In un mondo in crisi, le Pmi (alcune) crescono: il segreto delle 4F vincenti

Food, Furniture, Fashion e Ferrari: mentre dazi e crisi mettono in ginocchio i concorrenti, le piccole e medie imprese che seguono questa formula continuano a conquistare mercati mondiali

Made in Italy

Il Made in Italy rappresenta da sempre un punto di forza dell’economia italiana, legato a qualità, design e tradizione. Tuttavia, le piccole e medie imprese italiane oggi si trovano a confrontarsi con un contesto globale più complesso: mercati internazionali in evoluzione, pressioni competitive crescenti e situazioni geopolitiche che possono influenzare direttamente le strategie di export e posizionamento.

In questo scenario, la sfida per le pmi è mantenere la qualità dei prodotti, ma anche trovare nuovi modi per rafforzare la propria presenza all’estero, innovare senza perdere il valore distintivo e individuare mercati strategici in cui crescere.

Ne abbiamo parlato con Salvatore Rebecchini, esperto di Made in Italy e docente all’ Università degli Studi Internazionali di Roma.

I PILASTRI DEL MADE IN ITALY: LE 4F

Made in Italy

Nel panorama internazionale, il Made in Italy continua a poggiare su solide basi anche grazie al ruolo peculiare delle piccole e medie imprese. A differenza di altri Paesi industrializzati, l’Italia può contare su una rete diffusa di pmi capaci di presidiare mercati diversi, portare all’estero i propri prodotti e, soprattutto, vere e proprie esperienze di qualità.

Al centro ci sono i settori simbolo delle cosiddette 4FFood, Furniture, Fashion e Ferrari come emblema della manifattura meccanica di eccellenza – che da sempre rappresentano l’essenza del nostro export. «Sono i nostri punti di forza storici e continuano a esserlo, pur in un contesto competitivo sempre più sfidante», osserva Rebecchini.

Se la concorrenza di economie come la Cina ha messo sotto pressione comparti come l’arredo e la meccanica, l’Italia mantiene un vantaggio riconosciuto a livello globale in campi come la moda e l’agroalimentare, dove qualità, creatività e tradizione continuano a fare la differenza.

UNO SCENARIO POLITICO COMPLESSO

Made in Italy

Proprio come le multinazionali internazionali, oggi anche le piccole e medie imprese italiane si muovono in un contesto internazionale molto più instabile rispetto al passato. Dopo i primi vent’anni del nuovo secolo, caratterizzati da una relativa stabilità, le tensioni geopolitiche hanno riportato in primo piano i rischi legati all’interconnessione globale.

«Le imprese italiane, spesso inserite nelle catene globali del valore, sono esposte a interruzioni che possono derivare da pandemie, crisi politiche o conflitti», osserva Rebecchini. «Se un componente prodotto in Cina non arriva, tutta la catena produttiva può bloccarsi, come è accaduto con le mascherine durante il Covid. Lo stesso vale per la crisi energetica legata alla Russia o per i microchip quasi interamente prodotti a Taiwan».

In questo scenario, per riuscire a continuare il proprio percorso senza compromettere qualità e margini, la parola chiave è consapevolezza. «La prima regola è mappare i rischi, predisporre alternative e diversificare non solo i mercati di vendita, ma anche i fornitori di componenti», spiega. Una strategia che non sempre è semplice da attuare, ma che diventa indispensabile per garantire continuità.

Rebecchini indica due strade possibili: il reshoring,  con il rientro della produzione in Italia o in Paesi vicini, e il friend-shoring, lo spostamento verso aree considerate più stabili dal punto di vista geopolitico. «Può risultare più costoso e non sempre immediatamente realizzabile, ma è fondamentale per ridurre la vulnerabilità delle nostre imprese», sottolinea l’esperto.
 

UN BRAND CHE CONTINUA A RAFFORZARSI

Nonostante le difficoltà produttive e le tensioni sui mercati globali, l’immagine internazionale del Made in Italy non sembra aver perso smalto. Al contrario, negli ultimi anni l’export italiano ha continuato a crescere anche in un contesto di rallentamento del commercio mondiale. Secondo Rebecchini, questo dimostra che il Made in Italy non è soltanto un marchio commerciale, ma un vero patrimonio culturale ed economico.

«Il brand Made in Italy resta molto forte: i nostri prodotti sono percepiti come sinonimo di qualità, design e creatività», afferma. Una reputazione che si consolida anche grazie alla stabilità politica ed economica del Paese, un elemento che rassicura partner e investitori internazionali.

Non è un caso se grandi gruppi come LVMH abbiano scelto di acquisire marchi italiani di eccellenza. «Li hanno rilanciati sui mercati globali proprio perché credono nel valore del Made in Italy», sottolinea Rebecchini.

Ma il fenomeno non riguarda soltanto le grandi maison: quando all’estero qualcuno compra un paio di scarpe artigianali o una bottiglia di vino, sceglie un pezzo d’Italia. E dietro c’è il lavoro di piccole imprese che rappresentano il tessuto vivo del nostro Paese.

Il richiamo dell’Italia resta quindi intatto: «Per i beni finali come scarpe, mobili, vino, auto, il consumatore guarda all’Italia come garanzia di autenticità e valore. È un patrimonio immateriale che continua a fare la differenza», ribadisce Rebecchini.

STRATEGIE PER NON PERDERE IDENTITA'

Se il Made in Italy è un brand collettivo che continua a rafforzarsi, lo stesso principio vale per le imprese che lo incarnano. La ridotta dimensione delle pmi, spesso vista come un limite, può trasformarsi in un vantaggio se diventa occasione per collaborare. «Gli esempi del Prosecco o della Franciacorta lo dimostrano chiaramente: piccoli produttori che, unendosi, hanno dato vita a un marchio condiviso, oggi conosciuto e apprezzato in tutto il mondo», osserva Rebecchini. Non è la perdita di identità, ma al contrario la sua valorizzazione a livello di sistema.

Un approccio che richiede sostegno e strumenti adeguati. Le associazioni di categoria, insieme a realtà come SACE, SIMEST e ICE, possono accompagnare le imprese nell’accesso a risorse e programmi per l’internazionalizzazione che lo Stato italiano mette a disposizione. «Le possibilità ci sono, ma vanno colte con consapevolezza e spirito di iniziativa», sottolinea.

Ma non solo: Rebecchini consiglia di investire nel turismo internazionale, che resta un canale straordinario di promozione del Made in Italy. Ogni turista che visita l’Italia porta con sé un pezzo della nostra esperienza, trasformandosi in ambasciatore dei nostri prodotti.

Infine, un consiglio di carattere generale: non avere timore dell’apertura dei mercati globali: «Noi esportiamo, ma non dobbiamo aver paura di consentire ad altri di esportare, perché solo in un mondo più integrato e più fluido cresceranno anche le nostre export». Paola Landriani