Giovani e imprese, incontrarsi è difficile. «Il problema? La cultura della manifattura»
Inverno demografico, migrazioni all’estero in cerca di opportunità occupazionali migliori, scasa attrazione per la manifattura: abbiamo incontrato imprese e imprenditori per capire come far fronte a queste difficoltà di accesso delle nuove generazioni. La soluzione? «Cambiare mentalità, in azienda, nelle scuole e nella società» (inchiesta 1 di 2)

«Un malessere generalizzato»: così gli imprenditori raggiunti da Confartigianato Imprese Territorio – per lo più della meccanica, settore di punta del manifatturiero - definiscono l’annoso problema di trovare giovani italiani da assumere. Che alle aziende produttive, dove il cuore pulsante sono ancora le officine, guardano con scarso interesse. Quali sono i motivi di questa disaffezione?
L’INCHIESTA DI IMPRESE TERRITORIO
Confartigianato Imprese Territorio ha intervistato una ventina di imprese – diverse per tipologia (ci sono anche realtà che lavorano nel design degli elettrodomestici e nel Food) e dimensione – per un’inchiesta che, composta da due puntate, affronta due fenomeni che fanno parte dello stesso problema: l’inverno demografico.
- La prima è dedicata agli strumenti utilizzati dagli imprenditori per raggiungere, intercettare e assumere i giovani italiani e per convincerli a restare in azienda. Perché se da un lato le culle vuote preoccupano (la denatalità fa sparire dai banchi di scuola 100/110mila studenti l’anno), dall’altro preoccupano le fughe all’estero dei giovani: uno su tre, il 35%, è disposto a lasciare l’Italia per un salario più alto. E se l’85% è addirittura disposto a trasferirsi in Paesi lontani da casa per ottenere un lavoro più gratificante, il 70% esclude il ritorno in Italia (dati Ipsos).
- La seconda, direttamente collegata alla prima, è l’occupazione di lavoratori stranieri nelle imprese. Se di italiani ce ne sono e ce ne saranno sempre meno, risulta del tutto naturale guardare con crescente interesse alla manodopera d’importazione. Che rispetto ai connazionali ha una marcia in più: «Non ha mai conosciuto il benessere, e lo vuole ottenere», dicono gli imprenditori intervistati.
Le imprese coinvolte: Rimoldi & CF, Fimotex Srl, Technosprings Italia Srl, Stamperia Olonia, Mei International Srl, Victor srl, Color Plast Srl, Alba Plast, Carve Srl, Almar Srl, Emar Srl, Appliances Engineering A.E. Srl, Dolcisapori, Affetti Pumps, Nuova General Plast, Eurostampi Srl.

COSA DICONO I GIOVANI
Se la manifattura interessa poco le nuove generazioni, quali sono i settori in cima alla classifica? A dirlo è una survey di Confartigianato Imprese tra Licei, Istituti Tecnici e Professionali, ITS e Università per un totale di 2.277 risposte: i giovani delle scuole superiori pensano che a dare le maggiori possibilità professionali siano i settori dei servizi terziario (41,8%), del retail (32,8%) e del turismo (22,5%). Il fondo della classifica è occupato da moda e tessile (12,4%), dall’edilizia (12,2%) e, per l’appunto, dalla manifattura (11,2%). Un dato sul quale riflettere, quest’ultimo, perché secondo l’ultima indagine condotta da Ipsos su un campione di 1.200 under 30 per la Fondazione Raffaele Barletta, solo il 19% del campione conosce le opportunità offerte dal manifatturiero.
Giovani, però, se ne trovano sempre meno. E non solo nelle mansioni più “dure” della produzione: secondo gli ultimi dati di Confartigianato, nel 2023 le imprese cercavano 699mila lavoratori per gestire le tecnologie relative a intelligenza artificiale, big data analytics, internet of things e robot. Di questi, il 54,5% (381mila), sono risultati di difficile reclutamento. La quota sale al 64,7% se si guarda alle piccole e medie imprese.

LE FICTION DEVONO RACCONTARE LE FABBRICHE
La scarsa conoscenza della manifattura, quel 19% del campione Ipsos, si ricollega direttamente ad uno dei leit motiv espressi dalle imprese nell’inchiesta di Confartigianato Imprese Territorio: la flessione dell’occupazione giovanile è anche una questione di cultura del lavoro. Una cultura che ha ceduto il passo all’illusione del guadagno facile e a forme di comunicazione che hanno dimenticato la tradizione italiana. In questo senso, arriva forte e chiara la voce di un imprenditore: «Nelle fiction trasmesse oggi dai media quante sono le scene girate all’interno di un’officina o di una fabbrica? Dobbiamo dire ai nostri giovani, come si faceva un tempo, che lavorare in produzione non è un peccato».

UN PROBLEMA SENZA SOLUZIONE?
Inverno demografico a parte, perché i giovani italiani sono poco disposti ad entrare nelle nostre aziende? In realtà, le Pmi sono considerate un’opportunità da tenere in considerazione. Sempre secondo la survey di Confartigianato Imprese, infatti, il 37,8% degli studenti delle superiori, il 38,9% di quelli degli ITS e il 47,8% degli universitari scelgono la piccola e media impresa come luogo di lavoro ideale.
Però, ci sono leve sulle quali le nuove generazioni sembra concedano alle imprese solo un piccolo margine di contrattazione. Tra le principali, quelle che gli imprenditori ben conoscono e sulle quali alcuni si stanno attrezzando, c’è il ritocco dei salari (per affrontare il continuo rincaro della vita) e le opportunità di carriera. Il discorso, però, non può essere risolto con frettolosità e derive generaliste. Anzi, sono proprio gli imprenditori a prendere le distanze dall’una e dalle altre, perché sanno bene che al centro dell’economia ci deve essere il lavoro e chi vuole lavorare. Senza distinzioni, senza preferenze e senza pregiudizi: «Si assume chi è bravo e capace, chi dimostra di voler imparare e crescere, chi collabora ed è disponibile. Italiani o stranieri».

LA FILIERA SPEZZATA TRA IMPRESE E FAMIGLIE
Inevitabile, per gli imprenditori, guardare ai due campi sui quali si gioca la partita: da un lato le famiglie e dall’altro la scuola. Tutte le imprese intervistate si dicono d’accordo: in Italia, grazie al benessere raggiunto dalla maggior parte dei nuclei familiari, sembra che ai giovani manchino gli stimoli e le motivazioni giuste per riflettere sul valore del lavoro. Anche e soprattutto quello manuale. Le tendenze occupazionali dei nostri giorni non sono sempre in linea con un mondo che punta e che punterà sempre più sulla manifattura. Se da un lato si ha fame di ingegneri (di qualunque specializzazione, considerata l’urgenza posta alla base delle transizioni digitale e green) e di chi si dedica alla restante parte delle materie STEM (scienze, tecnologia e matematica), dall’altro si cercano con sempre maggiore insistenza attrezzisti, operai generici, montatori, tornitori e fresatori.

COME PORTARE IN AZIENDA LE NUOVE GENERAZIONI
Il problema rischia di attorcigliarsi su sé stesso: la difficoltà di trovare manodopera si allea alla difficoltà di tenersi i giovani in azienda. Lo dicono le imprese coinvolte nell’inchiesta. È una questione generazionale: i giovani cercano il lavoro della loro vita. Quello che deve fare la differenza nella loro scala di valori: se il salario è importante, lo è altrettanto il tempo libero. Prima di tenerseli, però, i giovani bisogna trovarli: come?
Gli strumenti utilizzati dalle imprese sono molteplici:
- Il passaparola: un tam-tam dei dipendenti storici che sanno quanto sia alta la qualità di vita e di lavoro nella loro impresa e la trasferiscono all’esterno
- I social: soprattutto LinkedIn, ma anche Indeed
- Agenzie di lavoro internale: spesso conoscono bene i profili richiesti dalle imprese che le usano con regolarità
- Servizio recruiting di Artser, società di servizi del Gruppo Confartigianato: un punto d’appoggio soprattutto per le imprese che cercano figure di più alto profilo e specializzate
- Scuole superiori, tecniche, ITS e università: rappresentano un bacino di diplomati e/o laureati ai quali guardare con continuità. Apprezzati gli stage
- I Curriculum Vitae
- I contatti attraverso i siti web delle aziende: alcune hanno aperto la sezione “Lavora con noi”
Però, tolti i giovani che continuano il percorso di studi dopo il diploma, quelli che trovano un lavoro vicinissimo a casa (chilometro zero), quelli che a due passi dal confine se ne vanno in Svizzera, quelli che guardano all’Europa o anche più in là (sempre secondo Ipsos, tra il 2008 e il 2022 se ne sono andati all’estero 525mila giovani) e coloro che non sono considerati adatti dalle imprese per obiettivi e flessibilità, ne restano ben pochi.

COME SI CONVINCONO I GIOVANI A RESTARE IN AZIENDA
Le imprese, a questo punto, si contendono i giovani validi rimasti. Ma come lo fanno? Quali sono le leve che potrebbero funzionare meglio?
Ricette vere e proprie non ce ne sono: gli imprenditori, ognuno secondo i propri mezzi, la propria sensibilità, le proprie esperienze e le proprie esigenze, dirigono le risorse verso strumenti che possano realizzare i giovani sia dal punto di vista professionale che nelle loro ambizioni di vita. Una cosa, però, è chiara: i reparti produttivi hanno esigenze che sono nettamente diverse dal lavoro d’ufficio inteso nelle sue accezioni più ampie: amministrativo, design, progettazione, studio stile. Smart working e flessibilità in entrata e uscita dal luogo di lavoro, anche se particolarmente apprezzati, non possono essere per tutti. Ed è proprio per questo che gli imprenditori pensano a strumenti sempre diversi, nei quali occupano un posto importante i benefit Welfare legati agli hobby del tempo libero o alle agevolazioni per la famiglia.
Tutte le imprese raggiunte da Confartigianato Imprese Territorio scommettono su un mix di proposte nelle quali l’”effetto traino” per i giovani è formato da:
- Ritocco del salario: di fronte all’impegno e all’acquisizione di nuove competenze, alla volontà dimostrata e alla disponibilità il compenso economico sale. E alcune volte l’imprenditore lo fa senza che ci sia alcuna richiesta da parte del collaboratore
- Premi di risultato
- Buoni spesa
- Formazione continua: in aula, ma soprattutto sul campo. I giovani vogliono essere accompagnati nell’imparare un lavoro. Questa si lega alla crescita professionale
- Corsi di lingua inglese gratuiti
- Team building
- Opportunità di carriera
- Academy interna: è diretta ai tutor e a chi dovrà lavorare a bordo macchina
- Clima aziendale: sereno, dignitoso e basato su relazioni sane e solide. Le pressioni inutili sono controproducenti
- Percorsi motivazionali
- Evitare, per quanto possibile, i lavori troppo ripetitivi
- Usare la psicologia: c’è il giovane che punta solo alla sicurezza economica e non alla carriera. Quello che, invece, vuole diventare il più bravo di tutti. Il segreto è farli sentire apprezzati e stimati. Ad alcuni devi far capire che possono fare la differenza in azienda; quelli meno motivati li devi rendere sicuri
- Suscitare l’interesse nei confronti di ciò che fa l’azienda, dei suoi obiettivi e dei suoi valori
- Creare un senso di appartenenza
- Ragionare in termini meritocratici

SENZA GIOVANI NON SI PUO’ STARE
Ritorniamo alla ricerca Ipsos e a quel 35% di under 30 disposto a lasciare l’Italia: quali sono i rischi che dovremo affrontare nel prossimo futuro? Eccoli: avremo il 35% in meno di imprenditori e il 35% in meno di dirigenti, ricercatori, medici, artisti, sportivi e così via. Lo scrive Il Sole 24 Ore, che aggiunge: «Solo un italiano su dieci consiglierebbe ad un suo coetaneo straniero di venire in Italia per trovare lavoro». E il problema della cultura del lavoro ritorna: «L’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, una tra le principali economia mondiali. Ma evidentemente, a cominciare dalla scuola, in pochi lo hanno raccontato alla nostra Generazione Z» (Inchiesta 1. Segue). Davide Ielmini