Il territorio non è un concetto nostalgico. È una leva strategica. Dopo la pandemia, lo abbiamo riscoperto non come semplice sfondo, ma come attore attivo nel plasmare la resilienza delle imprese. È da qui che prende avvio l’inchiesta in sei puntate curata da Annarita Cacciamani sul rapporto tra impresa e territori: un percorso che Confartigianato Varese ha scelto di rilanciare, oggi più che mai, in un contesto globale segnato da fratture, riconfigurazioni e nuove priorità.
Tutto comincia dalla lucida analisi a firma di da Mauro Colombo, direttore generale di Confartigianato Imprese, che mette a fuoco un nodo cruciale: la forza delle filiere corte non è pianificata dall’alto, ma emerge dal basso, come frutto di relazioni dense, capacità adattive e intelligenza collettiva. Un tema che attraverserà tutta l’inchiesta, e che chiama in causa economisti, sociologi e imprenditori, interrogando la sostenibilità dei modelli produttivi e il ruolo dei territori come laboratori di innovazione, inclusione e competitività.
di Mauro Colombo*
Quando l'onda d'urto della pandemia ha colpito l'economia globale, rivelando la fragilità di catene di approvvigionamento estese per migliaia di chilometri, qualcosa di sorprendente è emerso in controtendenza. In diverse aree caratterizzate da filiere produttive corte e radicate nel territorio, abbiamo assistito a una capacità di adattamento straordinaria: riconversioni produttive in tempi record, soluzioni innovative a problemi inediti, collaborazioni spontanee tra imprese prima concorrenti. Queste risposte non erano previste in alcun manuale di gestione delle crisi, né imposte da piani centralizzati. Sono emerse naturalmente, quasi organicamente, dalle relazioni dense e multidimensionali che caratterizzano questi territori.
Gli ultimi anni ci hanno fatto capire quanto sia fragile la nostra economia. Pandemia, crisi energetica, tensioni geopolitiche, politiche commerciali protezionistiche con i dazi applicati dagli Usa: eventi che hanno messo in difficoltà anche le aziende più solide. Ma in questo scenario complesso, abbiamo visto emergere un fenomeno interessante: le filiere corte radicate nei territori hanno spesso mostrato una capacità di tenuta superiore rispetto alle lunghe catene globali.
La domanda che dobbiamo porci è: questa resilienza è frutto di una programmazione o è qualcosa che nasce spontaneamente dalle caratteristiche stesse di queste filiere? L'esperienza ci suggerisce qualcosa di sorprendente: la vera forza delle filiere corte non sta tanto in una perfetta pianificazione centrale, quanto nella loro capacità di auto-organizzazione.
Pensiamo ai distretti italiani che hanno superato decenni di trasformazioni economiche. Non sono nati sulla carta di qualche pianificatore, ma dall'interazione quotidiana tra centinaia di attori diversi: piccole imprese, artigiani, fornitori, clienti, scuole tecniche. Nessuno ha "progettato" il distretto della ceramica di Sassuolo o quello del mobile della Brianza. Sono emersi naturalmente, come risposta collettiva a opportunità e sfide condivise.
Questa capacità di auto-organizzazione rappresenta un modello profondamente diverso rispetto all'approccio tradizionale alla resilienza economica. Siamo abituati a pensare che per rendere un sistema resistente agli shock sia necessario pianificarlo dall'alto, prevedendo ogni possibile criticità.
Ma la realtà è più sfumata: i sistemi più resilienti spesso combinano elementi di pianificazione consapevole con ampi spazi di adattamento spontaneo. È questo equilibrio dinamico, più che la pura auto-organizzazione, a creare la vera capacità di risposta alle crisi.
Naturalmente, l'auto-organizzazione ha anche i suoi limiti. In alcuni settori ad alta intensità di capitale o con esigenze di coordinamento sovra-territoriale, la pura auto-organizzazione può risultare insufficiente. Durante la stessa pandemia, abbiamo visto come alcune filiere corte abbiano faticato nella produzione di beni che richiedevano componenti specializzati non disponibili localmente o investimenti tecnologici fuori dalla portata di piccole reti di imprese. La risposta più efficace è emersa dove esisteva un equilibrio intelligente tra coordinamento dall'alto e capacità di auto-organizzazione dal basso.
L'insegnamento è chiaro: dobbiamo ripensare il nostro approccio alle politiche economiche territoriali. Invece di progettare sistemi perfetti dall'alto, dovremmo concentrarci sul creare le condizioni che permettano l'emergere spontaneo di ecosistemi resilienti. Come un giardiniere che non costruisce le piante ma crea l'ambiente giusto perché possano crescere.
Ma cosa significa concretamente creare "condizioni abilitanti" per la resilienza delle filiere corte?
Ecco alcuni ambiti d'azione pratici:
Infrastrutture di connessione: Non solo strade e reti digitali, ma anche "infrastrutture relazionali" come hub di competenze, laboratori condivisi, centri di trasferimento tecnologico dove imprese diverse possano incontrarsi regolarmente e sviluppare progetti comuni. Questi spazi fisici condivisi possono catalizzare collaborazioni spontanee tra imprese che altrimenti non si incontrerebbero.
Piattaforme di condivisione: Strumenti digitali che riducano i costi di cooperazione e facilitino lo scambio di informazioni, competenze e risorse tra imprese del territorio. Soluzioni come marketplace B2B locali, banche del tempo tra imprese, piattaforme di crowdsourcing territoriale possono amplificare le capacità collaborative senza imporre modelli rigidi.
Formazione diffusa e trasversale: Investire non solo in competenze tecniche specifiche, ma anche in capacità trasversali come problem solving collettivo, intelligenza emotiva, pensiero sistemico. Formare persone che sappiano navigare nella complessità e costruire ponti tra mondi diversi. I "cantieri di innovazione aperta", dove tecnici di aziende diverse si formano insieme risolvendo problemi reali, rappresentano un modello interessante.
Rimozione degli ostacoli normativi: Semplificare le regole per la cooperazione tra imprese, ridurre gli oneri burocratici per i progetti congiunti. L'esperienza di aree con regolamentazione semplificata dimostra come la riduzione di vincoli amministrativi possa facilitare collaborazioni che altrimenti rimarrebbero allo stato potenziale.
Riconoscimento del valore delle relazioni: Sviluppare metriche e incentivi che riconoscano non solo l'efficienza delle singole imprese, ma anche il loro contributo alla resilienza dell'ecosistema territoriale. Potrebbero nascere "certificazioni di resilienza territoriale" che premino le aziende che investono in ridondanze funzionali e relazioni di reciprocità.
Guardando al futuro, dovremmo vedere le filiere corte come laboratori di una resilienza che nasce dalla ricchezza delle relazioni e dalla diversità degli attori. Non si tratta di chiudersi in un'autarchia impossibile, ma di costruire sistemi locali abbastanza robusti da interagire con l'economia globale senza esserne travolti. Le filiere corte possono diventare nodi vitali di reti più ampie, mantenendo la propria identità mentre si aprono al mondo.
È importante sottolineare che questa capacità di auto-organizzazione non si sviluppa dall'oggi al domani. Richiede anni, talvolta decenni di interazioni ripetute che costruiscono gradualmente fiducia reciproca, linguaggi condivisi, protocolli informali di collaborazione. È un capitale relazionale che si accumula lentamente ma che, una volta formato, diventa una risorsa strategica in tempi di crisi. Per questo, le politiche di sostegno alle filiere corte dovrebbero avere orizzonti temporali lunghi e non aspettarsi risultati immediati.
La vera sfida per imprenditori e decisori è capire come sostenere questa resilienza emergente senza soffocarla con troppa pianificazione. Come creare un ambiente favorevole all'auto-organizzazione senza pretendere di controllarla. Come valorizzare l'intelligenza distribuita di un territorio senza imporre visioni centralizzate.
Nel mondo complesso e imprevedibile che ci attende, questa capacità di favorire l'emergere di sistemi resilienti dal basso potrebbe rivelarsi la competenza più preziosa. Non è solo una questione di efficienza economica, ma di sviluppare organizzazioni capaci di prosperare nell'incertezza, trasformando la varietà e la complessità da problemi in risorse. (0. segue)
* Direttore generale Confartigianato Imprese Varese