” dell'Interntional Business Staff di Artser. Una sorta di “intermediario” che curava le relazioni di quattro aziende di settore, di cui tre lombarde (una di Varese e due lomelline). L’altra è veneziana. Il “fil rouge” era il riso, sia i preparati per risotti sia quello “vergine”, oltre al caffè e alla pasticceria. Il target a cui era rivolta la fiera, del resto, riguardava cibo e bere per hotelerie, ristoranti, caffè, negozi specializzati.

Matteo Campari al Warsaw Food Expo

«Dopo più di due anni di attesa – è il resoconto di Campari – avevamo aspettative molto alte e diversi timori. Tutti volevano approfondire e provare le eccellenze italiane: ci siamo presentati con prodotti legati alla tradizione, ed è stata la carta vincente. Prodotti naturali, ad etichetta corta, semplici come biscotteria e pasticceria abbinati al caffè e al riso della Lomellina. I clienti insistono su vari concetti: due per tutti, se gli ingredienti sono totalmente italiani e se c’è attenzione al rispetto per l’ambiente». Per questo, ancora di più rispetto all’epoca pre Covid, viene cercata la storia. Non il semplice sapore, ma anche il retroterra di un prodotto. Da quanto si produce, come è cambiata la ricetta nel tempo. Ma quell’azienda è a conduzione familiare? E questo tipo di riso, come devo cucinarlo? In Italia dovremmo imparare ad apprezzare di più i nostri punti di forza, come il cibo: all’estero lo fanno.

 

«C'era curiosità – prosegue Campari – perché all'estero il prodotto italiano è quello buono per antonomasia, e noi presentiamo cose di nicchia. Ho visto il mercato polacco, un paese sempre più giovane con tanti nuovi imprenditori esigenti. Per noi è un trampolino di lancio: gente aperta mentalmente, disposta a spendere per cercare il buono».

Il food unisce: al Food Expo di Varsavia non c’erano solo visitatori polacchi e qualche italiano, ma anche romeni, slovacchi, russi e ucraini. Qualche lato negativo: alcune aziende hanno rinunciato per un nervosismo forse immotivato (Varsavia è a 100 chilometri dal confine ucraino, ma l’atmosfera era tranquillissima), e col senno di poi avrebbero riempito spazi lasciato vuoto da altri. Oggi meno ti fai vedere, più opportunità perdi. Proprio per questo, come ha specificato Matteo Campari, gli espositori lombardi e veneti che si sono affidati a lui hanno fatto benissimo a partire.

L'approfondimento

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