Il passaggio generazionale va gestito per fasi. Primo atto: parlatene e affidate le responsabilità

Con Claudio Devecchi, direttore scientifico di CERIF (Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia), cerchiamo di capire come affrontare uno dei passaggi più critici per una azienda. «Affrontate tutto come un processo. La fase più critica? Il “durante", perché va dalla scelta del successore al ritiro del fondatore, ed è delicatissima». E se il successore non c’è, pensate al manager

Passaggio generazionale

Un passaggio che a volte può risultare scomodo ma che, nella maggior parte dei casi, è più un’opportunità che un problema. Claudio Devecchi, direttore scientifico di CERIF (Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia) e già professore ordinario all’Università Cattolica di Milano di Strategia e Politica aziendale, Strategie e Problemi dell’impresa di famiglia è un punto di riferimento anche per quanto riguarda l’inserimento dei manager in quelle realtà che hanno mancato l’appuntamento con la staffetta generazionale. Ed è lui a porre l’accento su un concetto che in poche parole dice tutto: «Il passaggio non si può gestire in modo “massonico”».

Cosa intende, professore?
Ad un erede potenziale, magari di diciotto o vent’anni, non puoi dire “adesso vieni a lavorare con me. Punto e basta”. Così non funziona. Alcune ricerche dell’Università Cattolica su una casistica di imprese ci dicono che il passaggio deve essere affrontato come se fosse un processo.

Come?
Dividendolo in fasi. E ogni fase ha una sua specificità o, meglio, una serie di attività. Primo: la successione si affronta parlandone. Secondo: c’è sempre un “durante”. Terzo: il “dopo successione”, con gli inevitabili mal di pancia dell’imprenditore. Che oppone una certa resistenza perché deve lasciare ad altri la sua creatura. Tutto questo lavoro richiede un approccio anche psicologico.

La fase del “durante” è particolarmente impegnativa?

Passaggio generazionale

Lo è perché si divide in diversi punti, e ognuno di questi è importante. Eccoli:

  • Scelta e designazione del successore: è un problemino che va affrontato con calma e ordine
  • La responsabilizzazione del successore: non si può inserire in azienda una persona senza alcuna preparazione. Con questa bisogna condividere tanti passaggi intermedi
  • Graduale conquista della credibilità e della legittimità: chi entra in azienda deve avere autonomia, delega e responsabilità. Solo con questi strumenti, che devono agire insieme e devono essere concessi simultaneamente, il giovane potrà essere veramente operativo. Credibilità, infine, significa poter dimostrare che questa persona abbia reputazione e prestigio, ovvero che possiede tutte quelle competenze con le quali poter dare continuità all’azienda e farla crescere
  • Convincimento della famiglia e ottenimento dell’appoggio: senza queste garanzie, il grande disegno del passaggio generazionale fa acqua
  • Avvio del processo e coinvolgimento nell’impresa: una volta individuato colui che potrà prendere il timone aziendale, lo si dovrà presentare agli stakeholder del territorio. Quindi alle banche, ai clienti, ai fornitori e, soprattutto, ai dipendenti. In caso contrario, si rischierebbe un certo smarrimento perché nessuno capirebbe cosa sta accadendo in azienda
  • Processo di ritiro del fondatore dell’azienda: la tentazione è di mantenere anche informalmente il precedente ruolo, ma questa tentazione complica sia l’ingresso che il consolidamento della posizione dell’erede. Meglio che il fondatore stia tranquillo, e disponibile, su richiesta del giovane erede.


Eppure, non tutte le imprese riescono ad arrivare al passaggio generazionale: se non ci sono le condizioni, meglio rinunciare?

Passaggio generazionale

Innanzitutto, bisogna capire se l’imprenditore decide con la testa o con la pancia. Se usa la prima, deve fare leva sulla sua razionalità perché è un grave errore pensare che famiglia e impresa siano un tutt’uno. Se il senior capisce che il figlio, o la figlia, fatica a ricoprire il ruolo di titolare la cosa più semplice è parlare con lui o lei, evitare di coinvolgerlo/la in un’attività che non sentirebbe sua e di conseguenza rinunciare al passaggio. Quest’ultima scelta potrebbe però portare alla perdita dell’azienda. Che, prima o poi, sarà messa in vendita.

Per evitarlo si potrebbe pensare all’inserimento di un manager esterno, come stanno già facendo alcune aziende?
Per un imprenditore che non è particolarmente lungimirante, e che non vuole staccarsi da ciò che ha costruito negli anni, questa scelta sarà molto difficile. Invece, se l’imprenditore dimostra di possedere una cultura sufficientemente ampia e nel tempo ha conosciuto ciò che accade nel mondo guardando al di là del suo territorio, allora un manager potrebbe essere accettato. Ma qui sorge un altro problema.

Quale?
L’imprenditore deve scegliere le persone giuste ed evitare di andarle a rubare all’impresa vicina. Certo, del manager bisogna fidarsi perché è una figura che affronta le questioni secondo le proprie esperienze e capacità: per l’imprenditore spesso è un salto nel buio. La cosa importante è verificare che questo manager sia caratterialmente “bio-compatibile” con il fondatore o il titolare.

Come si possono aiutare le nuove generazioni ad entrare in azienda? Alcuni giovani ci dicono di aver iniziato dalle basi, dalla produzione, per conoscere processi e prodotti e poi di aver fatto la scalata nella stanza dei bottoni…

Passaggio generazionale

Chi ha fatto questa scelta ha già maturato la consapevolezza di voler entrare nell’azienda di famiglia. Ma il passo che fa la differenza è sempre quello di far parlare fra loro senior e junior: tra questi spesso non c’è alcun rapporto dialettico. Per esempio, io organizzo giornate intere per mettere padre e figlio l’uno di fronte all’altro. Ma se il figlio non ha un certo carattere e una certa determinazione a volte entra in azienda perché obbligato, e non condivide nulla di quello che si fa lì dentro. Insegno da quarant’anni in Università, ho incontrato tantissimi potenziali eredi e alcuni sono in azienda solo perché si sentono protetti. Lavorano, ma in quello che fanno non ci mettono l’anima. È una posizione di comodo.

Eppure, un passaggio generazionale curato nei minimi dettagli può essere anche un’occasione di rilancio per l’azienda: un giovane, con le sue idee e le sue scelte, potrebbe attrarre più facilmente quei talenti che il padre, forse, non ha saputo conquistare?
Assolutamente sì: il giovane può giocarsi carte interessanti. È per questo che sto lavorando ad un concorso nazionale che vorrei titolare “L’erede innovatore”. Perché, secondo le ricerche fatte da CERIF in seno all’Università Cattolica, c’è una costante che accomuna le nuove generazioni: innovare su tutto. Un’azienda fatta su immagine e somiglianza del padre deve essere innovata dal giovane in quattro o cinque anni. E questo lo deve fare a favore suo: mettendo mano alla catena di valore, ripensando la struttura organizzativa, confermando le persone valide, trovandone altre altrettanto preparate e così via.

Quindi, il giovane erede potrebbe avere più chance rispetto al padre per trattenere i talenti in azienda?
È possibile, ma l’importante è capire ciò che vogliono i talenti: il tipo di carriera alla quale puntano e il modo di procedere, all’interno dell’azienda, per farli crescere professionalmente. Ai giovani talenti, in linea con le loro capacità e modo di pensare, bisogna concedere un po’ di carta bianca: ad esempio sono molto attenti a tutto ciò che è Welfare e quindi li devi mettere a loro agio. Sono persone impegnative. Davide Ielmini