L’azienda senza innovatori è già con un piede fuori dal mercato

L’analisi di Davide Dattoli, fondatore e presidente di Talent Garden: «La diffusione di una cultura digitale precede l’adozione di nuovi software e strumenti. Tra le abilità non possono mancare conoscenza del web, gestione della comunicazione digitale, cura dei dati e della sicurezza, creatività, e autonomia»

Aziende digitali

«Ci sono due grandi temi. Il primo riguarda il modo in cui la digitalizzazione, in modo naturale e molto più veloce di qualsiasi previsione ha cambiato modelli di business, modalità di lavoro e la capacità di nascita e sviluppo di prodotti e servizi. Il secondo invece è inerente al modo di lavorare e di percepire quello che si fa». 

Si fa presto a parlare di formazione e cultura digitale: ma a che punto siamo in Italia? Una risposta di peso arriva da chi l’argomento lo mastica da anni come Davide Dattoli, fondatore e presidente di «Talent Garden»: creato in Italia nel 2011, è il più importante operatore europeo di digital education nonché la più grande community in Europa di innovatori dell’ecosistema tech.

«L’innovazione digitale non consiste nel solo aggiornamento degli strumenti informatici perché la digitalizzazione costituisce un reale vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. La diffusione di una cultura digitale precede quindi l’adozione di nuovi software e strumenti, anche perché l’accettazione di nuovi processi costituisce un elemento essenziale per il successo dell’innovazione digitale. Tra queste abilità non possono dunque mancare conoscenza del web, gestione della comunicazione digitale, cura dei dati e della sicurezza, creatività, e autonomia (i dipendenti devono cioè venire coinvolti fino ad acquisire una capacità di rendersi autonomi rispetto alle esigenze di conoscenza e utilizzo di strumenti digitali che facilitano il lavoro e risolvono problemi)». Non sono ragionamenti teorici, ma intrisi di vita reale.

L'ACCELERAZIONE DELLA PANDEMIA

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Poi però arriva la pandemia: cosa è successo e verso quale modello stiamo andando? «Il digitale è veicolo di cambiamento organizzativo che ridefinisce le dinamiche di ruolo in grado di indirizzare logiche diverse verso incentivi reali alla produttività: una grande rivoluzione che non si risolverà in pochi giorni. L’accelerazione che si è avuta in questo tema è stata più veloce negli ultimi 24 mesi rispetto a quella che abbiamo visto negli ultimi quindici anni e ci sono le condizioni per fare ancora meglio. La pandemia ha appunto accelerato un processo già in atto che porterà la società a dividersi in tre principali gruppi. Partiamo dai “Digital First”. Si tratta di persone che già lavorano nel settore digitale e hanno le giuste competenze. Sono i più ricercati sul mercato, hanno lo stipendio più alto e possibilità di scegliere il proprio lavoro e la propria azienda. Ma ricordiamoci che anche queste competenze cambiano ogni settimana, quindi tenersi informati e continuare ad aggiornarsi ogni giorno è fondamentale».

Poi vengono i “Digitally Enabled”: persone il cui lavoro utilizza una certa tecnologia ma potrebbe non esistere tra qualche anno proprio per i progressi tecnologici. «Non se ne rendono sempre conto, ma è qui che le aziende stanno investendo di più. Quest’anno in Talent Garden abbiamo visto l’ascesa delle “accademie digitali aziendali”, programmi su larga scala che comportano la ridefinizione della mentalità aziendale e l’aggiornamento di migliaia di dipendenti. Le aziende hanno bisogno di questi programmi perché il mercato le spinge a sviluppare prodotti e servizi digitali. Attrarre nuovi talenti è difficile ma necessario, aiutare quelli interni ad aggiornarsi è la chiave. Molti Ceo visionari decidono di investire a lungo termine per sviluppare la più grande risorsa della loro azienda: i talenti interni».

INVESTIMENTI IN RIQUALIFICAZIONE

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Il terzo gruppo di lavoratori secondo Dattoli sono i “Digital Reskills”: nei prossimi anni, molte aziende falliranno e molte persone per questo perderanno il lavoro, «e per riqualificare, le aziende e i Governi devono fare grandi investimenti. Un trend che si sta già osservando in Europa, dove l’istruzione è una delle aree chiave per tutti i fondi europei così come per il Next Generation Eu. Alcune grandi aziende negli Stati Uniti hanno recentemente annunciato che stanno investendo massicciamente in programmi di riqualificazione per i loro dipendenti per aiutarli ad adattarsi a un nuovo lavoro. Anche la formazione deve dunque stare al passo coi tempi.

La digitalizzazione dal lato delle imprese: costo o investimento? E quali sono le figure più richieste in questo momento sul mercato del lavoro? «Investimento, è necessario che le imprese assimilino bene questo concetto. Le aziende senza innovatori non sono in grado di reggere la velocità del mercato. Allo stesso tempo però gli innovatori senza supporto delle aziende spesso non sono in grado di sviluppare la propria attività. Le figure più richieste oggi ruotano attorno a due temi: dati e user experience». 

ARTIGIANI DIGITALI: FANNO DI TUTTO

La crescita delle competenze “tech” (o di lettura dati) riguarda anche le imprese di piccole e medie dimensioni? «Assolutamente sì. Le Pmi possono - anzi devono - avvalersi di competenze tech. Quello che prima era una prerogativa solo delle grandi multinazionali, cosa che determinava anche una distanza tra le soluzioni proposte e le esigenze delle imprese, oggi è sicuramente qualcosa di più accessibile su tutto il territorio nazionale. Le competenze tech e di lettura dei dati sono utili per ottimizzare i costi, raccontarsi e proporsi al meglio, raggiungere mercati e clienti impossibili da avvicinare fino a pochi anni fa. Le Pmi hanno un valore inestimabile in Italia, soprattutto se pensiamo al made in Italy, valorizzarle e metterle nelle migliori condizioni di lavorare è un obbligo per il sistema Paese. I nuovi artigiani digitali fanno di tutto: dalle produzioni di tipo ingegneristico, come apparecchiature elettroniche, realizzazioni robotiche, dispositivi per la stampa 3D, macchinari a controllo numerico, a quelle più convenzionali, come la lavorazione dei metalli e del legno. Il digitale dà una marcia in più all’economia italiana, a patto che le nostre piccole e medie imprese sappiano rinnovarsi, riorganizzare le risorse e, soprattutto, lavorare in rete».