Filiere locali e prossimità produttiva: come i territori affrontano l’economia che cambia

Dalla crisi delle catene globali alla forza dei distretti locali: il valore strategico della prossimità per imprese, comunità e territori che vogliono affrontare la complessità

Con l’analisi di Mauro Colombo, direttore generale di Confartigianato Varese, abbiamo avviato un percorso di approfondimento dedicato al rapporto tra imprese e territorio. Un viaggio che nasce da una consapevolezza sempre più diffusa: oggi non basta raccontare i dati economici, serve capire le logiche profonde che guidano le trasformazioni in atto.

Nel primo contributo, a firma di Annarita Cacciamani, ci siamo concentrati sul ritorno dei distretti produttivi: un fenomeno tutt’altro che nostalgico, che mette in luce la capacità delle imprese di riconnettersi con i luoghi, le competenze e le reti sociali in cui operano.
➡️ Il ritorno dei distretti: perché le imprese tornano a investire nel territorio

Con questo nuovo articolo, entriamo ancora più nel cuore del tema: come si costruisce un modello economico che tenga insieme crescita, coesione sociale e identità locale? E qual è il ruolo delle imprese in questa trasformazione?

Tassello dopo tassello, stiamo componendo un puzzle: un mosaico di visioni, analisi e casi concreti che – al termine del ciclo – confluirà in un fascicolo completo. Un documento pensato per offrire alle imprese strumenti di lettura strategica, ispirazione operativa e una cultura d’impresa capace di fare la differenza, qui e ora.

 

Filiere corte e territorio: la resilienza che nasce dal basso

Negli ultimi anni, la tenuta delle catene globali di valore è stata messa a dura prova da eventi imprevisti e discontinui, come la pandemia, le tensioni geopolitiche e l’instabilità economica. «Queste catene si sono rivelate particolarmente efficienti in tempi stabili, mentre hanno dimostrato di essere più fragili in momenti di crisi», osserva il professor Nazareno Panichella, ordinario di Economic Sociology all’Università degli Studi di Milano. È in questo contesto che riemerge la centralità della prossimità territoriale, non come ritorno nostalgico al passato, ma come risposta contemporanea alla complessità.

Secondo Panichella, il territorio torna a essere una risorsa economica essenziale per almeno tre ragioni:

  1. Capacità di collaborazione locale
    La presenza di legami fiduciari tra imprese, istituzioni e cittadini è determinante. «Relazioni stabili e di fiducia tra attori diversi – rappresentanti politici, organizzazioni sindacali, associazioni di categoria, enti formativi – permettono risposte più rapide e flessibili ai cambiamenti» spiega.
  2. Esperienza nei sistemi produttivi locali
    L’Italia possiede una tradizione consolidata di distretti industriali, nei quali le piccole e medie imprese si integrano all’interno di filiere produttive territoriali. «Queste forme organizzative, nate tra gli anni ’70 e ’80, hanno dimostrato di saper affrontare con successo le trasformazioni strutturali dell’epoca, adattandosi alla crisi del fordismo» osserva.
  3. Capacità di adattamento agli shock esterni
    Il radicamento locale consente una riorganizzazione più efficace in risposta agli imprevisti. La crisi pandemica ha messo in evidenza come le filiere corte e ben organizzate possano risultare più stabili rispetto a quelle lunghe e transnazionali.

L’EQUILIBRIO TERRITORIALE TRA ECONOMIA, SOCIETÀ E POLITICA

Perché un territorio sia realmente competitivo e resiliente, spiega Panichella, deve saper coniugare tre elementi:

  • Fattori economici, come un sistema imprenditoriale diffuso, infrastrutture adeguate, politiche pubbliche favorevoli all’innovazione e accesso al credito;
  • Fattori sociali, tra cui spicca il capitale relazionale, ovvero l’insieme delle relazioni di fiducia e cooperazione tra cittadini, imprese e istituzioni;
  • Fattori politici e istituzionali, che si concretizzano nella capacità degli attori pubblici e privati di costruire alleanze strategiche, coinvolgendo scuole, università, associazioni e amministrazioni locali.

«Quando questi tre elementi si tengono insieme, i territori non solo resistono meglio alle crisi, ma riescono anche a generare sviluppo e coesione sociale», afferma Panichella.

MIGRAZIONI E MOBILITÀ: UNA LEVA PER LA CRESCITA

Il professor Panichella si sofferma, quindi, sulle dinamiche migratorie, considerate non come un problema, ma come una risorsa da valorizzare. Il docente cita l’esempio del distretto ceramico del modenese, che negli anni Ottanta fu interessato da una migrazione interna dai Monti Dauni, in Puglia. «Quella catena migratoria ha portato migliaia di lavoratori che non solo hanno trovato occupazione, ma sono diventati parte integrante della società locale: imprenditori, sindacalisti, amministratori».

L’obiettivo oggi, sostiene Panichella, è replicare quelle esperienze con le migrazioni internazionali, ancora troppo spesso vissute come emergenze piuttosto che come opportunità. Le domande centrali diventano quindi:

  • Come valorizzare le competenze dei lavoratori stranieri?
  • Come facilitarne l’ingresso nelle filiere produttive locali?
  • In che modo garantire percorsi di mobilità sociale e inclusione?

«Se vogliamo territori solidi e capaci di futuro, dobbiamo integrare le nuove presenze, costruendo percorsi di lavoro dignitoso, formazione e cittadinanza», sottolinea Panichella.

FILIERA CORTA, REPUTAZIONE E QUALITA' DELLA VITA 

Durante la pandemia si è rafforzata la consapevolezza che una filiera corta – ben strutturata e localizzata – può rivelarsi non solo più resiliente, ma anche economicamente vantaggiosa. Secondo Panichella, i vantaggi della prossimità produttiva sono molteplici:

  • Maggiore stabilità e sicurezza nei momenti di crisi;
  • Alimentazione dell’indotto economico locale;
  • Rafforzamento dell’identità territoriale e della reputazione delle imprese;
  • Attrazione e trattenimento dei talenti, grazie a un contesto lavorativo e sociale di qualità.

Tuttavia, precisa il sociologo, il legame tra impresa e territorio non si costruisce solo sulla base dell’efficienza economica: «Conta anche la qualità delle relazioni, l’apertura all’innovazione, la sostenibilità e l’inclusione sociale».

VERSO UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Panichella individua, in conclusione, due priorità che devono guidare le politiche di sviluppo nei prossimi anni:

  1. Sostenibilità ambientale: non è più pensabile promuovere crescita senza tenere conto dell’impatto ecologico delle attività produttive.
  2. Inclusione sociale: garantire pari opportunità di accesso al lavoro, alla formazione e alla cittadinanza, anche per i lavoratori migranti e per le fasce sociali più deboli.

«Lo sviluppo territoriale non si misura solo in termini di PIL o tassi di occupazione», conclude Panichella. «Si misura nella capacità di costruire comunità coese, inclusive, capaci di affrontare insieme le sfide globali senza rinunciare alla propria identità» (2. continua). Annarita Cacciamani